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Warren e Gillibrand in Tv: “duello” a distanza tra somiglianze e spettri del passato

Due delle sei donne a contendersi la nomination democratica, le senatrici sono apparse nelle stesse ore su due reti diverse a parlare della propria candidatura

Giulia PozzibyGiulia Pozzi
Warren e Gillibrand in Tv: “duello” a distanza tra somiglianze e spettri del passato

Kirsten Gillibrand (a sinistra) e Elizabeth Warren (a destra).

Time: 7 mins read

A voler considerare solo le apparizioni televisive – trasmesse ieri sera rispettivamente da CNN e MSNBC – delle candidate alle primarie democratiche, entrambe del North East, Elizabeth Warren e Kirsten Gillibrand, sarebbe difficile capire chi delle due ha un’agenda più liberale o più popolare tra gli elettori democratici. In parte, potremmo chiamarlo “effetto Bernie Sanders”: perché  la “rivoluzione politica” del senatore del Vermont partita nel 2016, se non è servita a piazzarlo alla Casa Bianca e non si sa che esito avrà questa volta, è sicuramente riuscita ad orientare il dibattito all’interno del Partito Democratico, e a spingere progressivamente più a sinistra i candidati in lizza per il 2020. Il risultato è che, almeno a un’occhiata superficiale, le proposte di due senatrici dal background piuttosto diverso tra loro appaiono oggi a grandi linee sovrapponibili.

Non a caso, un recente articolo pubblicato su Vogue citava proprio le senatrici – due delle sei candidate alla presidenza – per dimostrare che agli Stati Uniti serve un Commander-in-Chief donna. Il noto magazine si è focalizzato in particolare su un tema ad entrambe caro, quello degli aiuti alle giovani famiglie e del congedo di maternità, che negli USA, per come lo conosciamo noi in Europa, praticamente non esiste, se non in forme estremamente ridotte e residuali. A pochi giorni di distanza l’una dall’altra, Warren e Gillibrand hanno infatti reso pubbliche le loro proposte sul tema: per la prima, si tratterebbe di un piano universale di assistenza all’infanzia economicamente abbordabile (finanziato da una tassa sui più ricchi), che livellerebbe i costi che pesano sulle famiglie per la cura dei figli più piccoli al 7% del proprio reddito; la seconda vorrebbe reintrodurre il cosiddetto FAMILY Act, che garantirebbe un congedo fino a 12 settimane, con paga fino a due terzi, per i nuovi genitori o per chi abbia problemi di salute o debba assistere un familiare malato.

Questo non è l’unico argomento che Gillibrand e Warren hanno in comune. Assicurazione sanitaria gratuita, Green New Deal, istruzione economicamente abbordabile, aspra critica alle politiche trumpiane in tema di immigrazione e integrazione sono tutti temi che sembrano unirle più che dividerle, ma che in molti casi sono comuni, più in generale, alla folta compagine democratica in trincea per il 2020. Certo: se la promessa di Sanders in merito all’Healthcare sembra essere la più radicale di tutte, Gillibrand, pure firmataria della proposta di legge sull’argomento del senatore del Vermont, appare invece più prudente. La senatrice dello stato di New York ha infatti dichiarato l’intenzione di prevedere un periodo di transizione, prima di cancellare il sistema privato con un colpo di spugna, per consentire agli americani di aderire al Medicare a qualunque età per “creare un’opzione pubblica e no profit”. Anche la Warren, solitamente descritta come una “Sanders al femminile” e anche lei firmataria della proposta del senatore del Vermont, ha dichiarato di immaginare “percorsi differenti” per arrivare al tanto agognato “Healthcare for All”. “Quando parliamo di Medicare per tutti, ci sono molti percorsi diversi”, ha spiegato. “Quello che stiamo cercando è il modo più economico per assicurarci che tutti siano coperti dall’assicurazione”. Secondo Warren, l’obiettivo potrebbe essere raggiunto prima abbassando l’età minima per aderire al Medicare (oggi fissata a 65 anni – ndr) a 60, 55 o 50 anni. “Questo aiuta a coprire le persone che sono più a rischio”, ha detto, ma ha anche suggerito la possibilità – come alcuni attivisti hanno discusso – di iniziare proprio dai giovani americani. “Iniziamo da qui: tutti i giovani sotto i 30 anni vengono coperti da Medicare”.

