AGGIORNAMENTO: Venerdì sera il pacchetto di aiuti federali per la pandemia è passato alla Camera con sette voti di scarto (219 a 212). Per ora Biden riesce a tenere unita, anche se con fatica, la coalizione democratica che lo ha portato alla Casa Bianca. Resta irrisolto il nodo dell’aumento del minimo salariale, approvato alla Camera, ma bocciato ancora prima del voto al Senato.
Finita la pausa per smaltire l’amarezza della perdita della Casa Bianca, Donald Trump ricomincia da dove aveva lasciato. La sua ultima immagine da presidente degli Stati Uniti era dall’aeroporto della Base di Andrews in partenza per la Florida pochi minuti prima che Joe Biden prestasse giuramento. Volto teso, con accanto Melania, tappeto rosso, banda musicale e 21 salve di cannone nel discorso di salute disse: “Tornerò, non so in che forma, ma tornerò”. Una promessa ai suoi seguaci, una minaccia per il Partito repubblicano. E domenica ad Orlando in Florida farà il suo rientro politico alla riunione del Conservative Political Action Conference (CPAC), i cui lavori sono cominciati ieri sera. E nel partito Repubblicano sono cominciati i “distinguo” e i riallineamenti dopo le critiche. Per loro, incapaci di conquistare l’enorme bacino di voti sedotti dal trumpismo, l’unica via resta l’allineamento sperando poi che la giustizia faccia il suo corso.
Il primo tra tutti è stato il leader repubblicano del Senato, Mitch McConnell, che dopo il biasimo al vetriolo fatto all’ex presidente dopo l’assoluzione all’impeachment, ha detto ieri sera che lo sosterrebbe se si dovesse candidare per le presidenziali del 2024. Un tentativo di riavvicinamento troppo tiepido cercando di riaprire il dialogo con il CPAC che comunque non lo ha invitato alla riunione. E con lui tutti i repubblicani moderati, da Mitt Romney a Susan Collins, da Liz Cheney ad Adam Kinzinger. Il dissenso non è permesso nello schieramento trumpiano.
Invitati, invece, tutti i “falchi” del Congresso, da Ted Cruz, che ieri sera all’apertura dei lavori della conferenza si è gettato in un canto di lodi sperticate per l’ex presidente, attaccando poi i “socialisti” alla Camera e ridicolizzando quanti usano le mascherine, aiutato in questo dal governatore della Florida Ron De Santis, astro nascente dello zoccolo duro del Gop.
In serata sarà poi la volta di Mike Pompeo, l’ex segretario di Stato e del senatore Josh Hawley, che con Ted Cruz voleva bloccare la certificazione della vittoria elettorale di Biden lo scorso 6 gennaio quando il Congresso fu assaltato mentre lui parlava. Grande attesa per l’intervento che domenica terrà Trump. Washington Post e New York Times danno per scontata la voglia di ricandidarsi alle prossime elezioni presidenziali e per questo, per allargare il consenso all’interno del partito, Trump scrive nella sua agenda i nomi dei politici repubblicani che sono allineati con lui e che lui sponsorizzerà alle elezioni di Midterm, e quelli che lo contrastano che avranno invece la sua scomunica. Nel suo intervento continuerà a raccontare che le elezioni sono state truccate e che lui le ha vinte, discorsi che mandano in delirio i suoi gregari anche se si scontrano con la verità, ma questo è un fatto che per i suoi proseliti non è importante. E i sondaggi sono con lui. Nell’ultimo, condotto da The Economist/YouGov questa settimana tra gli iscritti al Partito repubblicano, si evidenzia come il 48 Percento degli intervistati sia schierato con l’ex presidente affermando che non voteranno un candidato non approvato da Trump, mentre il 61 percento afferma che voreranno solo un candidato scelto dall’ex presidente.
Se c’è divisione tra i repubblicani, in casa democratica non stanno molto meglio. Ieri sera nella discussione alla Camera dei rappresentanti per la preparazione del pacchetto di aiuti da 1 miliardo e 900 milioni di dollari che sarà votato questa sera, la “Commissione di riconciliazione” ha bocciato la proposta di aumentare a 15 dollari l’ora il salario minimo. Un piano sponsorizzato e promesso all’elettorato dalla sinistra dem che oggi è insorta. Anche Nancy Pelosi, che è la più centrista dei democratici si è alleata assicurando che la riforma del salario minimo passerà.
