Quanto sta succedendo in Italia – di oggi sono le dimissioni del Presidente del Consiglio Conte – non è probabilmente di facile lettura per chi vive oltreoceano, anche se conoscitore delle cose italiane. Perché in Italia una crisi di governo adesso? Una delle ragioni è che il sistema politico italiano si muove pensando anche alla corsa per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica che avverrà tra un anno esatto: il mandato di Sergio Mattarella scade, infatti, il 2 febbraio 2022 e questa data pesa come un macigno su ogni strategia ed azione dei partiti e schieramenti. Forse anche più della legge elettorale e dei sondaggi. In Italia il Presidente della Repubblica non ha un ruolo esecutivo come nelle democrazie presidenziali, si dirà. E’ vero, ma dalla fine della cosiddetta Prima Repubblica e dall’elezione di Oscar Luigi Scalfaro nel 1992 in poi, il Presidente della Repubblica ha acquisito un ruolo sempre più centrale all’interno della vita politica italiana.
Vediamo allora lo scenario attuale fissando quattro punti.

Punto numero uno: il Movimento 5 Stelle dall’alto dei suoi 283 grandi elettori (su 1008) vuole legittimamente avere, in quanto partito di maggioranza relativa, voce in capitolo nell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica.
Punto numero due: il Partito Democratico – seconda forza in termini numerici del governo oggi dimissionario – ha espresso gli ultimi due Presidenti della Repubblica, nel 2015 Sergio Mattarella (il premier allora era Matteo Renzi del PD) e nel 2006 Giorgio Napolitano (l’Ulivo a trazione DS/PD di Romano Prodi aveva appena vinto le elezioni politiche). Prima di loro le componenti ex comunista ed ex democristiana dell’attuale PD hanno sponsorizzato l’elezione dei due Presidenti precedenti: nel 1999 Ciampi (il premier era Massimo D’Alema, dei DS, costola centrale del futuro PD) e nel 1992 Oscar Luigi Scalfaro (il premier era Giulio Andreotti, ma furono decisivi i voti dell’allora PDS, embrione del PD). Andando ancora più indietro il PCI votò insieme alla DC sia Sandro Pertini nel 1978 che Francesco Cossiga nel 1985.
I dirigenti di tutti i partiti – a maggior ragione quelli di maggioranza – sanno quanto sia importante il ruolo del Presidente della Repubblica sia nello scegliere il Presidente del Consiglio e i ministri (art. 92 Cost. “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri“) e sia nell’indirizzare scelte politiche dell’ultimo trentennio: ricordiamo il no di Scalfaro all’incarico a Craxi nel 1992, le frizioni tra Ciampi e Berlusconi in politica estera, la scelta di Mario Monti fatta da Giorgio Napolitano nel 2011, lo stop per elezioni anticipate nel 2017, il “non incarico” al centrodestra per formare un governo di minoranza nel 2018. Il ruolo del Presidente è centrale e ancor più nei momenti chiave. Ed in Italia di questi momenti ce n’è in media uno ogni anno.

Punto numero tre: Silvio Berlusconi. Nel caso di elezioni politiche anticipate questa primavera e la vittoria probabile, stando ai sondaggi, del centrodestra, il Cavaliere potrebbe andare sulla sedia più alta del Colle, eletto a maggioranza assoluta al quarto turno (le prime tre sono votazioni sono a maggioranza dei due terzi del parlamento e solamente un accordo ampio porta all’elezione immediata del Presidente; per capire quanto questo sia difficile basti pensare che dal 1948 ad oggi solamente due Presidenti su tredici sono stati eletti al primo scrutinio: Francesco Cossiga nel 1985 e Carlo Azeglio Ciampi nel 1999).
Punto numero quattro: in questo quadro c’è un ulteriore elemento che forse da oltreoceano sfugge. Dal 3 agosto 2021 poi è impossibile indire elezioni politiche, perché scatta il cosiddetto “semestre bianco” (da dettato costituzionale non si possono sciogliere le Camere nei sei mesi precedenti alla scadenza del mandato presidenziale), pertanto o gli italiani vanno al voto nella primavera del 2021 o se ne riparla in quella del 2022, dopo l’elezione del nuovo Presidente; anche se questa possibilità appare comunque lontana, dal momento che il primo atto del nuovo Presidente eletto nel febbraio del 2022 sarebbe il quasi immediato scioglimento delle Camere…. Tutto può essere, ma se si chiude questa “finestra elettorale” della primavera 2021, c’è il rischio si vada a scadenza naturale della legislatura nel marzo 2023, obbligando le forze di questa o di altra maggioranza a due anni difficili.

Tornare alle urne adesso? Improbabile perché in base ai sondaggi che si leggono il Movimento 5 Stelle ne uscirebbe indebolito e sul PD aleggia l’ombra del possibile partito di Conte – di cui tutti parlano – e che pescherebbe in primis nell’elettorato PD.
Dunque cosa succede da oggi? Un Conte ter, governo di unità, governo di scopo, di larghe intese, elezioni politiche chi lo può sapere…ma ogni mossa ha sullo sfondo sì la formazione di nuovo governo del paese, ma anche quella dell’elezione del Presidente della Repubblica….e si prospetta come una “partita” per niente semplice.
Per eleggere il nuovo Presidente ci voglio 1008 grandi elettori (inclusi presidenti delle camere, senatori a vita, delegati regionali): la maggioranza assoluta è fissata in 505. Secondo una precisa ricostruzione numerica di Alessandro Balistri sul Corriere della Sera del 23 dicembre scorso, l’attuale area di governo più Italia Viva (i “renziani” che si sono astenuti dalla fiducia la scorsa settimana) ed i parlamentari del gruppo Misto e autonomisti può contare con 545 grandi elettori (includendo i delegati regionali). Le opposizioni arrivano a quota 459 elettori, sempre includendo i rappresentanti delle Regioni. In pratica ci sono solamente 86 voti di scarto. Ed è qui il problema, che si è acuito nell’ultimo mese con la crisi di governo, ma che viene da lontano con “mal di pancia” vari all’interno degli stessi partiti di governo. Basterebbero una quarantina di “franchi tiratori” di maggioranza (l’elezione è a scrutinio segreto.. e ricordiamo cosa successe a Arnaldo Forlani nel 1992 che mancò un’elezione “certa” per 29 voti e a Romano Prodi nel 2013 con i famosi 101 che gli voltarono le spalle nell’urna) per far mancare il quorum di 505 voti necessari e, persino, per ribaltare il verdetto.

E quindi, come diceva Luigi Barzini (studiò giornalismo alla Columbia) nel suo libro Gli italiani del 1963, la vita pubblica italiana è spesso “una messa in scena”, per cui tutto è possibile… Non rimane che sederci in poltrona e vedere che succede avendo chiaro sullo sfondo l’importante appuntamento del febbraio 2022.
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