Quando Donald Trump perse le elezioni, le provò proprio tutte per dimostrare di essere vittima di un complotto. Tra le sue tante teorie, una in particolare lasciava stupiti per la sua inverosimiglianza. Un nome che con l’Italia ha una stretta relazione, “Italygate”, e che ha i tratti tipici della commedia dell’assurdo.
Secondo l’ex presidente, il satellite Leonardo avrebbe infatti manipolato a distanza alcune macchine del voto elettronico, trasformando i voti indirizzati a lui in consensi a favore di Joe Biden. Lo scorso mese, il New York Times rivelò le pressioni fatte dallo stesso Trump all’Fbi per indagare sui brogli elettorali da lui giornalmente denunciati, compreso l’ItalyGate, e ora è il Wahington Post a svelare l’identità della donna che ha contribuito a creare e poi diffondere la teoria cospirativa.

Parliamo di Michele Roosevelt Edwards, ma già su questo è necessario aprire una parentesi. La repubblicana, candidata senza successo al Congresso nel 1986, ha infatti cambiato identità almeno due volte: prima come Michele Lynn Golden e poi come Michele Ballarin.
Il suo nome uscì per la prima volta nel dicembre 2020, quando Mark Meadows, capo dello staff di Trump, inviò una serie di email al ministro della Giustizia Jeffrey Rosen per stimolare le indagini sui brogli elettorali. Insieme a queste sollecitazioni, viene allegata una lettera stampata su un foglio intestato alla USAerospace Partner, una società della Virginia che vede a capo proprio lei.
Il complotto è un calderone di elementi. L’ambasciata americana a Roma come luogo del delitto, una squadra di sabotatori esperti, Barack Obama, Matteo Renzi e gli agenti della Cia. Tutti insieme per impedire a Trump di iniziare un nuovo mandato alla Casa Bianca.

Ovviamente, la vicenda si rivela essere niente più che un fantasioso falso e la Procura di Roma, nel tentativo di scoprire da dove partisse il flusso aggrovigliato di fake news, è arrivata proprio a Michele Roosevelt Edwards. Sessantacinque anni vissuti raccontando di tutto.
Si è costruita una reputazione come attivista a favore del popolo somalo, ha detto di essere stata in grado di trattare con gli efferati signori della guerra e con i pirati del Corno d’Africa, prima di passare alla carriera di imprenditrice e spacciarsi come proprietaria della storica North Wales Farm, una meravigliosa magione con 22 stanze in Virginia dal valore di 30 milioni di dollari. Un circolo di bugie che si incatenano una dietro l’altra e che si accodano alle teorie sposate da Trump dal giorno delle elezioni fino a quello di insediamento di Joe Biden.

Stupisce che una storia dai tratti così surreali sia riuscita a entrare nelle case di milioni di persone, tra social media, servizi televisivi e articoli giornalistici, instillando nel pubblico anche soltanto un piccolo dubbio. Si sa, le fake news si diffondono a macchia d’olio con una facilità che preoccupa gli addetti ai lavori e smentirle, una volta entrate in circolo, non è poi sempre così semplice.
E lei, con un look curato e la parlantina di chi sa esattamente di cosa stia parlando, è riuscita a convincere molti di essere portatrice di una causa da sposare. Che l’abito non faccia il monaco si dovrebbe ormai sapere. Certe volte, però, la prima impressione è quella che conta e con questo stratagemma Michele Roosevelt Edwards ne ha ingannati parecchi, ottenendo infine quella notorietà che a lungo aveva detto di possedere.