Leonardo Sciascia: “E’ il solo uomo politico italiano che costantemente dimostri di avere il senso del diritto, della legge e della giustizia”. In questo modo sintetico e preciso, essenziale, il “Maestro di Regalpetra descrive Marco Pannella. E’ l’alfa e l’omega della vita di un leader politico che “segna” il suo tempo, non ha eredi, come “patrimonio” culturale e ideale lascia “solo” il suo esempio: quello del “dire”, della parola che sa come e dove colpire; e il “fare”, il gesto, in prima persona: che puoi non condividere, ma non puoi non ammirare, per la concreta, paziente, quotidiana coerenza che rivela.
Pannella avrebbe novant’anni oggi, non fosse stato ucciso da un doppio tumore il 19 maggio del 2016. Non a caso si cita Sciascia: i due si conoscono, si frequentano, si stimano; il quieto e affilato scrittore, che scruta e “vede” le cose della Sicilia (e dunque dell’Italia, del mondo), deluso da un’esperienza diretta di consigliere comunale a Palermo da indipendente eletto nelle liste del Partito Comunista, non ha perso voglia e gusto di interessarsi delle cose che gli accadono intorno, e valutarle; ma giura a è stesso che con la politica attiva ha chiuso. Invece no; e respinge lusinghiere offerte “sicure” che gli vengono dal Partito Socialista e dal Partito Liberale.
Come uno tsunami irrompe Pannella, “forte” di un piccolo 2-3 per cento di consensi. Un niente, insomma. I due si incontrano alla sede della casa editrice Sellerio di Palermo. Quello che accade lo racconta lo stesso Sciascia, seduti al ristorante che abitualmente frequenta quando si trova a Roma, “Fortunato” al Pantheon, e con lui gli amici romani di sempre: Bruno Caruso, Fabrizio Clerici, Lino Iannuzzi, Francesco Rosi e la moglie, Antonello Trombadori:
“Mentre Pannella parlava, io pensavo a quel dialogo di Boris Pasternak con Stalin, per perorare la causa di Mandelstam, il poeta era stato arrestato. E una sera suona il telefono, Pasternak va a rispondere, ed era Stalin. Parlano di Mandelstam, molto duramente da parte di Stalin, e poi a un certo punto Pasternak dice: vorrei incontrarvi. E perché?, domanda Stalin. Per parlare della vita e della morte, risponde Pasternak. A questo punto sente il telefono che si chiude. Stalin non voleva parlare della vita e della morte, si capisce… Ecco, io ho pensato che bisognava parlare della vita e della morte in questo paese, e che parlassi come scrittore la cui pagina è la più vicina all’azione che si possa immaginare. Io so di essere questo tipo di scrittore, la cui pagina è proprio al limite dell’azione…”.
Non sbaglia Sciascia, quando si lascia “irretire” e accetta di candidarsi nelle liste del Partito Radicale con le motivazioni di cui s’è fatto cenno, il volersi occupare della vita e della morte, delle persone e del paese. In uno degli scritti più intensi di Pannella, come solito suo “ruminato” per giorni, e poi “esploso” in pochi minuti (la prefazione a un libro tutto sommato insulso, “Underground a pugno chiuso” di Andrea Valcarenghi), a un certo punto, Pannella scrive:
“…Tu sei un rivoluzionario. Io amo invece gli obiettori, i fuori-legge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione. Amo speranze antiche, come la donna e l’uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della Destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello Stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se “rivoluzionario”. Credo alla parola che si ascolta e che si dice, ai racconti che ci si fa in cucina, a letto, per le strade, al lavoro, quando si vuol essere onesti ed essere davvero capiti, più che ai saggi o alle invettive, ai testi più o meno sacri ed alle ideologie. Credo sopra ad ogni altra cosa al dialogo, e non solo a quello “spirituale”: alle carezze, agli amplessi, alla conoscenza come a fatti non necessariamente d’evasione o individualistici – e tanto più “privati” mi appaiono, tanto più pubblici e politici, quali sono, m’ingegno che siano riconosciuti…”.
Pannella, da buon logorroico, ha impiegato una pagina, per dire quello che Sciascia dice, anni dopo, in poche frasi. Ma è lì, l’essenza:
“il credere alla parola che si ascolta e che si dice…in cucina, a letto…quando si vuole esser onesti e davvero capiti…”; e il voler parlare “della vita e della morte…”.
A questo punto, di Pannella s’è detto se non tutto, quello che vale. Dall’età della ragione e fino al suo ultimo respiro, Pannella gioca una scommessa: proseguire e intensificare le iniziative per conquistare all’Italia (e nella sua visione, ovunque) la legalità e la certezza del diritto: “Dove c’è strage di diritto e di legalità, inevitabilmente, c’è strage di vite, di corpi, di popoli”, ripete come un mantra, instancabile.
