Attraverso un tweet, l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg, annuncia la propria candidatura alla Presidenza degli Stati Uniti d’America. Era da mesi che si vociferava su un suo possibile ingresso in campo tra le file dei Democratici, ma ormai, a meno di 3 mesi dalle prime votazioni in Iowa, il treno sembrava essere definitivamente passato. E invece, il magnate settantasettenne si butterà a capo fitto in una corsa contro altri 17 candidati per conquistarsi la nomination del partito Democratico e sfidare il Presidente uscente Donald Trump in una sfida che si appresta a diventare “ultra miliardaria”. Con un patrimonio netto di oltre 50 miliardi di dollari, Michael Bloomberg è l’unico candidato nel partito Democratico a poter competere contro Trump a livello economico. Secondo alcuni, Bloomberg sarebbe pronto a spendere oltre 100 milioni di dollari per la sua campagna elettorale; una cifra che renderebbe ridicoli i 65 milioni spesi da Trump per vincere nel 2016. Il track record di Bloomberg è promettente: nel corso delle sue tre campagne elettorali per diventare sindaco di New York, ha speso oltre 250 milioni di dollari, mentre ogni anno finanzia le proprie attività filantropiche a suon di centinaia di milioni di dollari. Ma basteranno queste ingenti somme di danè per convincere il popolo Americano a votarlo?
Il primo fattore da considerare è il grosso ritardo con cui Bloomberg si appresta ad affrontare questa corsa presidenziale. Un sondaggio condotto da CBS News-YouGov di pochi giorni fa, mostra che il 78% dell’elettorato Democratico è soddisfatto con la lista dei candidati per le primarie, mentre solo il 22% desidera una lista più ampia. Questi numeri sembrano suggerire che non ci sia più spazio per l’ingresso di nuovi candidati a questo punto della corsa. Ma per analizzare le reali chance di successo che possiede Bloomberg, bisogna andare oltre la mera statistica, e considerare la dimensione ideologica dell’attuale campo democratico. Si stanno definendo, sempre di più, due campi distinti: uno moderato, composto da Biden, Buttigieg, e Klobuchar; e uno radicale, composto da Sanders e Warren. Bloomberg andrà a far parte del primo campo, quello moderato, dove dovrà dimostrare che è lui il candidato più adatto per battere Trump. Al momento, troviamo un Buttigieg spedito verso la vittoria in Iowa, dopo aver superato un Biden in caduta libera nel Hawkey State. Ma Biden continua a tenere testa negli altri 3 stati con elezioni anticipate: New Hampshire, Nevada, e South Carolina. A livello nazionale, Biden mantiene la prima posizione con un distacco di più di dieci punti dal secondo Bernie Sanders, e con più di venti punti dal moderato Buttigieg. È quindi evidente che Bloomberg debba provare a conquistare l’elettorato di Biden, prima che si possa preoccupare dell’astro nascente Pete Buttigieg.
I dati demografici dell’elettorato di Biden mostrano come l’ex Vice Presidente sia la prima scelta per la gente più anziana e moderata, oltre che per gli afro-americani. Quest’ultimo punto è alquanto problematico per Bloomberg. Il rischio è che Mike non riesca a catturare i voti degli afro-americani per via di una serie di motivi. Il primo è abbastanza ovvio, come si può competere per il voto degli afro-americani contro un candidato che fu per 8 anni il braccio destro del primo Presidente di colore degli Stati Uniti d’America? Il secondo è meno ovvio, ma per i residenti di New York potrebbe suonare qualche campanello d’allarme. Durante il suo triplo mandato da sindaco di New York, Bloomberg fu un grande promotore della pratica del cosiddetto “stop and frisk”, cioè una legge che permetteva ai poliziotti di New York di fermare qualsiasi individuo e perquisirlo per possesso di armi o droga. Lo stop and frisk ha ricevuto molte critiche dai Democratici e sopratutto dalla comunità afro americana che lo vedeva come una forma di profilazione razziale, visto che più della metà delle persone che venivano fermate erano di colore. Pochi giorni fa Bloomberg ha chiesto scusa per aver promosso e difeso lo stop and frisk durante i suoi tre mandati da sindaco di New York, ammettendo che fu una legge sbagliata e anticostituzionale. Ma basterà questo tentativo di riappacificazione con le comunità afro-americane per garantire a Bloomberg i voti necessari per sorpassare Biden? Certamente non parte da una posizione privilegiata.
