Più complicata di sempre, la situazione politica in Italia; e ancor più complicato decifrarla, capirla. Un paese sfiancato dalla crisi del Covid-19 (già prima non è che si navigasse in acque tranquille), con un debito pubblico alle stelle, centinaia di piccole e medie imprese che sono fallite o sono a un passo dal farlo; picchi di disoccupazione che fanno impallidire; il meglio della sua gioventù che ha per prospettiva quella di emigrare, perché sbocchi occupazionali sono incerti e difficili; dove il costo del lavoro non è competitivo con quello di altre realtà europee; dove i “servizi” lasciano a desiderare a ogni livello (è credibile che occorrano più di sei mesi, a Roma, per poter avere un rettangolo di plastica che si chiama “Carta d’identità”? Lo stesso rettangolo di plastica che si chiama “patente” lo si può avere al massimo in dieci giorni…). Ecco: un paese come questo, è semplicemente “seduto”, e fatte salve eccezioni di “eccellenze” che si trovano e operano, non sembra avere molta voglia di rialzarsi.
A un grande filosofo napoletano che ci ha lasciato qualche mese fa, Aldo Masullo, ho provato a chiederne ragione: l’Italia è uscita a pezzi, dalla guerra, devastata; priva di risorse primarie; come mai i nostri nonni e i nostri padri ce l’hanno fatta, con le unghie e i denti, ma ce l’hanno fatta; e noi si arranca? Lapidaria, la risposta: “Allora c’era più serietà”. Forse sì, nella secchezza dell’affermazione, nella sua perentorietà, il nocciolo della questione è questo.
Provo a capire meglio. Giuliano Amato, giudice della Corte Costituzionale, una vita a cavallo tra politica (nel PSI di Bettino Craxi, tra i pochi socialisti a uscire indenne dallo tsunami di Mani Pulite) e l’insegnamento universitario, sostiene che “i grandi passi avanti hanno sempre bisogno di episodi traumatici che servono da catalizzatori del cambiamento. Uno dei vizi del nostro tempo è che manca di fatti traumatici ed è un susseguirsi di piccoli traumi che portano al declino, perché spostano sempre più in là le soluzioni”.
Teoria interessante, esposta prima del Covid-19. Ma ora il grande trauma l’abbiamo avuto: le soluzioni si continua a spostarle… esattamente come prima. Il lupo italiano è sempre più spelacchiato, ma vizioso come sempre.
Per far fronte alla crisi si ingaggiano centinaia di “cervelli”, che per settimane si spremono le meningi ed elaborano slide e grafici, tabelle e schede in quantità industriali dove si elencano con puntigliosità i problemi italiani di oggi, ieri e domani, che vanno risolti. Il più noto, quello “Colao”: il rapporto, appena consegnato a Palazzo Chigi nelle mani del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, viene prontamente messo in naftalina, perché nel frattempo ci si impegna in una settimana di conciliaboli (oltretutto riservati) chiamati “Stati Generali”. Gli esperti chiamati si esibiscono in discutibili passerelle, e ancora non sono terminate, che già la Confindustria boccia le proposte ancora non articolate, e ne preannuncia di sue. Nel frattempo, in nome di un’unità di intenti per meglio fronteggiare l’emergenza, i partiti dell’opposizione disertano gli Stati Generali, perché – sostengono – il luogo del confronto sono la Camera dei Deputati e il Senato; senonché quando il presidente del Consiglio vi mette piede, denunciando di essere stati esautorati, disertano anche quelle aule…
Lo stesso governo appare balbettante e confuso. Le due principali forze che lo sostengono Partito Democratico e Movimento 5 Stelle sono divisi su tutto, e d’accordo su niente. Il Governo è una sommatoria di debolezze.

Debole il Movimento 5 Stelle, dilaniato in correnti interne da prima repubblica; consensi in caduta verticale, la matematica certezza che la metà dei suoi eletti non rimetterà piede alla Camera e al Senato, se si andrà ad elezioni anticipate. Lo stesso discorso vale per il PD: i sondaggi lo danno in stabile negativo. Non parliamo del micro-partitino di Matteo Renzi: la sua Italia Viva non va al di ò di un misero 3-3,5 per cento. Sul versante dell’opposizione: la berlusconiana Forza Italia è al lumicino, una leadership inesistente, che arranca; tutto a vantaggio di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e della Lega di Matteo Salvini. I due, ad onta dei sorrisi “pubblici” in realtà si detestano, è il potere a tenerli uniti. Non è la prima volta, non sarà l’ultima. Ma la trionfante Lega anche lei arranca: Salvini sempre più appare privo non solo di strategia (non l’ha mai avuta), ma è deficitario anche nelle tattiche. Per dirne una: ma si può, durante una conferenza stampa dove si parla del Covid-19 e dei lutti che ha provocato nella regione Veneto, ingoiare una dietro l’altra decine di ciliegie e con indifferenza sputacchiarne i noccioli? Su: lo stile è l’uomo.
