Si è ormai aperto un nuovo capitolo delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, le due potenze più grandi che insieme producono circa un terzo del PIL mondiale, a loro fa capo anche la metà della spesa militare globale. Negli ultimi mesi, molti parlando di “nuova guerra fredda”, mentre altri sostengono che questa non ci potrà essere perché le due economie sono troppo interconnesse. Intanto assistiamo ad una crescente competizione relativa soprattutto alle nuove tecnologie, al 5G e le app, come TikTok, WeChat e molte altre.
Inoltre la pandemia di Covid19 ha complicato la situazione e solo pochi giorni fa, il 2 ottobre, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato di risultare positivo a Covid-19 insieme a sua moglie Melania. Al momento è ricoverato al Walter Reed National Military Medical Center, e i media cinesi non hanno perso tempo per muovere critiche al presidente USA, in particolare è stato il Global Times ad accusarlo per la cattiva gestione della pandemia.
Appena più di una settimana fa, durante il dibattito della 75° Assemblea Generale dell’ONU, Trump ha incentrato i suoi 7 minuti di discorso, ad accusare il Dragone. E sempre durante la settimana di UNGA75, gli scontri tra le due potenze sono proseguiti anche tra gli ambasciatori al Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, in cui l’ambasciatrice degli Stati Uniti Kelly Craft ha ribadito le accuse per le responsabilità della pandemia ed ha affermato che l’OMS sarebbe corrotta.

(Facebook)
L’approccio assertivo-aggressivo degli Stati Uniti verso la Cina, “va ad inserirsi nella narrativa della nuova guerra fredda, accelerandone l’ideale e accentuando l’idea che le relazioni tra i due paesi possano precipitare” osserva Giulia Sciorati.
Strategia e narrativa di Trump
La professoressa Raffaella Baritono ha osservato che la narrativa attuale degli Stati Uniti “si centra sulla necessità di Trump di rafforzare un discorso nazionalista. Ogni discorso di questo tipo devo individuare un nemico, e la Cina è un attore significativo dal punto di vista della sfida delle relazioni commerciali e della sfida egemonica”. Infatti la costruzione della Cina come un nemico, faceva già parte dell’idea della campagna elettorale di Donald Trump nel 2016. Quattro anni fa, “Trump criticava le politiche obamiane”, ed ora, la sua campagna elettorale è rafforzata con la pandemia, “non a caso Covid-19 è cinese”. Queste accuse da parte di Trump sono funzionali in un discorso nazionalista, poiché “è in grado di mobilitare la base elettorale del partito repubblicano e sollecita istinti patriottici all’interno della campagna elettorale”, che secondo la professoressa Baritono “è seriamente riduttiva e pericolosa”. Inoltre la professoressa analizza che, “gli Stati Uniti stanno vivendo un momento di tensione istituzionale”, che “non riguarda solamente l’uso di un linguaggio aggressivo”, ma “è anche una strategia di polarizzazione politica che sta mettendo a dura prova i delicati meccanismi istituzionali”. “Dunque la questione cinese si inserisce in un contesto in cui la tenuta democratica statunitense è in grande ambasce”.

