C’è qualcosa di stranamente genuino ed incredibilmente efficace nel diminuire lo spazio tra audience e politica, qualcosa di umano e allo stesso tempo vincente, sia quando si parla di numeri sia quando viene condivisa una banale ricetta del pane. Alexandria Ocasio-Cortez è la deputata più social dell’anno: nel suo ultimo post Instagram si fa somministrare il vaccino Pfizer-BioNTech e risponde ad un Q&A nelle live stories, senza filtri e senza timore. Per capire il fenomeno, analizziamo l’ascesa virtuale dall’ex candidata grassroots e attuale deputata democratica al 14° Distretto di New York.
Ask me anything. E’ il titolo di un Q&A sponsorizzato su Reddit.com, il post del feed Instagram è datato 12 ottobre 2017. La Ocasio-Cortez correva per l’elezione al Congresso di NY e totalizzava 905 likes con 29 commenti. Il 14 dicembre dell’anno corrente 2020 la deputata indossa una mascherina e si aggira per Astoria, New York, in cerca degli ultimi regali di Natale. La caption è chiara “support small businesses”, segue un elenco di negozi dove lei stessa ha fatto degli acquisti: totale 719mila likes e 3.035 commenti. Se nel 2017 potevamo chiedere qualsiasi cosa ad Alexandria, oggi questo non è cambiato. Anzi è lei a mettere play il pulsante rec della fotocamera e a posizionarla sul tavolo mentre prepara la cena, così potrà grattugiare i limoni e parlarci dello stimulus check (bonus covid) per i cittadini USA: «Stimulus checks should be a pandemic thing, not a democratic thing, not a republican thing.»
Abbiamo di fronte un vero e proprio storytelling abilmente plasmato sin dalla sua esperienza come organizzatrice della campagna per Bernie Sanders. Oggi AOC è il simbolo del vento progressista, socialista e democratico; nel documentario firmato Netflix Knock Down the House (2018) sbirciamo invece in un passato ben diverso dove lavorava come cameriera e preparava la sua ascesa al Congresso fronteggiando Joseph Crowley. L’elemento comune in ogni fase della sua costruzione narrativa è l’azione, un fattore chiave che la pandemia ha messo duramente alla prova. Lì dove compare un tweet, una foto o un sondaggio, persiste l’operatività attuata in campagna: la politica nelle strade, la forza dei mass movements e il senso di comunità, di cui i social media sono il mezzo e non il fine. Il 4 giugno, durante le proteste di George Floyd, si fa fotografare mentre distribuisce mascherine KN95. Solo pochi giorni prima aveva pubblicato un’infografica su come protestare in sicurezza durante l’emergenza covid. A ottobre, la propaganda per la presidenza di Biden trova poi spazio anche su Twitch, una piattaforma streaming di gaming dove AOC partecipa ad Among Us insieme ad altri player. Più di quattrocentomila spettatori si collegano e ascoltano i perché sull’importanza del loro voto.
Qual è allora l’ingrediente segreto di una comunicazione politica social nell’era covid? Per AOC la risposta sembra trovarsi nell’abbattimento del muro, o senza mezzi termini nella sua abilità di metterci la faccia. Ogni occasione, anche l’ora d’aria tra le strade di New York, è utile per filmarsi e parlare di sanità, occupazione, sussidi, incarcerazioni di massa, questioni razziali, elezioni, etc..
Nel video realizzato recentemente con Vanity Fair dichiara di gestire personalmente Instagram e Twitter, mentre per Facebook si avvale di un team. In una delle due prime stories all’interno del Congresso filmò un’ala interna scrivendo Welcome to Hogwarts, un gesto adorabile e fuori dagli schermi. Passiamo però alle attività più strutturate: discretamente furba è la scelta di condividere i suoi appunti. Il 28 luglio pubblica una foto dell’agenda per mostrare al pubblico la genuinità del suo speech on the violence of misogyny and abuse of power in the workplace. Poche righe, parole chiave, e una caption che spiega le motivazioni appassionate della sua improvvisazione. Non una novità, visto che AOC è solita condividere post-it e appunti sulle issues affrontate in Congresso, spesso accompagnate da Q&A con i suoi fan. Filmare le fasi di preparazione, immortalarle fotograficamente, sono attività che vanno al di là del feed di Instagram: il retrogusto documentaristico forgia lo spessore di questi contenuti, li trasforma in veri e propri documenti. Un archivio storico per i posteri.
La fanbase social di AOC ha un significato ben diverso da quello che potrebbe avere un fashion brand o un food service. Vuol dire voti, community, idee e cambiamento. Questo concetto apparentemente scontato sfugge spesso a chi fa politica sui social: non è una gara a chi raggiunge più follower, non può esserci frammentazione e competizione, bensì comunicazione trasparente e semplificata di un preciso programma politico. Il fenomeno AOC va infatti considerato come un case study per la sua viralità: guardando un video sul suo canale IGTV impariamo i key points delle sue campagne, sappiamo per cosa combatte e con chi lo fa, ovvero la comunità.
La strategia crossmediale è evidentemente esplosa a ridosso della vittoria al Congresso. La comunicazione si stravolge, il suo staff la trasforma in un simbolo sfruttando un visual grafico accattivante, colorato e moderno. Talmente impattante da fare sold out sul merchandise di t-shirt e felpe. Il suo posizionamento politico viene rafforzato da un’immagine claim bold e netta, chiara e informativa (da notare la punteggiatura del cognome, nel rispetto delle sue origini portoricane). Una costruzione interessante che lascia comunque spazio ai momenti più intimi di AOC, che pochi giorni fa ha condiviso nelle stories la sua pagnotta in forno fatta in casa, riflettendo sul virus, sulla necessità della pazienza e sul miracolo di pochi ingredienti per sentirsi meglio: flour, water, yeast, salt.
Dov’è il trucco? Il punto è che, per una volta, lo schermo di un telefono diventa ponte e non barriera, canale e non demistificatore. Non solo di una comunicazione politica tangibile, aperta e stratificata, ma di uno stile di vita dichiarato, condiviso e sua volta condivisibile. Il punto non è “cosa hanno fatto gli altri”, ma “cosa abbiamo fatto noi”, tema peraltro del suo ultimo video IGTV intitolato 2 Years in 2(ish) Minutes. Dove Trump potrebbe aver fallito, tra un tweet e l’altro, lì c’è AOC.