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Trump colpevole anche tra i repubblicani, ma i voti al Senato non bastano per la condanna

57 senatori (7 del Gop) voti per la colpevolezza non confermano la condanna di Trump che viene assolto: Mitch McConnell vota no e poi in un discorso lo accusa

Massimo JausbyMassimo Jaus
Time: 4 mins read

Assolto. 57 voti per la condanna 43 per l’assoluzione. Donald Trump per la seconda volta è sfuggito alla giustizia del Senato. Sette repubblicani hanno votato con i democratici, per condannarlo serviva il voto di altri 10.

Cala così il sipario sul secondo impeachment dell’ex presidente dopo giorni di dibattito al Senato. Nessuna sorpresa, il copione era già stato scritto dalla paura di inimicarsi l’ex presidente. Lo si era visto al primo impeachment, quello in cui era accusato di aver bloccato i fondi approvati dal Congresso all’Ucraina fintanto che i leader di Kiev non avessero presentato prove o avviato indagini giudiziarie per screditare il figlio di Joe Biden che siedeva nel consiglio di amministrazione di una societa’ energetica ucraina. Nonostante le prove dei maneggi e delle pressioni, delle testimonianze dei diplomatici, fu assolto, come assolto e’ stato oggi.

L’ultima certezza all’assoluzione l’aveva data Mitch McConnell, il leader repubblicano del Senato che con una email mandata questa mattina, prima ancora che requisitoria e l’arringa finale fossero state fatte. “Voterò per l’assoluzione” scriveva McConnell sottolineando che il suo “è un voto di coscienza”. A quel punto nessuno si era fatto illusioni.

Durissime le parole del leader della maggioranza democtatica Chuck Schumer che ha definito l’assoluzione di Trump una delle pagine più ocure della storia Americana. Poi anche la Speaker del Congresso, Nancy Pelosi, non si frena più e furiosa dice: “Quello che abbiamo visto oggi qui in azione è un gruppo di codardi repubblicani!”.

 

Durissime le parole dello stesso Mitch McConnell che dopo aver votano no, ha condannato l’ex presidente affermando che l’assalto dei 6 gennaio è stata la conseguenza delle azioni del presidente e ha spiegato perché ha votato contro l’impeachment: per lui costituzionalmente serve per rimuovere un presidente in carica e non per un presidente che non era più alla Casa Bianca ma ribadendo che l’ex presidente è moralmente responsabile per l’attacco al Campidoglio. McConnell ha poi ha suggerito che Trump potrebbe rispondere delle sue azioni in una corte di giustizia ordinaria dato che non è più protetto dalla sua carica presidenziale. Incredibilmente dopo il verdetto una ventina di senatori repubblicani hanno affermato che per loro Trump era colpevole, ma hanno sposato, o forse si sono aggrappati, alla tesi di McConnell che era inutile mettere sotto impeachment un presidente che non era più in carica, e così hanno votato per la non condanna.

La quinta ed ultima udienza si era aperta con una mossa a sorpresa dell’accusa, che aveva chiesto e ottenuto la possibilità di convocare testimoni, col sostegno di cinque senatori repubblicani. Il primo doveva essere Jaime Herrera Beutler – congresswoman repubblicana che aveva votato per l’impeachment di Trump – convocata dopo le sue esplosive rivelazioni dei giorni scorsi. La parlamentare aveva detto di essere stata presente alla drammatica telefonata che Kevin McCarthy, capo della minoranza repubblicana alla Camera, aveva fatto al presidente mentre il Campidoglio veniva preso d’assalto. Una telefonata avvenuta nel primo pomeriggio quando ci sarebbe stato tutto il tempo per fermare le violenze. Nel corso della conversazione Telefonica il presidente affermava di essere in sintonia con quanti erano entrati al Congresso per bloccare la certificazione elettorale della vittoria di Biden. Parole pesantissime finite poi in insulti tra Trump che accusava McCarthy di essere meno preoccupato del risultato elettorale di quanto lo fossero i ribelli e il leader della Camera incollerito e sdegnato che rispondeva al presidente: “Ma chi ca..o pensi di essere?”

Dopo ore di discussioni a porte chiuse si è deciso di accettare la testimonianza scritta della parlamentare.  Quindi accusa e difesa sono passate alle arringhe conclusive.
“Il voto di oggi è quasi certamente come sarete ricordati dalla storia” aveva detto il leader dei manager Jamie Raskin concludendo dopo due ore la sua chiedendo di condannarlo. L’assoluzione, ha ammonito, metterà il Paese in una strada pericolosa: “E’ questa l’America che volete? Il Paese è ora letteralmente nelle vostre mani”, ha concluso. “Questo impeachment – ha detto Michael Van der Veen, il leader degli avvocati di Donald Trump – è stata una farsa dall’inizio alla fine. Si è trattato di una vendetta politica contro Trump da parte dei democratici. Assolvere l’ex presidente e difendete il diritto di espressione sancito dalla Costituzione di questa grande repubblica”. Subito dopo il voto di assoluzione.

Il presidente Donald Trump (Illustrazione di Antonella Martino)

Questo stato un processo politico e i fatti, le testimonianze, le prove, hanno avuto una importanza secondaria rispetto alla convenienza politica dei giurati. Il giudizio finale di questo tribunale non è basato sulla verità e sulle responsbilità dell’accaduto, ma sull’interpretazione del modo in cui l’elettorato accetterà la decisione dei senatori-giurati. Ognuno di loro ha il proprio distretto elettorale da accontentare. L’anno prossimo 34 seggi del Senato sono al voto e 20 sono in mano ai repubblicani. E questi 20 repubblicani dovevano decidere oggi se votare secondo secondo giustizia e scontrarsi con i milioni di sostenitori dell’ex presidente o se capitalizzare politicamente sul loro sostegno votando per l’assoluzione. Per la condanna di Trump sarebbe stato necessario che 17 senatori repubblicani si unissero ai 50 democratici, per raggiungere la maggioranza qualificata richiesta. Solo sette hanno avuto il coraggio di farlo. Richard Burr, Bill Cassidy, Susan Collins, Lisa Murkowski, Mitt Romney, Ben Sasse, Pat Toomey. Gli altri hanno preferito non rischiare la loro carriera politica. 

Trump non è più presidente, ma continua a dettare le regole nel partito e oggi ha vinto ancora lui.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Sposato, 4 figli. Studia antropologia della musica alla Adelphi University. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga. Married, 4 children. Studies Anthropology of Music at Adelphi University.

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