“Ci ha deluso, non avremo mai dovuto seguirlo.” Con queste parole, Nikki Haley molla definitivamente Donald Trump in una lunga intervista rilasciata al quotidiano online Politico. L’ex ambasciatrice americana all’Onu non aveva mai criticato in maniera cosi dura e trasparente l’ex Presidente USA. Durante il suo mandato al palazzo di vetro, Haley è sempre rimasta neutrale, camminando attentamente sulla linea sottile che separa i Trumpisti dai repubblicani tradizionali. Nel 2018, fu una delle poche persone a lasciare l’amministrazione Trump “in buoni rapporti”, senza cadere vittima di critiche o insulti provenienti dal profilo Twitter dell’ex Presidente.
L’improvviso e inaspettato cambio di passo da parte di Nikki Haley rappresenta un riposizionamento ideologico in vista delle elezioni del 2024. Cosi facendo, Haley si candida a guidare la corrente moderata del partito repubblicano, che si andrà inevitabilmente a scontrare contro Trump, o contro chi al suo posto ne prenderà l’eredità politica. Il Grand Old Party non ha mai nominato una donna alla Presidenza, e per di più non nomina un ebreo da più di 57 anni. Nikki Haley potrebbe dunque rappresentare una svolta identitaria oltre che una svolta ideologica.

La coalizione ebraica repubblicana è una di quelle più affini ai valori della destra libertaria che ha per anni caratterizzato la politica economica del partito. Valori che si sposano alla perfezione con la visione di Nikki Haley, forte sostenitrice del capitalismo e del libero mercato. Inoltre, Haley ha sempre curato con particolare interesse i rapporti con Israele, essendo stata una delle primissime firmatarie nel riconoscere Gerusalemme come legittima capitale dello stato ebraico. Se a questo si aggiunge l’odio che la coalizione ebraica nutre nei confronti di Donald Trump – tenuto in sordina solo grazie allo strepitoso lavoro di Jared Kushner nel Medio Oriente – allora il dado è tratto. Tutto ci porta a pensare che la potente e influente coalizione ebraica sponsorizzerà la candidatura di Nikki Haley nel 2024, con la speranza di tornare alle posizioni di un tempo. Abbiamo già potuto constatare, con le recenti primarie del partito democratico, quanto sia importante avere un flusso finanziario costante durante l’intera campagna elettorale. Un endorsement del genere non può che aiutare le ambizioni presidenziali di Haley.
L’ostacolo che più preoccupa l’ex ambasciatrice rimane, senza ombra di dubbio, il 79% di gradimento che Trump ancora detiene con l’elettorato Repubblicano. Da leggere sotto quest’ottica le dichiarazioni pungenti rilasciate da Haley nei giorni scorsi: “Non penso Trump possa correre di nuovo tra quattro anni, è caduto troppo in basso”, e ancora “non possiamo permettere che una cosa del genere accada di nuovo.” Certo, l’ideale per Haley sarebbe che l’impeachment andasse in porto, cosi che Trump venisse escluso a vita da qualsiasi incarico pubblico. Ma data l’improbabilità di un tale evento, Haley deve trovare un modo per vendersi all’elettorato anche nell’ipotesi di una ricandidatura di Donald.

Un modo per farlo è rimarcare l’unicità della sua candidatura: una donna ebrea di origini indiane che corre in un partito storicamente bianco e omogeneo. Questo approccio è in linea con i dati fuoriusciti dalle ultime elezioni presidenziali: le minoranze e le donne – proprio quei gruppi che avrebbero dovuto rappresentare la base della coalizione democratica – si sono spostati verso i repubblicani. Nikki Haley può ambire a diventare la voce di questa base elettorale, se non strettamente per l’aspetto ideologico, quantomeno per quello identitario. Un posizionamento del genere sarebbe particolarmente decisivo se il partito democratico dovesse virare ancor di più a sinistra, spingendo una buona fetta del proprio elettorato ad interrogarsi se sia meglio turarsi il naso e votare per qualcuno “dell’altra sponda”. L’aspetto indentitario sarebbe un bel biglietto da visita da presentare a questi elettori storicamente sensibili a temi del genere.
Haley può diventare il trait d’union tra democratici e repubblicani moderati, isolando gli estremismi sia a destra che a sinistra. Avrebbe tutte le carte in regola per farlo, non solo dal punto di vista ideologico, ma anche da quello identitario. Forse è veramente questo l’unico modo per dare nuova linfa vitale a un partito che altrimenti rischia di spaccarsi e cadere nell’irrilevanza.