Provvisorio prontuario di punti da tenere a mente, e più che mai nei tempi che si è costretti a vivere e patire; tempi, come s’usa dire, di crisi delle democrazie liberali, e di insorgenze nazional-populiste, che percorrono e agitano l’Occidente, ma non solo: le si ravvisa in quella parte di mondo chiamata Est, e in quella che si ritiene essere Sud. Così ecco Donald Trump negli Stati Uniti, ma Theresa May e la sua Brexit nel Regno Unito; e non parliamo di Spagna, Mariano Rajoy da una parte, e la miope spinta autonomista della Catalogna dall’altra; o la povera Italia, lacerata tra la Lega di Matteo Salvini, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e Luigi Di Maio, e altre frattaglie capaci di nulla e buoni a niente; e fermiamoci qui.

Una sorta di salvavita, dunque, si impone.
Senza essere marxisti si può concordare con Karl Marx: la Storia si ripete due volte; la prima come tragedia, la seconda come farsa; ma forse sbagliava: anche la seconda, e le successive, spesso si presentano in forma di tragedia; così ci si consente un parallelo. Dopo la fine dell’Impero Romano e l’invasione barbarica (tutto sommato una gigantesca migrazione da Est a Ovest), si scatena una sorta di apocalisse. Non è solo l’erba che smette di crescere; tutto viene distrutto: persone e cose, edifici, luoghi, biblioteche. Le popolazioni precipitano in un livello di analfabetismo primordiale fonte e causa di ulteriori disastri. La cultura e la civiltà devono molto, allora, ai monaci: che salvano una quantità di libri. Si dovrebbe fare una storia di come tante opere sono state salvate dalla distruzione perché portate al sicuro, nei monasteri d’Irlanda. Se ne può, se ne deve ricavare una lezione per l’oggi e i tempi futuri: la cultura è libertà, i libri sono il simbolo della cultura. Niente li può davvero sostituire.

Libertà, cultura, dubbio; ecco la terza gamba su cui poggia la civiltà. I teologi più accorti avvertono che non è un vero credente chi, almeno una volta, non dubita, non è roso e attraversato dal dubbio. Quei teologi hanno ragione. E’ questione di igiene mentale mettere in discussione le proprie idee e convinzioni. Se non lo si fa, inevitabilmente l’opinione si trasforma in dogma. Il dubbio non significa necessariamente mutare idea, opinione; significa accettarla di sottoporla al vaglio della critica, accettare di trasformarla o, magari, comprenderla meglio.
Libertà, insomma, come valore: al pari della giustizia e della vita. Valori universali che non sono discutibili; l’opinabile consiste nella loro interpretazione. Per capirci: siamo sicuri che i genitori siano liberi di educare i loro figli come meglio credono?
Dal dubbio ai sentimenti, il passo è breve. E’ credenza comune che la ragione debba controllare i sentimenti; questi ultimi sarebbero irrazionali. Quelle che gli esperti definiscono “pulsioni” (vale a dire i desideri, le motivazioni), generalmente sono considerate più pericolose dei cosiddetti sentimenti riflessivi: gioia, tristezza, vergogna. Sarà poi vero? Perché non si dovrebbe dubitare anche di questa affermazione? Non foss’altro perché chi mastica appena un poco di filosofia e di filosofi spesso si imbatte nei sentimenti di un Aristotele o di un Baruch Spinoza, di un Immanuel Kant.

Per non dire di David Hume, che suggerisce di sottomettere la ragione alle passioni: pura forma incapace di muovere o determinare la volontà all’azione, la ragione riceve contenuto morale dalle passioni: «La ragione è e deve essere schiava delle passioni».
Ma per non allontanarsi troppo dalle originarie premesse, lo sconquasso universale nel quale siamo precipitati: alla fine, una quota di responsabilità non marginale la si può imputare a una collettiva perdita della memoria. Si è smarrito il ricordo, e se ne ha vaghissima conoscenza (e ancor meno consapevolezza) dei tempi amari dell’italiano fascismo, del tedesco nazismo, del comunismo che dominava da Mosca a Varsavia, da Sofia a Bucarest, da Praga a Budapest; e a Tirana, Pechino, L’Avana, ma anche lungo tutto il centro e sud delle Americhe. Un crescente numero di persone disprezza, a parole e nei fatti, la democrazia rappresentativa; e pensa che le sue regole, le stesse istituzioni non contino nulla; cresce la tentazione di affidarsi a derive e “alternative” autoritarie e repressive, al tristemente famoso “uomo forte al comando”. Più che mai urgente, prezioso, necessario lavorare per l’affermarsi di un valore-principio: l’elogio dell’imperfezione.

Emilio Cecchi in Messico scrive una pagina esemplare: “Quando una donna Navajo sta per finire un tappeto, lascia nella trama e nel disegno una piccola frattura, una menda: affinché l’anima non le resti prigioniera dentro al lavoro. Questa mi sembra una profonda lezione d’arte: vietarsi, deliberatamente, una perfezione troppo aritmetica e bloccata. Perché le linee dell’opera, saldandosi invisibilmente sopra sé stesse, costituirebbero un labirinto senza via d’uscita: una cifra, un enigma di cui si è persa la chiave. Per primo s’irretirebbe nell’inganno lo spirito che ha creato l’inganno”. Conclude, Cecchi, in modo esemplare: “E’ un avvertimento contro il materialismo estetico”. Ecco.