Dice Salvini: “Il 25 Aprile io sarò in Sicilia per la liberazione dalla mafia”.
Tutto sommato, la mafia, svelata nel suo raggiunto stadio di logoro ma micidiale arnese retorico, è forse la sola verità, per quanto involontaria, fra le infinite chiacchiere diffuse dal Ministro.
Che reca una ulteriore implicazione, probabilmente urticante, per i molti cultori di un’opposizione a basso costo autocritico.
Per meglio coglierla, ricorriamo, per analogia, ad una vecchia conoscenza dell’arsenale legalistico: “La convergenza del molteplice” (“il semplice”, era un indizio; “il molteplice”, erano numerosi indizi; “la convergenza”, il loro tout se tient).
E valga l’analogia.
Infatti, la “Occupazione”, che dovrebbe fare da quinta al proscenio liberatorio annunciato da Salvini, è vuoto artificio che accomuna il Ministro, già “Lumbard”, alla più schietta “Narrazione Antimafia”, nata nell’Isola e poi irraggiatasi per colli e per pianure, fino a diventare prodotto di largo consumo ciarlatano.
Artificio, di cui hanno costituito, e costituiscono, primari interpreti il Sistema istituzionale Antimafia: DIA, DNA e DDA, ormai erettosi come una presenza perenne e irrinunciabile, da eccezionale e temporanea che era stata concepita, nel progetto di Giovanni Falcone.
Può forse tornare utile un breve ripasso “eretico”.
In Italia, come sappiamo, nel 1991, furono istituite 26 Procure Distrettuali Antimafia, e una Procura Nazionale. Accanto, e sottoposte, speciali unità investigative: le DIA. Quando si dice che le volle Falcone, si dice una cosa a metà. Falcone avrebbe voluto una Procura Nazionale “operativa”, e le distrettuali “serventi”; e non un Ufficio, sostanzialmente, di semplice coordinamento. Questo perché era consapevole del carattere eccezionale dell’istituto e, quindi, della sua necessaria temporaneità.
Il disegno di legge che venne approvato, fu pertanto un accomodamento. Ambiguo. Proprio perché lo svilimento della Procura Nazionale ha permesso di scolorire il carattere temporaneo del Sistema Antimafia. La mafia è un fenomeno umano, sosteneva; e come tutti i fenomeni umani, finirà. Il Sistema Antimafia, da Falcone, era stato pensato a termine.
Per tale ragione, si poteva congegnare il carattere “operativo” di un vertice nazionale investigativo ed accusatorio. Accusatorio: perché aveva iscritto il “suo” sistema nel più ampio campo della separazione delle carriere e della sottopozione del Pubblico Ministero a forme più adeguate di controllo: “finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticistica della obbligatorietà dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli della sua attività.” Sappiamo anche che fu considerato, letteralmente, poco meno che un delinquente, per questo disegno.
Pertanto, l’impronunciabile, l’indicibile, è il carattere temporaneo del Sistema normativo Antimafia: ordinamentale e processuale. Che, senza la Mafia (qui, al maiuscolo, perché vale come Grundnorm), è entrato in crisi di identità. Il “senza la mafia”, è comprovato da tutti i tentativi, riusciti, e in via di espansione, di riscrittura del “fenomeno mafioso”.
In questa opera, il Sistema Antimafia istituzionale è stato coadiuvato: con spirito collaborazionistico.
Dall’intelligentja comme il faut, sua banditrice. Micromega, Corriere e Repubblica, persino più simili del solito, nelle orecchianti catechesi mafiologiche, oltre, naturalmente, al Fatto Quotidiano, in maschera di “oppositore interno” a Salvini.
Si omette di ricordare nominalmente certa dottrina penalistica, benché essenziale: perché sfugge al prevalente discorso pubblico; come pure la prevalente giurisprudenza (cioè, i Giudici, di merito e di legittimità, “Colleghi” dei PM Antimafia in assetto eterno); ma basterá qui averne rammentato l’esistenza. D’altra parte, “Il latinorum”, ha sempre imperversato in ragione inversamente proporzionale alla sua inattingibile distanza e misteriosa incomprensibilità.
Salvini “Il Liberatore”, dunque. Salvini, “Il Nipotino dell’Antimafia”.
La quale, se non ci sono più i duecento omicidi l’anno chiusi nell’ombra della paura e del silenzio, si accontenta delle testate di un semiborgataro, esibite a beneficio di telecamera. Se non c’è più il controllo mondiale nella distribuzione e raffinazione di stupefacenti, non disdegna il flusso di una pompa di benzina.
Se “sa, ma non ha le prove”, può sempre ricercare “influenze”, “vicinanze” e simili altri fantasmi persecutori, che il trucco immorale delle cd Misure di Prevenzione, giudiziarie e prefettizie, autorizza e favorisce.
Salvini, se non fosse un “Nipotino dell’Antimafia”, ad es., dovrebbe dire cosa pensa di Rocco Greco: il piccolo imprenditore di Gela suicidatosi, dopo essere stato massacrato dal Sistema Antimafia, con sequestri, e assoluzioni-beffa.
Insomma, quella frase salvinesca precisa un work in progress ideologico-politico.
Chi, allora, intendesse opporsi a Salvini, essendo stato negli ultimi due decenni un convinto fruitore di quella “Narrazione”, dei suoi pulpiti e dei suoi sacerdoti, gli piaccia o meno, si trova ad aver lavorato per quello stesso Salvini (e per i suoi alleati). Simmetricamente, chi, da suo sostenitore, intendesse situarsi agli antipodi dei cd Radical Chic (espressione abbastanza insensata, ma è per intenderci secondo il gergo polemologico più accreditato), gli piaccia o meno, è finito dentro fino a collo nella loro più importante sceneggiatura.
E chi, degli uni o degli altri, dubitasse che questa è la più importante Struttura di Potere, potrebbe tentare di mettere mano ai commi, e vedere che fine fa, e in quanto tempo. Lo sa anche Salvini, naturalmente. Perciò, viene in Sicilia a fare, insieme, “il pupo e il puparo”.
È la nuova “Convergenza del molteplice”. È la Nuova Occupazione. Liberticida, violenta, autoritaria, e formalmente legittima: come la prima.