Come si sa, la slavina, più precipita, più s’ingrossa. Ogni ostacolo, travolto e superato con violenza, diventa nuovo alimento per quella massa minacciosa.
Una simile dinamica, però, si coglie solo durante. Prima, no. Solo che le slavine, proprio prima di essere rovinose, vivono un tempo di saggezza, si potrebbe dire, di lealtà: si annunciano, hanno una passione per i segnali.
La temperatura che c’è; le nevicate che ci sono state; la forma e il grado del pendìo, ad ammonire che la Natura è lì da sempre, con quel suo stesso volto, riconoscibilissimo; e così via.
Ora, le slavine che nascono dalla vicenda umana, non presentano uno svolgimento dissimile. Quando ci si chiede, di fronte ad un qualche “cambio di passo verso il buio”, nella Storia di una persona, di una famiglia, di un intero Popolo, o di più Popoli vicini: “Ma, come è stato possibile? Dove guardavano?”; ecco, vengono riecheggiate quella stessa sintesi di incredulità e di pietà rabbiosa, che immancabilmente seguono alla contemplazione dolorosa, al conteggio dei vivi e dei morti, delle rovine e delle mura superstiti.
I segnali. Di fronte a simili domande, poi arriva un saggio, ferreo delle sue certezze di postero, a spiegare ciò che, a cose fatte, in fondo, appare chiaro a tutti. Non si sono colti i segnali: o sono stati ignorati o sono stati fraintesi.
E veniamo a noi, è il caso di dire.
Qui, in Italia, sul terreno politico ed istituzionale, non abbiamo ancora una slavina; ma abbiamo segnali, quanti ne vogliamo.
O meglio: non abbiamo una slavina in atto; ma ne abbiamo avuta una appena ieri, sul piano storico.
Tangentopoli, la messa sotto Accusa Permanente dei Poteri Elettivi: da Palazzo Chigi fino all’ultimo consiglio di quartiere, passando per il Parlamento, di fatto spogliato di ogni reale autonomia, con la vile abdicazione dalla sua Immunità.
Che, sin dalla Magna Charta, è stata garanzia della funzione e, pertanto, doveva anche da noi affermarsi intangibile: se non al prezzo della più cruda restaurazione di un assetto politico ed istituzionale reazionario. Pulpiti, inquisizioni, roghi. Tutto noto.
E stata, anzi, una tale slavina, da far pensare che incomba, latente, una sua ripresa: come se l’energia distruttiva che la sostenne, vasta e profonda, non si fosse ancora consumata; e fosse in attesa di un “secondo tempo”.
E ancor più vastamente distruttivo, più profondamente illiberale.
L’ultimo dei segnali, provenienti dal Governo della Repubblica è: “Togliamo i poteri al capo dello Stato: Un capo dello Stato che presiede il Consiglio superiore della magistratura, capo delle forze armate, non è più in sintonia con il nostro modo di pensare”.

Lo ha mandato, domenica, Grillo: come tutti quelli che contano, in quanto destinati ad essere pedissequamente tradotti in decisione politica. “Beppe”: come affettuosamente lo ha evocato il Presidente del Consiglio Conte, che si è sentito in dovere di compiere verso il Quirinale, una chiamata “di cortesia”.
Dunque, anche questo è un segnale del Governo: giacchè, se Grillo fosse pesato come il sostituto del portiere, o se, pur ammesso “il ruolo”, si fossero ritenute parole di nessuna consistenza politico-programmatica, una simile iniziativa rimarrebbe priva di giustificazione. E, invece, Conte ha chiamato perchè Grillo “è” il Governo. Ovviamente.
Si badi. Queste “mini-kristallnacht” valgono non per le reazioni che suscitano: ma per quelle che “non” suscitano; servono, proprio grazie alla misura delle “non-reazioni”, a preparare, a persuadere. Così che, quando “accadrà”, non sarà che un “già accaduto” morbidamente, sul registro del cabaret, della parola e non del carro armato; non serve. Si procede un sorriso per volta.
“La Sintonia”; “Il nostro modo di pensare”.
Sicchè, anche il conseguente auspicio dello stesso Conte è “da spartito”: si tratta di parole “da ridimensionare”. Di trascurabile importanza, nemmeno un rutto, ma un ruttino, una cosa quasi simpatica, da bambini che ispirano tenerezza: “lui è fatto così”, infatti, ha infine chiosato con locuzione puntualmente paterna, o fraterna. O servile e impudìca: a voi la scelta .
Tuttavia, è quello che succederà, anzi, è già successo, in effetti. Nulla fa più effetto; niente impressiona, tutto si perde in un’atonìa morale e di linguaggi sordi a qualsiasi elementare sensatezza, refrattaria ad ogni ragionevole messa a punto dell’ordine delle cose: costituzionale ed istituzionale. Segnali che si perdono in una carestia di cultura liberale e democratica, ormai pervasiva: dove, di fatto, si è già pronti ad accettare che “succeda quel che deve succedere”.
La Democrazia, il Parlamento “che in futuro non sarà più necessario”, come ancora tre mesi fa ha assicurato Davide Cassaleggio, l’altro “Tutore del Governo” , con lugubre, e di nuovo, sottaciuto auspicio (essendo invece, in realtà, un progetto politico), sono stati gli strumenti di chi “ha rovinato l’Italia”: da dieci, da venti, da quarant’anni. E, pertanto, sì, potrebbero essere travolti: ma, sia pure: “in fondo, se lo sono meritati”. D’altra parte, dove ci sono allievi, ci sono stati maestri.
E cose così, secondo “il mood” ormai prevalente.
Ma, infine, perché temere, perché parlare di segnali? E’ già pronto un disegno di legge costituzionale, per la prossima primavera, certificava un mese fa il Ministro Di Maio: “c’è il taglio di 345 parlamentari e l’introduzione dell’istituto del referendum propositivo”, e “sarà abolito il quorum”
Ah, il buon vecchio plebiscito! Tutti partecipi: tutti padroni in casa propria. A questo punto della storia, se ne sentiva la mancanza. Ma, probabilmente, se sarà, sarà l’ultimo segnale.
Poi, ci sarà la pace dei sepolti.