Come vive la Cina questo momento di scontro?
Alla domanda risponde Simone Pieranni, affermando che “questo scontro, voluto Trump”, “ha permesso al Partito comunista cinese di aizzare il proprio nazionalismo interno, e quindi anche di mascherare tutta una serie di difficoltà che esistono nel sistema cinese”, come “il rallentamento economico, causato non solo dalla pandemia, ma anche dai dazi economici statunitensi e le problematiche cinesi dai tempi quasi imperiali”, come, “la difficoltà di collegare il centro e la periferia, i debiti pubblici delle varie amministrazioni, il sistema giudiziario…”. Insomma, secondo Pieranni “lo scontro con Trump è servito anche a Xi Jinping per accreditarsi molto a livello internazionale come potenza responsabile”. Ma Pieranni crede che “la Cina abbia fortemente sottovalutato l’impatto di Trump sulla narrativa occidentale, perché la questione del ‘chinese virus’, più o meno edulcorata alla maniera di Trump, è passata nell’opinione pubblica occidentale; ovvero tutti, ormai, ritengo che la Cina, a causa dei suoi problemi interni, abbia comunque nascosto la nascita dell’epidemia, quindi sia di fatto responsabile”. Allo stesso modo, ritiene che “l’arretrare degli Stati Uniti, anche a causa della politica di Trump, abbia permesso alla Cina di avanzare in una serie di organismi. L’OMS è uno di questi, ed è innegabile che la Cina abbia un peso molto forte”. In effetti, in questi giorni, si parla della conquista della Cina dell’ONU, perché guida ben 5 agenzie. Pieranni non nega l’influenza cinese, ma ritiene che ci sia una sottovalutazione quando la Cina deve inserirsi in un discorso occidentale. “Ancora la diplomazia cinese non è in grado di inserirsi in maniera corretta nel dibattito internazionale” ha affermato.
Per quanto riguarda l’economia cinese, che secondo i dati, non risulta essere stata particolarmente intaccata dal virus, Pieranni commenta che “i dati vanno presi un po’ per quello che sono, poiché è innegabile che ci troviamo di fronte a due propagande”. “La Cina, da sempre, utilizza i dati in maniera propagandistica”. Inoltre, aggiunge che la Cina sta ancora pagando un grande gap a causa delle sanzioni di Trump.

La competizione tecnologica
La competizione tecnologica è poi uno dei nodi fondamentali di tutta la competizione tra Cina e Stati Uniti. Secondo Giulia Sciorati, il nodo cruciale della competizione è stato l’annuncio di “Made in China 2025” quando la Cina ha deciso di insidiare il ruolo classico degli Stati Uniti come il punto di riferimento delle tecnologie a livello mondiale.
Perché il primato tecnologico è una parte così importante della politica odierna di Pechino?
Simone Pieranni spiega che i cinesi, in realtà, non hanno bisogno dello scontro con gli Stati Uniti, ma la Cina vuole solo colmare il gap a livello tecnologico. Per questo, dalla fine degli anni ’80, il Partito comunista cinese ha deciso di finanziare molto più che in passato la ricerca e lo sviluppo tecnologico, in particolare proprio dopo le proteste dell’89, elevando il ruolo degli scienziati, che in precedenza erano stati messi in secondo piano.
Parlando di “sovranismo digitale, Youtube, Facebook, Google hanno avuto difficoltà ad entrare nel mercato cinese e questo ha permesso alle aziende nazionali di potenziarsi e di andare poi all’esterno”, proponendo però un diverso modello di business, ha spiegato Pieranni.
“Durante questo percorso la Cina è andata avanti mano nella mano con gli Stati Uniti”. La Cina dunque è riuscita a colmare parecchi di quei gap con gli USA, primo tra i quali quello del 5G, che ora è diventato proprio una delle cause scatenanti dello scontro, non solo tecnologico, ma anche più in generale dello scontro Cina-Stati Uniti. “E non è un caso che i primi dazi di Trump sono andati a colpire proprio i settori nei quali la Cina vuole potenziare l’automazione industriale e i veicoli a guida autonoma; insomma tutti quei settori ‘Made in Cina 2025′” ha spiegato Pieranni. “È curioso però che la risposta cinese sia stata invece molto politica, in quanto è andata a colpire gli allevatori del Midwest americano che costituivano una delle sacche elettorali di Trump”.
Perché gli Stati Uniti si preoccupano dell’ascesa di Pechino nel primato tecnologico?
5G significa punti di PIL e significa posti di lavoro, ma tutta l’innovazione tecnologica oltre al suo valore economico ha poi anche un valore a livello di immaginario, poiché noi, occidentali, siamo sempre stati abituati a percepire le novità, come internet o Apple, provenienti dagli Stati Uniti, di cui l’industria culturale ci ha condizionato. La Cina sa bene che TikTok è l’esempio principale di questa inversione di tendenza, ovvero un’applicazione creata dai cinesi che funziona anche in occidente.
Ma alla base c’è anche una questione politica ed una questione simbolica, poiché l’innovazione e il primato tecnologico sono stati il perno dell’ascesa degli Stati Uniti sin dalla fine dell’800. Lo sviluppo economico-industriale statunitense si è sempre basato sulla grande capacità di innovazione tecnologica perché era un elemento chiave che doveva sostenere la superiorità del modello economico statunitense e un modello economico che si proponeva come esempio. È dunque una questione simbolica, ma c’è anche una questione che riguarda la capacità degli Stati Uniti di continuare a imporsi come potenza egemone.
I diritti umani
Ultimamente gli Stati Uniti hanno attaccato la Cina anche per la questione dei diritti umani, nello Xinjiang, per la questione degli uiguri, ma anche per i manifestanti di Hong Kong, ed ha rafforzato i legami con Taiwan, un’altra realtà che ha rapporti complicati con Pechino. Ma in un momento come questo, non conveniva a Pechino mantenere lo status quo su Hong Kong, piuttosto che rafforzare la presa? Giulia Sciorati ha spiegato che lo status quo, a causa delle proteste, non era già più in mano a Pechino. Inoltre Hong Kong rappresenta un obiettivo a lungo termine per la Cina, per cui in un contesto di instabilità come quello attuale, la legge sulla sicurezza nazionale, si sposa perfettamente con l’obiettivo a lungo termine del Partito comunista cinese.