Il presidente è deluso da questa bocciatura ha detto la portavoce della Casa Bianca. Nelle settimane scorse il pacchetto di aiuti è stato approvato sia dalla Camera dei Rappresentanti che dal Senato, ma le due proposte approvate differiscono su alcuni temi come l’aumento del salario minimo, la cancellazione dei debiti scolastici per gli studenti, le facilitazioni alla mutua per tutti gli americani. Per abbinare i due progetti è stata creata una commissione “tecnica non politica”. In questa commissione c’è stata la bocciatura.
Ad aizzare il furore politico, poi, l’opposizione dei repubblicani alla nomina di Neera Tanden, scelta dal presidente Biden per dirigere l’ufficio della programmazione finanziaria della Casa Bianca. Una pedina che il presidente ritiene fondamentale per la gestione dei mille e novecento miliardi dello stimolo economico. Le obiezioni da parte dei repubblicani non sono sulla sua abilità di gestire questo fiume di danaro, ma su alcuni tweet che Neera Tanden, senza avere nessun incarico pubblico, ha postato esprimendo opinion e giudizi sui repubblicani, definendo Ted Cruz “vampiro” e Susan Collins” una donna antifemminista” perché votò a favore della nomina di Brett Cavanaugh alla Corte suprema. Sciocchezze in confronto alla valanga di insulti quotidiani postati dall’ex presidente o da molti altri senatori che la ostacolano, come il senatore democratico Joe Manchin che votò a favore della nomina di Jeff Session come Attorney General di Trump nonostante la leadership del partito fosse contraria a questa scelta. O l’ex ministro degli Interni dell’Amministrazione Trump, Ryan Zinke che nei tweet scriveva che Hillary Clinton era l’anticristo. O quelli dei parlamentari repubblicani che postano sui loro siti le foto con le milizie armate e con i seguaci dei QAnon e che hanno scaricato velenosi insulti perché Neera Tanden è di origine indiana e di religione indù.
A guidare la battaglia per la bocciatura è proprio il democratico Joe Manchin della West Virginia, piccato dalle interviste televisive fatte alla vicepresidente Kamala Harris alle televisioni dello Stato che lui rappresenta senza che la Casa Bianca lo abbia precedentemente informato. Uno sgarbo, ma di sicuro non una azione tale da poter sabotare una nomina, però il suo voto è fondamentale ed evidenzia la fragilità della maggioranza democratica al Senato. Questo perché la Camera Alta è formata da 50 democratici e 50 repubblicani. Solo in caso di parità di voti il presidente del Senato, che è il vicepresidente, da’ il voto finale. Se uno solo dei democratici non vota con il resto dei colleghi di partito la maggioranza viene meno. Ed ecco che ora Manchin ha i suoi 15 minuti di tirannia.
Biden, poi, dopo che ieri sera i bombardieri americani hanno preso di mira in Siria le postazioni dei miliziani appoggiati dall’Iran in risposta a un attacco missilistico ad una base militare americana, è ora alle prese con un’altra crisi internazionale dopo che i servizi segreti hanno collegato l’uccisione del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi al principe ereditario saudita Muhammad bin Salman. Enorme problematica per gli Stati Uniti sia per gli interessi economici, che per il rispetto dei diritti umani, cavallo di battaglia di Biden, e le alleanze mediorientali dove l’Arabia Saudita con Israele è un partner indispensabile, in un momento in cui l’Iran sta facendo pressioni su Washington affinché ritorni nell’intesa sul nucleare iraniano del 2015. Biden ha aperto al negoziato. Da capire cosa succederà dopo questo bombardamento.
Nel pomeriggio Biden è andato in Texas per vedere di persona i danni causati dall’ondata di gelo che ha investito la settimana scorsa lo Stato. Così, in un solo giorno, il 78enne capo della Casa Bianca è impegnato contemporaneamente su tre fronti differenti: interno, politico, ed estero.