Nel “raduno politico” televisivo, Warren ha però introdotto alcuni elementi di novità. Già in passato era stata critica nei confronti del sistema del collegio elettorale, il corpo costituzionale che elegge Presidente e Vicepresidente, composto di 583 grandi elettori. Un sistema che, ha detto Warren alla CNN, dovrebbe essere eliminato. Nel rispondere a una domanda sull’opportunità di allargare il diritto al voto, Warren ha descritto il processo di elezione del Presidente come un modo per privare del loro diritto gli elettori negli Stati dominati da un singolo partito politico. Con il risultato che i candidati si “dimenticano” di incontrare gli abitanti di quegli Stati che non sono terreni di battaglia cruciali. “Il mio parere è che ogni voto conta, e che possiamo assicurarci che ciò avvenga effettivamente con un sistema di voto nazionale, il che significa sbarazzarci del collegio elettorale”, ha detto tra gli applausi.

Warren ha anche dichiarato di essere favorevole a pagare delle riparazioni ai discendenti degli schiavi, punto su cui i candidati democratici sono apparsi divisi (Sanders, per esempio, si è detto contrario). Non solo: come ha fatto il senatore del Vermont nel suo rally newyorkese, ha indugiato sulla sua storia familiare davanti a un pubblico più ampio del solito. L’infarto del padre, ha raccontato, ha gettato la sua famiglia nell’incertezza finanziaria. Per evitare di perdere la casa, sua madre ha cominciato a lavorare percependo un salario minimo. Un’esperienza che completa la sua immagine di accademica di Harvard che rappresenta il liberale stato del Massachusetts in Senato, e che costruisce un ponte con gli elettori che, dalla crisi del 2008, non si sono mai rialzati davvero. La senatrice è anche dovuta tornare a giustificarsi sulle polemiche in merito allo scivolone sulle sue presunte origini native americane dimostrate con un test del DNA, terminato con una lunga serie di scuse ai leader delle comunità tribali: quelle riferite, ha spiegato, erano storie sentite e apprese dalla sua famiglia in Oklahoma. “Non sono una cittadina tribale e rispetto le differenze”, ha detto Warren alla CNN. “Le tribù e le sole tribù determinano la cittadinanza tribale”. Uno strafalcione che, tuttavia, rischia di rimanere una indelebile macchia sui suoi trascorsi politici.

Anche Gillibrand ha dovuto affrontare i fantasmi (leggi le “giravolte”) del suo passato. Innanzitutto, è dovuta tornare al suo trascorso da giovane avvocato che lavorava per grandi studi, e alla sua difesa della multinazionale del tabacco Philip Morris. Un periodo in cui – ha chiarito – si sentiva “morta dentro”, profondamente insoddisfatta per quell’incarico, ma quell’esperienza, ha spiegato, le ha fatto capire che era l’impegno pubblico, inteso innanzitutto come servizio, a fare per lei. Gillibrand ha rivendicato, insomma, il coraggio di aver “cambiato idea”, e non solo allora: sulla guerra in Iraq, per esempio, come democratica ha più volte votato con i repubblicani per finanziare la missione senza stabilire chiari limiti temporali per il ritiro, per poi schierarsi più tardi con il resto del suo partito contro un aumento del contingente e a favore di una deadline per riportare a casa le truppe americane. Anche sulla questione del controllo delle armi, che pure, ha spiegato, non è particolarmente sentita nella comunità che rappresenta, “avrei dovuto fare di più”.

Non solo: sulla sua immagine gravano le notizie di inizio anno a proposito dei contatti avuti con pezzi grossi di Wall Street per finanziare la sua campagna. Circostanza che stride un po’ con l’impegno, ribadito in Tv e comune con Warren e altri contendenti, di non accettare denaro né da lobbisti individuali né dai potenti Political Action Committee (PAC), comitati che raccolgono fondi tra i propri membri per effettuare donazioni a sostegno o per ostacolare candidati. Se c’è una cosa che non rimpiange, tuttavia, è stata la pressione esercitata per costringere alle dimissioni immediate l’influente senatore democratico del Minnesota Al Franken dopo alcune accuse di molestie sessuali. Una mossa, quella di Gillibrand, che le ha sostanzialmente alienato la simpatia di parte del Partito, perché considerata eccessiva e affrettata rispetto agli episodi riferiti. “È stato molto difficile per molti democratici, perché la verità è che ci manca e la gente lo apprezzava”, ha ammesso alla MSNBC. “Dovevo scegliere se stare in silenzio o no… E se c’è qualche potente finanziatore dei democratici arrabbiato perché mi sono schierata dalla parte delle donne che hanno riferito di aver subito molestie sessuali, questo dipende da loro”. Quanto alle accuse di avance non richieste avanzate da un membro del suo staff contro Abbas Malik, suo assistente (un “inciampo” non da poco per chi, come lei, sta costruendo la sua campagna sui diritti delle donne), ha dichiarato di essere soddisfatta per come l’ufficio ha gestito la situazione: quelle accuse, ha detto, “non arrivavano al livello di molestia sessuale, ma abbiamo trovato prove di commenti fuori luogo”, motivo per cui, ha puntualizzato, Malik “è stato punito”. Il polverone era iniziato quando la dipendente vittima delle attenzioni eccessive di Malik ha deciso di rassegnare le proprie dimissioni, scontenta di come l’ufficio avesse gestito l’intera vicenda. Solo dopo nuove accuse, lo staff di Gillibrand ha riaperto le indagini e lo ha infine allontanato a marzo.