Una cosa è certa: nel complesso la classe politica italiana si comporta precisamente nel modo opposto rispetto a quello che sarebbe urgente e necessario. Molti i ‘movimenti’ sul palcoscenico politico, ma è lampante la strumentalità delle polemiche accese dai vari attori, comprimari, figuranti, comparse.
Conte, è accusato non infondatamente, per i non pochi errori e le tante lacune nell’affrontare un’emergenza comunque sconosciuta, e con scarsità di mezzi e risorse (quest’ultimo aspetto, per inciso, non gli può essere imputato, essendo la scellerata gestione della sanità pubblica un qualcosa ‘figlia’ di decenni passati). Si pagano però debolezze strutturali antiche, che certamente si sommano a incapacità dell’oggi: una burocrazia paralizzante, una vocazione alla creazione di comitati pletorici e inutili; un sistema, insomma, che mostra tutti i suoi limiti e contraddizioni, e su cui, pure, hanno pascolato in tanti per anni: ricavandone ‘raccolti’ di cui si è profittato con spregiudicatezza e cinismo.
Già due anni fa – ed erano lontani, inimmaginabili, i devastanti effetti della pandemia – una persona pacata e aliena da estremismi, Piero Angela, scolpiva pochi, chiari concetti:
«L’Italia è come il gigante Gulliver, imbrigliata da mille lacci che ne immobilizzano la forza. Nel dopoguerra, ogni giorno vedevi un miglioramento: si tiravano di nuovo su le case, costruivamo le strade, organizzavamo un salone internazionale, nascevano cose nuove. La vita proseguiva. Oggi, invece, ogni giorno scompare qualcosa. Ci impoveriamo. E gli italiani sono assuefatti al degrado. Non vedono via d’uscita. Sono arrabbiati. Nutrono rancore. Sono stanchi di un Paese fermo… il miracolo economico italiano degli anni Sessanta è merito di innovazione, ricerca, competenza, talento, creatività, istruzione, che creano il valore aggiunto. L’Italia non lo fa da quindici anni. Il nostro sistema è congegnato per bloccare le energie produttive. Quando ero bambino, non mi hanno mai detto che ero titolare di diritti. Avevo molti doveri. Se li rispettavo, venivo premiato. Altrimenti, venivo punito.In Italia oggi–nella famiglia, nella scuola, nella società–tutti vogliono tutto. Nessuno è più educato a pensare che per avere qualcosa prima deve essere disposto a offrire qualcos’altro in cambio. Il problema dell’Italia è un problema morale, che non si può risolvere in cinque minuti…Non ci sono punizioni per chi sbaglia, non ci sono premi per chi merita. Un Paese così non può funzionare. È un Paese morto».
Ecco: un politico con la spina dorsale, che voglia ‘essere’ e non solo ‘sembrare’, dovrebbe avere il coraggio, la franchezza, l’onestà di dire queste cose ai suoi concittadini; forse riuscirebbe ad essere più credibile, nelle sue esortazioni a rimboccarsi le maniche e non perdersi d’animo.
Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, centellina le parole, una più aguzza dell’altra; parla di un’elevata incertezza perché non è possibile al momento prevedere quante risorse saranno necessarie per superare la crisi, o almeno contenerla; e neppure ipotizzare se le misure ipotizzate saranno o meno efficaci: «…una situazione che non deve costituire una scusa per non agire. Al contrario, una ragione ulteriore per rafforzare da subito l’economia e per muoversi lungo un disegno organico di riforme…». In estrema sintesi: urge darsi una mossa.
