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May 3, 2017
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May 3, 2017
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Grillo, Di Maio e quelle Cinque Stelle cadenti

Perché quel Movimento 5 Stelle da cui in passato la sinistra avrebbe dovuto imitare le idee, ora non mi piace più

Marco PontonibyMarco Pontoni
Beppe Grillo

Beppe Grillo durante un comizio a Bologna, il 7 maggio 2011 (Foto Flickr - Giovanni Flavia)

Time: 7 mins read

“A me Beppe Grillo piace. Mi ha sempre fatto ridere, è spiritoso, gli vengono delle battute brillanti”. Questo scrive Luca Sofri sul suo blog Wittgenstein. Il corollario, ovviamente, è che Grillo è un comico, le spara grosse, ma sul piano politico si è rivelato deludente, inaffidabile.

Io invece non ho alcun problema ad ammettere che all’inizio i 5 Stelle mi hanno, non affascinato, questo no, ma incuriosito. In senso positivo e anche sul piano politico. Stimolavano il lato radicale in me. In noi. Inteso come “radicalismo di sinistra”, non so in quale altro modo dirlo (uso alternativamente il singolare e il plurale anche se in definitiva posso parlare solo per me stesso).

Vedete, per certe persone, persone cresciute fra gli anni 70 e gli anni 80, credo, il PCI e i suoi eredi sono sempre sembrati troppo…troppo cosa? Non troppo poco comunisti, ci mancherebbe, per me Occhetto era in ritardo quando si decise per la svolta della Bolognina (bisognava aspettare la caduta del Muro di Berlino per capire che il “socialismo reale”, si era risolto, ovunque nel mondo, dall’URSS al Mozambico, in una dittatura?). No, non troppo poco comunisti. Troppo poco coraggiosi. Troppo poco anti-sistema. Troppo poco innovatori come lo erano state figure come quella di un don Milani, ad esempio, o forse anche di un Pannella, ai tempi d’oro.

Per chi è cresciuto con il Manifesto, seguendo la Neue Linke, i Verdi tedeschi (i primi in assoluto!), poi leggendo Rifkin, non disprezzando un Di Pietro eccetera, il PCI e i suoi eredi non potevano che sembrare un po’ troppo…prudenti. E un po’ scontati, a volte.

E così è anche oggi: sentire ancora la litania innovazione-sviluppo-competitività, nell’era della Globalizzazione matura, della Cina first, dopo il 2008, dopo quel che ne è seguito, fa scendere il latte fino a sotto le ginocchia. Davvero è questo il massimo che la sinistra è in grado di dire oggi in Europa? Le parole d’ordine del mercato globale? Davvero ci è piaciuto Blair? Il suo imperialismo mascherato da qualcos’altro? Davvero ci accontentiamo della guerra di Iraq? Dell’esecuzione tardiva di Gheddafi, quasi un delitto per procura, oltre che un salto nel buio? E’ questa la nuova sinistra che sognavamo quando la nuova sinistra per noi era Alex Langer?

Troppo poco.

Così, all’inizio, sì. Non posso dire che Grillo mi desse fastidio. Ricordo una delle sue tirate, si era ancora negli anni 90. Si indignava perché, quando gli si erano consumate le gomme dei tergicristalli, ed era andato dal benzinaio per cambiarle, gli avevano detto che doveva cambiare tutto il pezzo. Ma come? Ad essere consumate erano due strisce di gomma e doveva comprare il blocco completo, compresi i tergicristalli di plastica (che di per sé funzionavano benissimo e che venivano prodotti grazie al petrolio, risorsa non rinnovabile). Beh, era musica per le mie orecchie, quel tipo di indignazione. Voi capite. Avevo appena finito di lavorare in una struttura pubblica (una struttura assistenziale), ospitata in una villetta graziosa e funzionale, con un meraviglioso soffitto di legno, assolutamente adatta al servizio che ospitava (accogliere chi soffriva di disagio psichico). Mi dissero che avrebbero buttato giù tutto, che era più conveniente costruire lì un palazzo di quattro piani che tenerla in vita e magari ristrutturarla (in ossequio alle normative europee, ovviamente). “Almeno, lo recuperetete, il legno?”, chiesi, ingenuamente. Mi risero dietro.

