Ovvio che Romano Prodi consideri il Movimento Cinque Stelle “non pronto per governare” e che dunque inviti gli italiani a turarsi il naso e votare DC, cioè PD. È dal 1948 che il giochetto gli funziona, ai democristiani comunque travestiti: perché dovrebbero smettere? Li ha convenientemente esentati dalla necessità di dimostrare di essere onesti, qualificati, capaci, interessati al bene del paese: è bastato convincere la gente che le alternative, tutte le alternative, sarebbero catastrofiche, soprattutto quelle mai sperimentate.
Iniziarono appunto nel dopoguerra e per quasi mezzo secolo beneficiarono del “fattore K”, termine inventato da un grande giornalista di quando ce n’erano anche in Italia, Alberto Ronchey, per indicare l’impossibilità di votare PCI per via del rischio di diventare una colonia dell’Unione Sovietica. L’improvviso crollo del comunismo, all’inizio degli anni novanta, rese inefficace questo ricatto e infatti la DC storica si dissolse immediatamente. Ma gli eterni democristiani sono sopravvissuti, inventandosi un altro Moloch da agitare per ottenere consensi a scatola chiusa: Berlusconi. Al nuovo male assoluto opposero i girotondi dell’intellighenzia nazionale ma soprattutto quell’obbrobrio che fu l’Ulivo: astuto dispositivo politico per catturare il voto degli elettori ancora di sinistra e traghettarli al centro, facendone per di più dei tenaci sostenitori dell’unione monetaria europea voluta dalle banche e dalle multinazionali. Tutto sotto la regia del democristiano Prodi, quello che siccome si è ritirato dalla politica e non può più dare cattivo esempio si limita a dare buoni consigli.
Fino a che Berlusconi, per ragioni anagrafiche, non è diventato irrilevante; e in quanto tale anzi utile per riportare nella DC, ossia nel PD, la destra che se ne era staccata. Da qui l’irresistibile ascesa del democristiano Renzi e il suo Patto del Nazareno. Ma i nuovi democristiani, esattamente come quelli antichi, proprio non ce la fanno a convincere gli italiani con i loro propri meriti; troppa corruzione, troppa incompetenza, è un regime che programmaticamente premia i peggiori e può vincere solo minacciando l’apocalisse. Cioè servendosi di quello che chiamerei il “fattore O”, in cui la O sta per “opposizione”. Salvini? Un fascista. Grillo? Pure lui. “Se il M5S vincesse le elezioni sarebbe un pericolo”, garantisce gravemente Prodi a “Otto e mezzo” e l’assenso di Lilli Gruber è enfatico: distruggerebbero l’Italia. Certo, l’euro voluto da Prodi l’ha già messa in ginocchio e il liberismo renziano sta dandole il colpo di grazia, concretamente, non ipoteticamente; ma in Italia le ipotesi fanno più paura della realtà, fin dai tempi della vecchia siracusana che pregava che il tiranno Dionisio restasse in vita nel timore che il suo successore fosse peggiore.
Non fidatevi di Prodi, di Renzi, dei giornalisti al loro servizio. Non c’è nessun dio e nessun leader che potranno salvarci: solo noi stessi possiamo salvarci, dunque solo la democrazia può salvarci, e la creatività che nasce dalla democrazia quando la si pratichi davvero. Ma non c’è democrazia senza scelta, senza alternative concrete, senza il coraggio di cambiare, prendendosi dei rischi, certo, ma molto minori che restare aggrappati a un presente che sta affondando, che ci sta annegando. Finitela di prendere per buone le metafore e le iperboli: non c’è nessun Hitler sulla scena politica attuale, nessun Pinochet; Le Pen o Salvini non hanno alcuna intenzione di instaurare un sistema totalitario e anche se ce l’avessero non potrebbero farlo perché contrario agli attuali interessi del neocapitalismo globalista. Tanto meno Grillo o Di Maio. Per cui ci saranno altre elezioni in futuro, nelle quali avremo la possibilità di mandare via il prossimo tiranno di Siracusa, se si sarà rivelato peggiore di quello attuale. Se. Alla fine tutto si riduce a una semplice decisione: chi è convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili, fa bene a essere conservatore e tenersi Prodi e Renzi e i prossimi democristiani; chi è convinto che stiano danneggiandoci deve cacciarli via e provare qualcos’altro e continuare a provare.