Così, di volta in volta, Pannella si trova al suo fianco personalità che mai avresti detto. Per dire: un appartato, silenzioso, Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura nel 1975. Un giorno sul “Corriere della Sera” scrive:
“Dove il potere nega, in forme palesi, ma anche con mezzi occulti, la vera libertà, spuntano ogni tanto uomini ispirati come Andrei Sacharov e Marco Pannella, che seguono la posizione spirituale più difficile che una vittima possa assumere di fronte al suo oppressore. Il rifiuto passivo. Soli e inermi, essi parlano anche per noi”.
Affascina Jean-Paul Sartre, che si augura un Partito Radicale Internazionale (ne parla in un’intervista a “Le Matin” del 1975) simile al partito di Pannella; e “strega” il commediografo Eugene Ionesco (che si iscrive senza voler sapere nulla di quello che vuol fare, sulla fiducia); Umberto Eco lo ringrazia pubblicamente perché “insegna agli italiani a diventare liberi, e soprattutto a meritarselo”; per Indro Montanelli è “un figlio discolo, un giamburrasca devastatore, ma in caso di pericolo o di carestia sarà il primo a correre in soccorso”. Di e su Pannella si dice e scrive di tutto: di volta in volta “fascista”, “amico dei fiancheggiatori delle Brigate Rosse”, “provocatore”, “destabilizzatore”, “qualunquista. Il protagonista di cento referendum alcuni vinti contro tutti, e dai mille digiuni, la maggior parte delle grandi conquiste civili degli anni ’70 del Novecento, hanno la sua “firma”: divorzio, possibilità di interrompere una gravidanza, obiezione di coscienza, voto ai diciottenni, nuovo diritto di famiglia, abolizione dei regimi manicomiali, difesa dei diritti di tutte le minoranze, in Italia e nel mondo, dai Montagnard ai tibetani…
Spesso lo si paragona al il Dio Crono, che divora i suoi figli; paragone ingiusto, miope e banale. Sono piuttosto le tante e i tanti figlie e figli che si sono “cibati” delle sue carni: in vita e dopo; e grazie a lui hanno fatto carriera.
La differenza è che Pannella coglieva le opportunità della politica; alcuni dei suoi “figli” hanno invertito i fattori, e oggi fanno semplicemente una politica delle opportunità.
Chiedersi oggi, nelle situazioni che ci tocca vivere, cosa avrebbe fatto, detto, proposto Pannella? Chissà: certamente, come sempre, si sarebbe ribellato a chi propone “unità” e avrebbe opposto “unione”. Una delle sue intuizioni politiche più geniali – quando ventenne, si oppone al già maturo Palmiro Togliatti, che ritornato da Mosca propone “l’unità delle forze laiche”; e Pannella: “No, l’unione laica delle forze”. Non sono giochetti semantici. Sono “visioni” destinate a “segnare”. Come quando, di getto, su un pacchetto di sigarette consumate, annota la traccia di quello che diventa “Il manifesto dei premi Nobel contro lo sterminio per fame nel mondo”: e sono centinaia i firmatari, per la prima volta, sottoscrivono un documento politico e non un generico appello, in cui – siamo negli anni Ottanta – già si prefigura quello che accade oggi sui nostri occhi: gli sconvolgimenti profondi del clima, le carestie, le guerre per l’acqua, la fame che spinge milioni di esseri umani a lasciare le loro terre e “invadere” nazioni più ricche, in cerca di una possibilità di vita e affermazione. In quel documento facilmente rintracciabile su internet, c’è tutto: quello che sarebbe accaduto, quello che si poteva e doveva fare per scongiurarlo.
L’ultima battaglia politica di Pannella per incardinare quello che riteneva uno dei diritti fondamentali, umani e civili: il diritto alla conoscenza. A “sapere”. Mai come in questi tempi diritto da difendere, conquistare, ampliare. Dalla lettera ai Romani di Paolo di Tarso aveva mutuato: “Spes contra spem”, dove si riferisce all’incrollabile fede del profeta Abramo: “Ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto…”.
Pannella insegna e mostra che il “dialogo” è possibile. Indicato una strada, un percorso; un obiettivo: gli Stati Uniti d’Europa, la Grande Patria Europea, mai come in questo tempo, da opporre alle insorgenti sciagurate tentazioni di un’Europa delle Piccole Patrie. Pazientemente spiega:
“Dove il diritto alla vita non ha forza con gente che possa garantirlo, i diritti di coscienza, i diritti religiosi, di sviluppo, di pensiero, diventano sovrastruttura astratta, priva di coerenza e di forza teorica e pratica. Il disordine internazionale è imposto e alimentato dagli interventismi giuridici statalistici, da regimi proibizionistici che conferiscono essi stessi forza tremenda e incontrollabile ai fenomeni che pretendono di vietare”.
Poi, non so dire quanto divertito o melanconico: “Da vivo mi trattano come fossi morto. Da morto mi tratteranno come fossi vivo“. Per una volta sbagliava. Da morto hanno ben cura di cancellarlo, di farcene smarrire la memoria. Non ci riusciranno. Non praevalebunt.