Un economista che da sempre non fa sconti, Angelo De Mattia, osserva: «Il punto dolente: la concretezza che continua a mancare e che, invece, di fronte alla perdurante gravità della situazione sarebbe ancor più dovere del Governo osservare rigorosamente ed attuare. Si passerà finalmente dalle parole ai fatti o si continuerà con la descrizione delle aree di intervento, spettando non si sa a chi di tradurle in pratica?».
Un altro economista, Carlo Cottarelli, annota perplesso: «L’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno è un elenco infinito di promesse di azioni, e di frasi roboanti su quanto l’Italia sia bella, un lungo discorso volto a far contenti tutti…».
Ad ogni modo, la situazione a oggi è questa: per quel che riguarda l’innovazione il Paese è praticamente fermo. Un dossier realizzato dal quotidiano di Confindustria, Il Sole 24 Ore, certifica che grazie a tagli e ritardi, «la banda larga fa flop. I dossier dell’innovazione sono fermi. Il bando aree industriali è rinviato al 2021, quando saranno ripristinati i fondi; la chiusura totale del piano slitta al 2023, e c’è il concreto rischio di perdere parte delle risorse europee». L’ISTAT lancia un allarme: il PIL crolla dell’8,3 per cento. I consumi delle famiglie sono a picco, e così gli investimenti e le esportazioni; almeno mezzo milione di posti di lavoro si sono persi.
Se questo è il ‘presente’, il futuro prossimo si annuncia parimenti fosco. Un settore decisivo e trainante, come quello della ricerca è in pre-coma. Il Ministro del Tesoro, Roberto Gualtieri, assicura che l’Italia vuole diventare uno dei Paesi che maggiormente invece punta sulla ricerca. Intanto il settore è praticamente tenuto in vita da precari, letteralmente sfruttati delle Università e poi allontanati. Valga l’amara esperienza di Arianna Gabrieli e Alessia Lai, le due ricercatrici del Sacco di Milano che hanno isolato, in piena pandemia Covid, il ceppo italiano del virus. Il presidente Mattarella le ha nominate cavalieri del Lavoro. Bella soddisfazione. Continuano ad avere contratti a tempo della durata di otto mesi. Manca un’idea per andare oltre l’orizzonte di un anno; la ricerca ha bisogno di fondi, se vuole essere competitiva con gli altri Paesi, è il ‘j’accuse’ di Antonino Rotolo, prorettore per la ricerca dell’Università di Bologna…
Un ‘cahiers de doléances’ infinito, e noto da tempo. Non si possono, è chiaro, attribuire tutte le responsabilità e le colpe a Conte. Si tratta di qualcosa che si è incancrenito in decenni e i processi di risanamento saranno lunghi, faticosi, dolorosi. Ma si dovrà ben cominciare… Lo si dovrebbe aver compreso, ormai, che non ‘tutto andrà bene’, e ‘non si tornerà come prima’…
Si abbonda invece in annunci. E’ in corso una irresponsabile corsa a chi lascia il cerino nelle mani dell’altro. Tutti negano di voler le elezioni anticipate, che obiettivamente sarebbero una iattura. Ma non c’è corda che a lungo andare, non si rompa. Anche qui, un problema: con quale legge elettorale si andrebbe a votare? A suo tempo Renzi e il fido Ettore Rosato concepirono un autentico mostruoso capolavoro, che consente a una risicata maggioranza, con calcoli astrusi e diavolerie varie di conquistare di fatto la maggioranza pressoché totale. Pensavano di vincere loro. Ne sono usciti invece suonati. Salvini, Meloni e Berlusconi che a gran voce chiedevano di cambiare la legge, ora non fiatano: sanno che conquisterebbero la maggioranza assoluta nelle due camere, e così aggiudicarsi importanti nomine: alla Corte Costituzionale, al Consiglio Superiore della Magistratura, e la più ambita: la presidenza della Repubblica, scaduto il mandato di Sergio Mattarella.
Ecco: se il debolissimo governo Conte riuscirà a passare estate, autunno e inverno, si approderà al cosiddetto “semestre bianco”. Le citate nomine le farebbe questo Parlamento, in seguito a contrattazioni che saranno più animate di quelle in un suk arabo; ma se si andasse a elezioni anticipate, a decidere sarebbe solo e unicamente il tris Salvini-Meloni-Berlusconi.
Questo spiega in parte le arroganze pretestuose di Renzi, le prudenze pavide di Nicola Zingaretti, le follie grilline. Scenari che deprimono? Siate ottimisti. Il peggio deve ancora venire.