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May 3, 2021
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May 3, 2021
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Nel GOP di Donald Trump non c’è spazio per chi riconosce la vittoria di Joe Biden

All’interno del partito repubblicano si combatte una guerra fratricida per l’endorsement dell’ex presidente alle elezioni locali e congressuali

Riccardo ParadisibyRiccardo Paradisi
La strada che ci ha portati a “Terminator Trump” (Please Congress pensaci tu…)

Donald Trump, illustrated by Antonella Martino

Time: 4 mins read

La scorsa settimana, in occasione di un evento organizzato nella sua residenza di Mar-a-Lago, Donald Trump è tornato nuovamente a parlare di elezioni. In un video girato da alcuni supporters, l’ex Presidente ha annunciato un nuovo riconteggio dei voti nella contea di Maricopa, la più popolosa dell’Ariziona che ha consacrato la vittoria di Joe Biden nello stato lo scorso 3 novembre. Secondo Trump, la nuova azienda incaricata troverà “migliaia e migliaia” di voti contraffatti, dimostrando finalmente quello che “tutti già sanno”, ovvero che le elezioni sono state “falsate”. Questa eventualità, per lui già certezza, secondo lui rappresenterà il primo tassello del domino a cadere. Quando verranno scoperte frodi elettorali in Arizona toccherà a tutti gli altri stati in bilico che hanno certificato la vittoria di Joe Biden.

L’ennesimo riconteggio dei voti in Arizona, promosso dal partito repubblicano locale, è stato molto contestato dalle organizzazioni che si occupano di diritti politici. La società incaricata, Cyber Ninjas, non ha esperienze nelle certificazioni di voto ed il CEO Doug Logan ha più volte affermato l’esistenza di una cospirazione per frodare i voti espressi alle voting machines. Non proprio un ente imparziale, quindi, tanto che anche Cindy McCain, vedova del senatore John McCain, ha definito questo nuovo tentativo di riconteggio come “ridicolo”: “le elezioni sono finite. Biden ha vinto”. Cindy McCain, negli scorsi mesi era stata “censurata” (cioè condannata politicamente) dal GOP per aver dato il suo endorsement a Joe Biden.

La stessa sorte sta toccando a Barbara Cegavske, segretaria di stato del Nevada, condannata dal Partito repubblicano per aver fallito nel trovare brogli elettorali in uno stato dove Joe Biden ha vinto per soli 34.000 voti. In Georgia, stato che dopo la debacle del GOP sia alle elezioni presidenziali che a quelle per il Senato ha tentato di riscrivere le norme elettorali, il Governatore conservatore Brian Kemp è sotto attacco dal suo stesso partito. Anche su di lui, come per il suo segretario di stato Brad Raffensperger, pendono risoluzioni di condanna da parte dei comitati del Partito repubblicano. Dopo le famose registrazioni telefoniche e le polemiche per l’abuso di potere esercitato da Donald Trump, Kemp e Raffensperger sono accusati di non aver fatto abbastanza per ribaltare il risultato elettorale.

Il più lampante di questi esempi è offerto dal trattamento riservato a Mitt Romney, senatore repubblicano dello Utah e sfidante di Barak Obama nel 2012. Ad un evento organizzato dal suo partito a West Valley City, Romney è stato molto criticato dai partecipanti dopo un tentativo di “condanna” della sua condotta politica partito proprio all’interno del GOP. Romney, scampato alla censura repubblicana, è stato fischiato dopo aver detto, “non nascondo che non fossi un fan dei problemi caratteriali del nostro ultimo presidente”. Agli incessanti “boo” provenienti dalla platea, Romney ha ribattuto “non vi sentite in imbarazzo?”

Il vulnus all’interno del Partito repubblicano è proprio questo. Da una parte i meno trumpisti sostengono che dopo la vittoria di Joe Biden il GOP debba evitare di commettere gli stessi errori che hanno portato alla disfatta del 2020. Dall’altra, i seguaci dell’ex Presidente si stanno compattando su una linea oltranzista volta ad etichettare Joe Biden come presidente “illegittimo”. In mezzo c’è Donald Trump che nonostante goda di una popolarità in declino sta radunando finanziatori per poter ricoprire il ruolo da play-maker all’interno del partito, decidendo con i suoi endorsement la sorte elettorale e politica dei vari candidati locali. Soltanto i più fedeli, coloro che non accetteranno la sua sconfitta alle elezioni 2020, riceveranno l’onore di un endorsement da parte dell’ex Presidente.

Da questo punto di vista, un laboratorio è stato il Texas. La scorsa settimana si sono svolte le elezioni suppletive per il 6° distretto, dopo la scomparsa del deputato repubblicano Ronald Wright, deceduto a causa del covi-19. Le primarie, definite “jungle”, per la grande affluenza di candidati, hanno visto la vittoria di Susan Wright, vedova dell’ex deputato, e di Jake Ellzey. Entrambi appartenenti al partito repubblicano, sono riusciti rispettivamente con il 19,2% e 13,8% dei consensi a battere la candidata più quotata del partito democratico Jana Lynne Sanchez, fermatasi al 13,4%. I due vincitori si sfideranno in un ballottaggio per assegnare il seggio in una Camera dei Rappresentanti sempre più in bilico. A pesare particolarmente in favore della Wright è stato proprio l’endorsement di Donald Trump.

Di questi tempi, il favore di Donald Trump pesa quanto l’oro. In Florida, il governatore “delfino” Ron DeSantis ed il congresso statale hanno votato una legge che ridimensiona la portata del voto per posta. Questa modalità di voto che in passato era stata promossa dallo stesso Partito repubblicano come un espediente per riportare i propri elettori alle urne, adesso deve essere sacrificata sull’altare della concordia con Trump. In Florida verranno effettuati più controlli su coloro che voteranno per posta e ci saranno più limiti per poterlo fare. Come in Georgia verranno allontanate le organizzazioni bipartisan che offriranno supporto agli elettori in fila ai seggi. Secondo il Washington Post, però, questa nuova legge potrebbe colpire proprio gli elettori repubblicani, sempre più a proprio agio con il voto per posta in uno stato in cui votare ai seggi significa sopportare lunghe ore in fila al caldo cocente.

Il Partito repubblicano si sta allineando al pensiero trumpiano anche a costo di perdere componenti, spaventare i più moderati e scardinare norme elettorali ormai stratificate. Tutto ciò suggerisce che Donald Trump non sia ancora una figura archiviata all’interno del GOP ma, più che mai, sia pronto a tirare le redini del partito per le midterm del 2022, una chance preziosissima per riconquistare il Congresso e, con questo, la fama di “uomo infallibile” persa alle elezioni presidenziali dello scorso anno.

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Riccardo Paradisi

Riccardo Paradisi

Toscanaccio doc e blogger. Mi sono laureato in Relazioni Internazionali a Siena dove insieme ad alcuni colleghi ho fondato SpazioPolitico, per cui scrivo. Appassionato di Nord America dall'università, ne ho vissuto lo spirito pionieristico nel freddo Montana. Da allora, i suoi paesaggi monumentali e le sue storie non mi hanno mai lasciato.

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