L’Europa in una posizione scomoda
L’Europa si trova in mezzo allo scontro e solo pochi giorni fa, Mike Pompeo, durante il suo tour in Europa, ha messo in guardia l’Italia, chiedendo di fare attenzione alla privacy dei suoi cittadini. “Il Partito Comunista Cinese sta cercando di sfruttare la sua presenza in Italia per i propri scopi strategici, non sono qui per fare partenariati sinceri, che portano benefici a entrambi” ha affermato il Segretario di Stato USA Mike Pompeo nell’incontro con il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Più in generale, durante il suo tour in Europa in questi giorni, Mike Pompeo ha voluto ricordare che l’UE è alleata storica degli Stati Uniti e deve quindi continuare a perseguire questa strada.
Come cambia il rapporto USA-Europa alla luce dei rapporti complicati USA-Cina?
La tradizionale Alleanza Atlantica “non starà benissimo” ha affermato la professoressa Raffaella Baritono, ma già in precedenza l’amministrazione Obama aveva ridefinito le relazioni atlantiche, rivolgendo le sue attenzioni principalmente a quelle del Pacifico, mantenendo, seppur in maniera selettiva, una visione multilaterale. La tirata unilateralista della politica di Trump, con l’idea che l’interesse nazionale americano debba essere al centro delle nuove strategie di politica estera, hanno appunto, creato elementi di tensione. Inoltre Trump non ha mai nascosto il fatto che l’Unione europea possa comunque essere un potenziale competitor delle strategie economiche americane. E i timidi tentativi dell’Unione europea di voler agire in maniera indipendente, devono poi fare i conti con i tentativi di allineamento americani, come lo è stato quello di Pompeo.

Ancora prima, ad agosto, il ministro degli Esteri cinese è venuto in Europa, ma l’accoglienza è stata diversa rispetto al passato. La comunità europea ha diffuso un pubblicato in cui parlava della Cina come partner, ma anche come rivale sistemico, dunque come guarda la Cina all’Europa e cosa è cambiato in questi mesi?
Il problema di fondo è che non si può fare un discorso all’unisono Bruxelles-Pechino, poiché l’UE non ha nemmeno un ministro degli esteri, e tante volte, l’Europa non parla come un’unica voce. È proprio questo, purtroppo, il vantaggio su cui punta la Cina. “La Cina si muove a livello geostrategico ed economico per pura convenienza dei propri affari e fa quindi affari con chiunque” spiega Simone Pieranni. “Ma c’è stato un cambiamento di percezione della Cina da parte dell’Unione europea a causa della pandemia”. “Prima del coronavirus, infatti, la ‘Nuova via della Seta’ era spinta moltissimo” rispetto ad adesso.