C’è poi da considerare il fattore età. Qua Bloomberg potrebbe incappare nelle stesse problematiche che affliggono altri due candidati frontrunner per la nomination: Bernie Sanders, settantotto anni, e Joe Biden, settantasei. Bloomberg si posiziona in mezzo ai due con un’età di settantasette anni, ma i recenti dibattiti ci dimostrano che non è tanto l’età all’anagrafe la cosa importante, ma più che altro la performance davanti alle telecamere. Nonostante Sanders sia due anni più vecchio di Biden e abbia recentemente avuto un infarto, dimostra molti meno anni di Joe sul palco. L’ex Vice Presidente degli Stati Uniti non riesce a tenere il passo di Bernie, si incasina con le parole, perde il senso del discorso, e commette gaffe in continuazione. Se Bloomberg riuscirà ad evitare questi 3 difetti sarà già considerato meno vecchio di Biden ed il fattore età potrebbe finire in secondo piano. Ma attenzione, qualsiasi flop dovuto a perdite di memoria o svarioni simili dovuti all’anziana età, potrebbero costare caro a Mike, il quale potrà essere attaccato dal giovane e scaltro Pete Buttigieg.
Infine, c’è da tenere in considerazione il passato Repubblicano di Bloomberg. Due dei suoi tre mandati da sindaco di New York sono stati vinti grazie al supporto del partito Repubblicano, mentre per il terzo mandato Mike ha corso da indipendente. Effettivamente, Bloomberg non ha mai vinto, e nemmeno corso, per il partito Democratico. Questo è una variabile che si presenta come una lama a doppio taglio: se da una parte il passato di Bloomberg lo può aiutare a conquistare alcuni Repubblicani delusi da Trump, dall’altra potrebbe essere visto come un liberale sotto mentite spoglie dalla corrente più radicale del partito. Bloomberg è inoltre ebreo, e come Sanders proverà a diventare il primo Presidente ebreo nella storia degli Stati Uniti d’America. Ma rispetto a Bernie, Bloomberg ha una visione molto precisa per quanto riguarda il conflitto in Cisgiordania e sullo stretto di Gaza, essendo dichiaratamente pro Israele. Anche in questo caso, Bloomberg sarà sottoposto ad aspre critiche provenienti dall’ala radicale pro Palestinese del partito, capitanata da Ilhan Omar, Alexandria Ocasio-Cortez, Ayanna Pressley, e Rashida Tlaib: la cosiddetta “squad”.
Per concludere, prima di valutare le reali chance di successo di Bloomberg bisognerà aspettare e vedere come si comporterà con la popolazione afro-americana e se riuscirà realmente a conquistare parte dei voti anziani e moderati che al momento preferiscono Biden. Se poi riuscirà ad evitare gaffe che possano far accrescere dubbi sulla sua età avanzata – diventerebbe il Presidente più anziano della storia degli Stati Uniti – potrebbe respingere con convinzione gli attacchi che prevedibilmente arriveranno dal giovane Pete Buttigieg. L’unica certezza al momento è che Mike ha tanti soldi da spendere ed è disposto a spenderli pur di battere Trump e diventare Presidente degli Stati Uniti. Inoltre, ha un nome altisonante che potrebbe dargli un vantaggio rispetto ad altri candidati minori meno conosciuti. Ma se queste siano fondamenta abbastanza solide per costruire una campagna elettorale di successo, lo dirà solo il tempo. In molti nel 1980 dubitavano della piccola agenzia di notizie finanziarie chiamata Innovative Market Systems. Tutti si chiedevano se sarebbe sopravvissuta contro i grandi colossi dell’informazione internazionale. Quarant’anni dopo, questa piccola agenzia di Wall Street è diventata Bloomberg News, una delle più importanti istituzioni al mondo per l’informazione finanziaria. Chissà….forse Bloomberg riuscirà nel miracolo una seconda volta.
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