Circola un meme negli ultimi giorni. Nella prima immagine in alto si vedono dei palazzi di una città, presumibilmente mediorentiale, gravemente danneggiati da delle bombe, dai quali fuoriesce del fumo nero ed una scritta che dice: “bombardamenti prima di Biden”. Nella seconda immagine in basso, lo scenario è lo stesso, ma insieme al fumo emergono tanti piccoli cuoricini che richiamano gli emoticon di facebook. La scritta attesta che si tratta di “bombardamenti dopo Biden”.
Un altro pezzo satirico lo firma the Onion il magazine americano che titola “Biden Comforts Families Of Syrian Airstrike Victims With Eloquent Speech On Living With Heartbreaking Loss”. (“Biden conforta le famiglie dei siriani che sono state le vittime di un bombordamento aereo con un eloquente discorso su come sopravvivere ad un dolore che ti spezza il cuore”). Essendo Biden piuttosto uso ad evocare la sua tragedia personale per spiegare la sua capacità di stare vicino a chi soffre, i tipi di Onion si sono divertiti a dipingere il Presidente americano in quanto vittima, pur essendo carnefice.

A 39 giorni dall’insediamento del divino Amore alla Casa Bianca, con tanto di corte e di poeti di corte a festeggiare la fine dell’era Trump, ecco la fatale caduta delle maschere che come direbbe il poeta tedesco Buchner, si sono portate via anche la faccia. “La vittoria che non è riposta sulla lama, ma su tutti i ponti che abbiamo costruito” e “l’amore che dovrebbe essere la nostra eredità” per riprendere le parole della poetessa laureata che tanti cuori hanno scaldato il giorno dell’inaugurazione, non paiono aver scalfito minimamente la politica estera a stelle e strisce. Nessuno fra gli amici della sinistra americana è tornato indietro -oggi- a rileggere quella poesia.
I media-preachers di questi anni, piu social justice warriors che cronisti, si sono quasi interamente concentrati sull’intollerabile condotta del governatore Cuomo (che avrebbe molestato una sua ex assistente con domande inopportune) piuttosto che interrogarsi sull’opportunità del bombardamento in Siria.
Il discorso inaugurale di Trump con il suo “America First” appariva foriero di venti cupi per tutte le nazioni e i popoli che non fossero Americani. Ci si aspettava tempi duri per le relazioni internazionali e per gli immigrati e cosi è stato. Abbiamo avuto casualties in Somalia, Pakistan, Siria Yemen e Afghanistan, fra gli altri. Pare che soltanto nel suo primo mandato i droni abbiano provocato piu di 2000 morti. Ma è impossibile verificare la cifra precisa, siccome è stata da lui revocata la regola per la quale era necessario denunciare il numero esatto di vittime cadute ad ogni attacco.

Si potrebbe obiettare che tutti gli uomini e donne colpiti dai droni siano tutti feroci assassini, ma non è cosi. Secondo i giornalisti di Incercept almeno il 90% dei morti provocati dai droni sono casualties, semplici vittime innocenti. Si tratta di una notizia come quelle diffuse da Wikileaks, la fonte sarebbe un informatore che lavorava per un’agenzia dei servizi segreti. E’ stato pubblicato un report ufficiale riguardante l’utilizzo dei droni chiamato “Drone Papers”. Si è scoperto come l’Amministrazione Obama cercasse di nascondere le casualties derubricando “a nemici uccisi in battaglia” tutti i militari non-identificati colpiti dai droni. E’ emerso che fosse prassi procedere con l’opzione di uccidere il nemico anche dove si potesse catturare i sospetti; un esempio è il caso di Al-Shabbab, un affiliato di Al-Qaeda, di cui si conoscevano tutti gli spostamenti e che viveva in Somalia.
Prima di Obama, c’era Bush, il quale, oltre a decidere unilateralmente una guerra priva di reali motivazioni, aveva nascosto completamente il programma di droni, successivamente potenziato da Obama e deregolato da Trump. Adesso siamo a Biden, che ha colpito 22 militari al confine tra Iran e Siria, per retaliation (che si potrebbe anche tradurre con “vendetta”) dopo che un contractor americano era stato ucciso e alcuni militari feriti in un attacco iraniano in Iraq. Non solo i 22 militari non hanno direttamente a che fare con il contractor ucciso, ma il piano è stato eseguito per vendicare e intimorire gli avversari, senza che sia stato fatto nessun tentativo diplomatico. John Kirby segretario della stampa al Pentagono ha definito l’attacco “difensivo e proporzionato”.

Mi pongo molte domande che so già destinate a rimane, non solo insolute, ma rigettate nella loro possibilità di essere poste, nel loro fondamento. Mi chiedo, per riprendere il famoso slogan degli attivisti di questi ultimi anni, quanto conti la vita di chi non è americano e come sia possibile che l’altissimo ideale di giustizia che anima la sinistra, non oltrepassi i confini nazionali. I media americani, cosi orgogliosi di indirizzare i dibattiti delle presidenziali su temi scottanti che toccano il Paese, hanno sorvolato su guerre, politica estera e sui programmi di droni. Si dice che non sia un tema interessante per gli americani che vanno a votare.
Anche nelle università regna spesso l’ipocrisia o l’incoscienza. La rivoluzione culturale di questi anni ha agito come una molla per stimolare moltissime iniziative che andassero nella direzione della giustizia sociale. Sono fiorite decine di iniziative e corsi, convegni e conferenze sui diritti civili. Delle guerre americane non si sente parlare. Cosi come dei droni potenziati da Obama. Non ci sono bandiere appese alle finestre, non vi sono cartelli nei giardini, non vi sono media indignati. Non si è aperto un dibattito sulla moralità delle nostre azioni di guerra in posti del mondo dove la nostra presenza è piuttosto illogica; soprattutto se prendiamo come metro di giudizio lo spirito giustamente anti-storico degli attivisti di sinistra, che hanno divelto statue dimostrando al mondo intero che ciò che conta non sono i vessilli del passato, ma gli ideali di giustizia del presente.