Al suo discorso d’insediamento il presidente Biden ha voluto dare un seguito con un gesto che non può essere liquidato come una semplice reazione politica. Mi riferisco alla firma di ben 17 decreti che difatti determinano un’inversione di rotta con la politica di Trump e la rottura con anni di continue ferite inferte alla democrazia e, ancor prima, alla dignità delle persone e ai diritti delle cosiddette minoranze.
Ma non è solo e primariamente questo che va letto nel gesto del 46° presidente degli Stati Uniti. Mi spiego. Biden ha firmato provvedimenti che vanno dal modo di affrontare la pandemia da Covid 19, all’immigrazione, alle problematiche del clima tornando nell’accordo di Parigi, al rientro nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla moratoria, pur se temporanea, sugli sfratti e i pignoramenti e alla sospensione delle rate dei prestiti agli studenti. Diversi, inoltre, gli interventi che vogliono ristabilire una politica d’inclusione e, quindi, contro tutte le forme di discriminazione di razza, di sesso e religione. Insomma, analizzando questi decreti, i destinatari degli stessi, i loro campi d’intervento e d’azione, le loro modalità e finalità non ci si può limitare a interpretarli soltanto come una doverosa “rottura frontale” con la dannosa e catastrofica politica trumpiana.
Il fondamento di queste scelte risiede nelle convinzioni profonde di Biden e dei membri della sua amministrazione ed è un atto di una vera e propria “strategia politica”. Cosa ha voluto dire il Presidente quando nel suo discorso ha parlato di fragilità della democrazia: «Oggi celebriamo il trionfo non di un candidato, ma di una causa, la causa della democrazia. Il popolo, la volontà del popolo, è stata ascoltata, e la volontà del popolo è stata tenuta in conto. Abbiamo imparato ancora una volta che la democrazia è preziosa. La democrazia è fragile».
Se da un lato si riconosce la “preziosità” della democrazia dall’altro si richiama anche alla sua “fragilità”. Sì, perché un sistema democratico va sempre irrobustito, curato, verificato come una pianta. Per crescere e resistere, una pianta non va semplicemente innaffiata, ma anche concimata, va cambiato il terreno, va trattata per difenderla dai parassiti e va esposta al sole… Come curare, allora, la democrazia dalle sue ferite e dai suoi vulnus? La democrazia si cura, si ripristina con la “terapia dei valori” umani e sociali, con il dialogo costruttivo con tutte le realtà della società americana e quelle del mondo, il rispetto dei diritti degli ultimi, delle minoranze, dell’ambiente e del clima. Ancora: con un’economia inclusiva e che tuteli chi non riesce a “competere” e con un’equa ed etica distribuzione delle ricchezze…. Uno statista italiano, di quelli con la “S” maiuscola come Aldo Moro, pugliese di Maglie nel leccese, ucciso dalle Brigate rosse nel 1978, nel lontano 1963 disse che «Il domani non appartiene ai conservatori e ai tiranni, ma appartiene agli innovatori attenti, seri, senza retorica». E le parole di Biden ci sembrano andare in questo senso.

Il difficile compito del nuovo corso presidenziale americano, però, deve evitare il rischio di non ascoltare e non rispondere adeguatamente al grido dei poveri, degli emarginati, degli esclusi ed “arrabbiati” d’America e del mondo. L’amministrazione Biden deve impegnarsi a realizzare una definizione che sempre Aldo Moro diede della politica: «La politica deve essere capace di trasformare la rabbia della gente in speranza». La democrazia americana e del mondo si cura dissetando la sete di dignità, giustizia e libertà che sale dagli States e dal Pianeta. Al Congresso della Democrazia Cristiana del 1973 ancora Moro sentenziò: «Noi saremo giudicati sulla base della nostra capacità di interpretare questi fenomeni di liberazione e di prendere su di essi una posizione appropriata».
Vi è ancora un’altra “medicina” che rafforza e innerva la democrazia: la pazienza. Le cose che valgono veramente nella vita non possono essere facili e immediate; il seme gettato nella terra perché porti frutto ha bisogno del suo tempo. Il cammino che spetta all’America è lungo e tutto in salita ma è certamente necessario e affascinante. Rispondere d’istinto in questo momento sarebbe molto rischioso per Biden. Bisogna rispondere non alla “vendetta politica” ma alla giustizia e alla dignità dell’uomo e delle istituzioni democratiche. E questo richiede pazienza e saggezza.
Un esempio: il nuovo corso politico deve aiutare anche i repubblicani a purificarsi dal trumpismo perché una sana dialettica con l’opposizione ristabilisca una politica sana e un costruttivo confronto. Ha ragione il filosofo Andrea Lavazza a commentare così l’insediamento di Joe Biden:
«Oggi possiamo salutare la resilienza della democrazia che ha mostrato di nuovo il suo volto migliore, proprio dove era stata sfidata pochi giorni fa. Il richiamo di Biden alla sua fragilità e “incompletezza” deve renderci comunque consapevoli che si tratta di un bene prezioso che non è mai acquisito definitivamente e che poggia su valori da non disperdere, rappresentati ieri dalle Bibbie su cui i nuovi leader hanno promesso fedeltà alla Costituzione. Un bene che va coltivato con pazienza e unità, sapendo che basta davvero poco per distruggere quello che si è costruito nel tempo e si dava per scontato».
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