Secondo un sondaggio della CNN, Warren è più popolare di Gillibrand: dietro a Biden (28), Sanders (20), alla californiana Kamala Harris (12) e a Beto O’Rourke (11), la senatrice del Massachusetts è 5 punti avanti rispetto a quella di New York, che, a pari merito con altri candidati, supera soltanto la hawaiana Tulsi Gabbard. Non c’è dubbio che entrambe le candidate abbiano davanti a loro una strada in salita, un po’ di più per Gillibrand, che questo weekend terrà un kick-off alle Trump Tower a New York. Sarà però interessante valutare gli equilibri di questo affollatissimo campo democratico per due ragioni: primo perché, se pure dovesse prevalere un uomo, dovrà sempre scegliersi un Vicepresidente, che – ha suggerito Beto O’Rourke per diradare le ombre su certi atteggiamenti ritenuti vagamente maschilisti e su una copertura mediatica che alcuni hanno definito privilegiata e sessita – potrebbe essere donna. Secondo perché, come ha opportunamente osservato il Washington Post, se un tempo essere donne e madri poteva costituire un punto debole in una campagna elettorale, ora è un punto di forza: non è un caso che proprio Gillibrand, nell’annunciare la propria candidatura esplorativa, si sia descritta “una giovane madre desiderosa di combattere per i figli delle altre persone proprio come combatterei per i miei”. E neppure è un caso che, nel suo discorso di lancio della sua candidatura, Warren abbia ironicamente raccontato:

Quando ero a casa con la mia prima figlia, ho avuto questa idea che avrei frequentato la scuola di legge. È stata un’idea pazzesca, ma ho insistito. Alla fine, me la sono cavata con le application e i test di ammissione, ho capito come pagare le mie tasse scolastiche e ho mappato i 45 minuti di tragitto al campus. In quelle settimane, avevo un’ultima cosa da fare sulla mia lista: trovare un asilo nido. Mia figlia Amelia aveva quasi due anni e io cercavo dappertutto. […] Siamo arrivati al fine settimana prima che la scuola di legge iniziasse, quando finalmente ho trovato un piccolo asilo con un insegnante allegro, una piccola area giochi, nessuna puzza di marcio, nella mia fascia di prezzo. Ma il posto avrebbe preso solo bambini che erano già “sicuramente addestrati al vasino”. Ho guardato Amelia. Stava felicemente tirando fuori i giocattoli dallo scaffale, il suo pannolino a malapena coperto dai suoi pantaloni rosa elasticizzati. […] Ora avevo cinque giorni per addestrare al vasino una bambina di quasi due anni. Tutto quello che posso dire è che oggi sto davanti a voi grazie a tre sacchetti di M&Ms e a una bimba collaborativa.

 

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Giulia Pozzi

Giulia Pozzi

Classe 1989, lombarda, dopo la laurea magistrale in Filologia Moderna all'Università Cattolica di Milano si è specializzata alla Scuola di Giornalismo Lelio Basso di Roma e ha conseguito un master in Comunicazione e Media nelle Relazioni Internazionali presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI). Ha lavorato come giornalista a Roma occupandosi di politica e affari esteri. Per la Voce di New York, è stata corrispondente dalle Nazioni Unite a New York. Collabora anche con "7-Corriere della Sera", "L'Espresso", "Linkiesta.it". Considera la grande letteratura di ogni tempo il "rumore di fondo" di calviniana memoria, e la lente attraverso cui osservare la realtà.

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