Nicola Zingaretti, l’uomo accusato di non avere la personalità adatta a guidare un partito storico come quello erede del PCI, lascia il timone della nave. “Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie – scrive – quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”.
Zingaretti si è reso infatti conto del motivo per cui, almeno stando ai sondaggi, la sua sinistra non riesca più a crescere, ma anzi si avvicini lentamente ad un inesorabile declino. Tutti lo sanno e tutti lo dicono: lo storico elettorato del PD non si riconosce più nelle politiche portate avanti dal partito.

La colpa è anche dello stesso Zingaretti, che negli ultimi due anni, con una direzione dagli obiettivi poco chiari, ha fatto perdere identità ai democratici. Nel 2019 ha avallato l’alleanza con il Movimento 5 Stelle, dopo aver con tutta forza negato ogni tipo di accordo con chi, a detta sua, era sempre stato in grado di sconfiggere alle urne. Da quel momento in poi, la sua strategia di comunicazione non è più stata capace di imporsi nel panorama nazionale. I giorni sono passati e Zingaretti si è sentito sempre meno. Così, le percentuali sono iniziate a scendere.

“Il Pd non può rimanere fermo – continua – impantanato per mesi a causa in una guerriglia quotidiana. Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente. L’Assemblea Nazionale farà le scelte più opportune e utili”.
Di sicuro, i problemi per il PD non si risolveranno con i saluti di Zingaretti. Oltre a non aver avuto un leader capace di farsi sentire, i democratici non hanno nemmeno costruito una classe dirigente interna capace di dare il cambio al Segretario. Quale sarà la figura carismatica capace di dare nuova linfa a un partito apparentemente immobile? Certo, la storia della sinistra italiana degli ultimi anni non ha visto come guida nessuna figura tipicamente carismatica. A parte Matteo Renzi.

È quindi corretto sostenere che alla nuova direzione del partito possa finirci una figura istituzionale e poco incline allo spettacolo, ma se la scelta fosse questa, probabilmente il partito non sarebbe in grado di svegliarsi dal torpore. Servirebbe un esponente nuovo, fresco e competente. Magari una donna, anche se, considerato l’immobilismo che sul tema il PD ha dimostrato nella scelta degli attuali ministri, l’ipotesi appare piuttosto lontana.
A salutare Zingaretti arriva subito il fu Premier Giuseppe Conte, che sempre su Facebook parla del suo alleato di governo come di un “leader solido e leale, che è riuscito a condividere, anche nei passaggi più critici, la visione del bene superiore della collettività”. Dice di averlo conosciuto e apprezzato e infatti non si ricordano, in un anno e mezzo di esecutivo, momenti di tensione tra i due. Anzi, Conte è stato l’elemento capace di unire il PD e il Movimento 5 Stelle e l’uomo che Zingaretti, prima della nascita del governo Draghi, aveva definito imprescindibile.

“Io ho fatto la mia parte – conclude Zingaretti – spero che ora il Pd torni a parlare dei problemi del Paese e a impegnarsi per risolverli. A tutte e tutti, militanti, iscritti ed elettori un immenso abbraccio e grazie. Ciao a tutte e tutti, a presto”.
Dicono che quando si chiude una porta, normalmente si apra un portone. Per il PD potrebbe essere un momento cruciale, capace di cambiare un destino apparentemente segnato. Bisogna muoversi con cautela tra le acque mosse della sinistra italiana. Gli elettori si aspettano risposte.