E lo chiamano “capitano”… senza sapere che è un titolo rimasto in uso solo nella navigazione da diporto, quella a scopo sportivo o ricreativo. Sì, forse è la qualifica giusta per il nostro ministro dell’Interno e vicepremier, il quale è sempre vestito da tempo libero o con divise delle forze armate, quasi che fare il ministro fosse una carnevalata. Non mi stancherò mai di ripete che l’abito non fa il monaco ma aiuta a farlo, soprattutto all’estero dove sono rispettosi dell’etichetta.
Matteo Salvini sta navigando a vista senza conoscere il codice della navigazione e il trattato di Dublino (identificazione a terra, nel primo porto) che è un regolamento internazionale al quale il nostro Stato ha aderito, il che significa che va rispettato anche in deroga all’ordinamento statuale. Perché Salvini non si è presentato alle cinque riunioni indette per discutere la modifica del trattato? Perché è alleato di Orban che non vuole modificarlo? Questo nuoce all’Italia. Disprezziamo Francia e Germania, per poi allearci con l’Ungheria, che fino a ieri ci mandava migranti e ci fa concorrenza sleale in materia industriale e fiscale all’interno della Ue. Nonostante ci fosse un accordo sulla ridistribuzione dei migranti, Salvini ha vietato lo sbarco ma, invece di fare un blocco navale, ha mandato una motovedetta a insinuarsi mentre la capitana della Sea Watch, Carola Rackete, che sapeva di avere il diritto dalla sua parte (grazie alle lauree e la Germania alle spalle), stava facendo manovra d’attracco.
Se per fare il ministro in Italia non serve studiare, per condurre una barca bisogna avere la patente nautica e possibilmente saper nuotare. Anni fa rischiai la vita perché mi ritrovai in una barca a vela nel mare Egeo con un cretino che si era autonominato comandante, essendo comandante d’aereo, e non sapeva nemmeno nuotare. Volle solcare il mare con il pericolosissimo vento meltemi a 55 nodi, non uscivano dal porto nemmeno le navi traghetto, si ruppe la randa (la vela principale), afferrammo per una gamba un amico che cercando di fissarla stava per scivolare in mare, rimanemmo per l’intera giornata in balia della onde che entravano nella barca, tenendoci saldi allo scafo mentre temevamo che si rovesciasse da un momento all’altro. Chiunque fosse caduto in mare non sarebbe sopravvissuto né avremmo potuto virare per soccorrerlo. Questo per dire che la sensazione con Salvini come capitano della nave Italia, lanciata nei flutti procellosi che ci riversano certi Stati europei, è di grave pericolo.
Ma paragonare Carola, chiamandola “Capitana Antigone”, all’eroina dell’omonima tragedia greca di Sofocle, è stata l’apoteosi di una certa intellighenzia che non capisce nulla di mito. Così ha titolato Repubblica il pezzo del cantautore Roberto Vecchioni, forse ispirandosi a Luce Irigaray che vedeva in Antigone la sfida femminista allo statalismo.
Innanzitutto la capitana tedesca non ha alcun diritto di cittadinanza né di parentela di sangue, come li aveva Antigone. La quale invoca la legge degli dei, ossia della pietas o della propria coscienza, per dare sepoltura al fratello Polinice, essendo tebana e figlia di re. Creonte era l’usurpatore del trono di Tebe, che era stato di Edipo e spettava ai suoi figli, Eteocle e Polinice, non a Creonte che era solo il fratello di Giocastra, moglie di Edipo. Se Eteocle si era schierato dalla parte di Creonte, era stato solo per opportunità di ereditare il regno un domani. Ma non è la parte della legalità.
Ecco però che Renato Farina su Libero ribalta il mito e considera Creonte/Salvini dalla parte della legalità, colui che vuole difendere il proprio regno contro Carola/Antigone. Se Antigone è disposta a morire per seppellire il fratello, che è un diritto di ogni essere umano, ciò non è equiparabile all’azione di Carola, che aveva la possibilità di dirigere la nave ad altro porto. La capitana tedesca voleva lo scontro, Antigone rinunciò ad esso con l’unica arma che possedeva: darsi la morte. Né Carola, come suggerisce Farina, può essere paragonata a Pentesilea, regina delle Amazzoni, alleata dei Troiani nella difesa della loro città.
Semmai il mito del cavallo di Troia è l’unico pertinente in questo caso. Si ha la sensazione che qualcuno al Nord abbia individuato il tallone di Achille di Salvini: i migranti. Ed è lì che ha colpito e colpirà ancora: la Sea Watch non è altro che uno dei cavalli di Troia inviati per destabilizzare e indebolire il nostro Paese. E ricordiamoci che il cavallo era colmo di nemici greci. Il mito va interpretato, non preso alla lettera e tantomeno stravolto a proprio piacimento.
Anche il filosofo Hegel ravvisò in Antigone il diritto di sangue che discende dalla parentela. E Judith Butler, teorica del potere, della sessualità e dell’identità che insegna all’Università di Berkeley, in La rivendicazione di Antiope (Bollati Boringhieri), definisce quello di Antiope addirittura un ‘disturbo della parentela’ in quanto inficiato dall’incesto, cioè dall’amore per il fratello. Mi sembra un giudizio morboso.
Se vogliamo servirci dei miti per spiegare il comportamento umano, non facciamolo a sproposito: su Antigone hanno sbagliato tutti.