I caucus in Iowa non sono mai stati decisivi dal punto di vista matematico. I 41 delegati messi in palio dallo stato sono una piccolissima frazione dei 3’979 disponibili per conquistare la nomination del partito Democratico. L’Iowa non è neanche rappresentativo dell’intera nazione dal punto di vista demografico, dato che oltre il 90% della sua popolazione è bianca, e solo il 3,4% è afro americana. Eppure, questo piccolissimo stato del Midwest è considerato come uno dei più importanti, secondo solo al Super Tuesday del 3 Marzo in cui saranno chiamati a votare ben 15 stati. La ragione di questa centralità deriva dall’eccessiva attenzione mediatica che li viene dedicata. Dal 1972 è il primo stato a votare nelle primarie, e ha dunque il potere di dare una spinta decisiva a chi sta emergendo o affondare definitivamente chi sta annegando. Nel 70% dei casi, il candidato Democratico che vince l’Iowa diventa la nomination del partito.

Proprio per questo motivo il mancato arrivo dei risultati Martedì sera ha causato grande disappunto tra le file dei Democratici. I candidati che hanno fatto bene volevano rapidamente intestarsi la vittoria e godere della spinta per lanciarsi con coraggio nella campagna elettorale nello stato del New Hampshire, che sarà chiamato a votare il prossimo 11 Febbraio. Ma le problematiche nel conteggio dei voti, derivanti da un sistema di votazione arcaico, reso ancor più difficile da nuovi regolamenti e tecnologie mal funzionanti, ha fatto si che la bolla mediatica che normalmente accompagna i risultati di questo stato, scoppiasse ancor prima di conoscere il vincitore. Allo scoccare della mezzanotte di Martedi, tutte le testate dei più importanti quotidiani digitali statunitensi non erano sintonizzate sui pochissimi dati preliminari fuoriusciti dalle campagne elettorali di alcuni candidati, ma bensì sulla terribile organizzazione del Partito Democratico in Iowa.
Al momento della pubblicazione di questo articolo, il 71% dei distretti dell’Iowa ha riportato i propri risultati. L’ex sindaco di South Bend Pete Buttigieg conduce con il 26,8% dei delegati, seguito poco distante da Bernie Sanders con il 25,2%. Si posiziona terza con il 18,4% la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, mentre l’ex vice presidente Joe Biden arriva solo quarto con il 15,4%. C’è infine la moderata senatrice del Minnesota Amy Klobuchar con il 12,6% dei delegati, mentre tutti gli altri candidati hanno ottenuto l’1% o meno. Sia Pete Buttigieg che Bernie Sanders possono dunque sventolare la bandiera del vincitore, dato che quest’ultimo ha vinto il voto popolare, nonostante sia arrivato secondo nella corsa per i delegati. Infatti, dalla mappa dell’Iowa possiamo notare come Buttigieg abbia ottenuto un consenso più disteso, arrivando primo in ben 60 contee su 99, mentre Sanders abbia concentrato le proprie vincite in meno contee – 18 per la precisione – ma più popolose.

Ma occhio a non rimanere ingannati dalle auto celebrazioni di Pete e Bernie. Se infatti è vero che quest’ultimo ha vinto il voto popolare, è anche vero che il suo risultato è nettamente inferiore a quello ottenuto nel 2016, quando conquisto il 49,6% dei delegati. Buona parte dei suoi voti sono finiti a Buttigieg e Yang, a dimostrazione del fatto che molti lo votarono solo perché dall’altra parte c’era la “simpatica” Hilary Clinton. E se è vero che Pete ha vinto il maggior numero di delegati, è anche vero che in due dei prossimi tre stati chiamati al voto prima del Super Tuesday – Nevada e South Carolina – è molto indietro. C’è poi la situazione precaria dell’ex vice presidente Joe Biden, che contribuisce allo scenario caotico fuoriuscito dai caucus dell’Iowa. Finora considerato il frontrunner per eccellenza, Biden racimola solo il 15,4% dei delegati, e un ancor minore 13,2% del voto popolare. È vero che Joe non ha mai considerato l’Iowa come uno stato decisivo per la sua corsa alla Casa Bianca, e lo dimostrano i dati relativi ai raduni organizzati in Iowa – soltanto 117 per Biden, ben inferiori ai 138 di Sanders, i 158 di Buttigieg, e i 191 di Klobuchar. Ma nonostante questo, l’ex vice presidente si aspettava un risultato migliore, anche visto l’elettorato prevalentemente bianco e anziano.

Ora le chance di vincere la nomination per Biden sono tutte riposte sul voto in New Hampshire, un’appuntamento da non fallire se l’ex vice presidente vorrà continuare a controllare il proprio destino in queste primarie. Stessa situazione per Buttigieg, il quale deve dare seguito in New Hampshire all’ottimo risultato ottenuto in Iowa, per sostenere le inevitabili batoste che arriveranno più avanti in Nevada e South Carolina, dove la popolazione è prevalentemente afro americana e Pete ha un consenso molto basso. A Sanders basterebbe affermarsi come l’unico candidato dei progressisti, mentre la Warren deve sperare in un passo falso di Bernie, dato che non è vista favorita in nessuno dei prossimi stati al voto e la sua corsa potrebbe dunque risultare in una disastrosa debacle. Paradossalmente, in queste primarie senza vincitori ne vinti, potrebbe esserci spazio per un candidato terzo che finora è rimasto nell’ombra. Si tratta di Mike Bloomberg, che proprio nelle ore concitate dei conteggi tardivi, ha annunciato che raddoppierà i fondi per le sue campagne televisive in tutti gli stati in cui corre. Ma questo non avrà riscontri immediati in New Hampshire, ne tantomeno in Nevada o in South Carolina, dato che Bloomberg ha deciso di snobbarli e puntare tutto sugli stati del Super Tuesday.