Due giorni di voto per due corse molto diverse tra loro: il referendum nazionale da una parte e le regionali dall’altra.
La prima ha un solo vincitore: il “Sì”. Luigi Di Maio esulta e, in un post pubblicato su Facebook, scrive “Quello raggiunto oggi è un risultato storico. Torniamo ad avere un Parlamento normale, con 345 poltrone e privilegi in meno. È la politica che dà un segnale ai cittadini. Senza il Movimento 5 Stelle tutto questo non sarebbe mai successo”. Quello del “sì” è infatti un successo netto, che, come pronostico, tocca quasi il 70% dei voti.
Tra i contrari al quesito proposto, fa strano trovare tanti giovani. A livello logico, una riforma sul taglio dei parlamentari dovrebbe rappresentare una sorta di rivoluzione ed essere percepita come tale. Un taglio netto al passato. Sarebbe quindi più probabile che, ad essere reticenti nei confronti di un simile cambiamento, fossero gli adulti. Invece, in questo caso, la situazione si ribalta. Plebiscito del “sì” tra gli over 50 e tanti “no” per i novelli elettori.

Si procederà, dunque, con la modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione. Il numero dei deputati passerà dagli attuali 630 a 400, mentre quello dei senatori da 315 a 200, inclusi i parlamentari eletti all’estero (i deputati da 12 diventeranno 8 e i senatori da 6 a 4). A questo punto, inoltre, è necessario un cambiamento. Con la vittoria del “sì”, va corretta la legge elettorale e l’intenzione della maggioranza sembra andare in questo senso. In commissione Affari costituzionali alla Camera, c’è già un testo pronto: il Brescellum, che prende il proprio nome dal grillino Giuseppe Brescia.

Anche Fucsia Nissoli, deputata di Forza Italia eletta nella circoscrizione Nord-Centro America, sente l’esigenza di un cambiamento di legge elettorale. ”Il risultato referendario – scrive la Nissoli in una nota – conferma una volontà e una necessità di cambiamento che, per essere concreto, ha però bisogno di altre riforme, prima fra tutte la legge elettorale, indispensabile in particolare all’estero. Bisognerà ridefinire le ripartizioni di questa circoscrizione. Credo sia giunto il momento, irrimandabile, di riformare una volta per tutte il voto all’estero, indicando nuove modalità nella sua gestione complessiva”.
Il Brescellum è un sistema di voto totalmente proporzionale, con una soglia di sbarramento fissata al 5%, le liste bloccate e il diritto di tribuna, che consentirà a un partito di eleggere rappresentanti se questo dovesse superare il quorum in almeno tre circoscrizioni alla Camera e una al Senato. Per la destra, però, una legge elettorale basata sul proporzionale sarebbe un disastro. “Spero che l’Italia non torni alla palude del proporzionale – ha commentato Salvini – significa ritornare indietro di 40 anni, ai ricattini dei Renzi con il 2%”.

Il proporzionale, è appurato, ha pro e contro. Il pro è dato dall’elevata rappresentatività, anche se con uno sbarramento al 5% rimarrebbero fuori dal parlamento molte liste ad oggi presenti. Di contro, rende ardua la governabilità. Difficilmente, infatti, dalle urne esce una maggioranza stabile ed è quindi necessario il ricorso ad alleanze e “inciuci”. Oltre alla legge elettorale, andranno infine modificati anche i regolamenti di Camera e Senato, nella parte in cui prevedono quorum indicati in numeri assoluti e non percentuali e dovrà necessariamente essere rivista la composizione dei gruppi e delle commissioni permanenti.

Più complessa, invece, la situazione dopo le regionali. Ascoltando i capi politici e leggendo i titoli dei giornali, sembra che abbiano vinto tutti. A seconda della bandiera, infatti, la narrazione cambia drasticamente. Messi da parte i 5 Stelle, che ubriachi dell’esito referendario si dimenticano del voto per eleggere i governatori, la battaglia si combatte tra centrodestra e centrosinistra.
Su sette regioni messe in palio, tre se le aggiudica il governo (Toscana, Campania e Puglia) e 4 l’opposizione (Valle D’Aosta, Veneto, Liguria e Marche). Una sola regione, le Marche, cambia bandiera. In mano alla sinistra da sempre, si affida ora a Francesco Acquaroli, membro di Fratelli D’Italia. Nelle restanti sei, la situazione rimane invariata.
Partiti e giornali filogovernativi parlano di vittoria della sinistra, che non cede le sue roccaforti all’ondata populista ed assiste al “disastro di Salvini”. Leader e organi di informazioni fedeli all’opposizione, invece, festeggiano a gran voce per il trionfo della destra. È davvero un mondo parallelo, quello visto dall’informazione italiana. Basta applicare un filtro impregnato di tifo e e la realtà cambia totalmente a seconda di chi la guarda. Davvero, leggendo le prime pagine dei giornali di domani, sembrerà di assistere a due elezioni differenti.
La situazione, limitandoci ai fatti, è la seguente: il centrodestra, dopo lo scrutinio odierno, governa 15 delle 20 regioni e ha strappato le Marche al governo. Il centrosinistra ha vinto in tre regioni di sua storica proprietà, accorciando però, soprattutto in Toscana, il vantaggio nei confronti dei rivali.

Di certo, il governo non verrà indebolito dal risultato elettorale. Giuseppe Conte può tirare un sospiro di sollievo. Una domanda, però, dovrebbe porsi. Può l’esecutivo rappresentare un popolo che, in quindici elezioni regionali su venti, ha scelto di farsi governare dall’opposizione?