Qualche tempo dopo avevo assistito ad un convegno con l’allora Ad della Fiat Cesare Romiti. Era stato detto, fra le altre cose, e senza molto pudore, che per un prodotto-tipo il ciclo di vita medio, di un anno, era troppo lungo, che stavano cercando di abbassarlo a 10 mesi. Io pensavo alla radio Marelli –a valvole – che i miei genitori avevano ascoltato forse per trent’anni, e mi sentivo strano.

Ecco, questa era l’Italia degli anni 90. Il mondo degli anni 90. Ed ecco perché a me le cose che diceva Grillo sembravano quantomeno sensate. Signori, davvero abbiamo bisogno di un’economia basata sul cemento e di prodotti che dopo 10 mesi sono da buttare? Le esigenze occupazionali giustificano questa follia? E oggi potrei chiedermi: abbiamo così tanto bisogno di nuove app? In quanti oggi ricordano che un anno fa tutti i ragazzini inseguivano i pokemon con i loro cellulari e i giornali pubblicavano dotte dissertazioni su queste cagate? Qual è il futuro che vogliamo? Qual è il senso di tutto questo? (Chiamasi: la vita?).

Sì. Ero uno di quelli che Grillo non lo avrebbero votato ma che avrebbe voluto sentire la sinistra ragionare per esempio di limite, di de-sviluppo, piuttosto che di innovazione un tanto al chilo. Di solidarietà anziché di competitività (e della sua variante, la competitività territoriale). Di Internazionalismo (veniamo da lì) piuttosto che di Globalizzazione.

Osservo fra parentesi che lo stesso Romiti, bontà sua, dichiarò una volta che i 5 Stelle erano cosa positiva per l’Italia (chissà perché. O forse, i capitalisti lo fiutano, il futuro che sa di vecchio).

Insomma, questa era la premessa. Grillo per un po’ è sembrato interessante non solo perché le sparava grosse, come dice Sofri. Ma perché le sparava, almeno in parte, “giuste”. Perché aveva un pensiero non blandamente riformista (e per quanto sia difficile in Italia fare anche la più scontata delle riforme, vedi bicameralismo perfetto). Perché, in un certo senso, diceva anche lui (non solo lui, certamente) che un altro mondo è possibile. Se la sinistra “ufficiale” diceva che il mondo è questo, e dobbiamo cercare di cambiarlo un pochino, con il pessimismo della ragione, con i G8, con i ritocchini, Grillo sembrava tuonare: nossignori, si deve cambiarlo dalle radici, il mondo (come facevano i poeti alla Roversi e alla Fo ai tempi loro, come facevano i punk, accendendo nei nostri cuori un po’ di emozione, perché anche di questo abbiamo bisogno, a volte, di emozione, di passione).

Poi qualcosa si è rotto. Non da ora. Già da tempo.

Qualcosa si è rotto quando ho visto due presuntuosini prendere a pesci in faccia Bersani, anche se Bersani di suo stava parlando con lingua biforcuta. Avrei trovato interessante un dialogo Grillini-Ds. Molto di più che un dialogo Ds-Forza Italia, se permettete. Fosse stato ancora vivo Ingrao (uno che al dialogo PCI-Verdi ci credeva) forse sarebbe successo. Invece, niente da fare.

Va bene, lo capivo. Un movimento nato dal rifiuto netto della classe politica non poteva sic et simpliciter accodarsi ad un partito che di quella classe politica era un pilastro.

Così ho aspettato. Abbiamo aspettato, penso in tanti. E più aspettavamo, più la distanza aumentava.

Il punto di non-ritorno è stato il tentativo di far comunella con Farage. Ma come: l’Europa va cambiata, questo sì, lo dice anche Renzi. Ma non ripudiata. Non vogliamo tornare ai nazionalismi, alle monete nazionali, ai confini. No, grazie. E poi: servirebbe a qualcosa, se dobbiamo rapportarci alla Cina? E poi ancora: con chi la cambiamo, l’Europa? Con questi tristi figuri? Con Farage, la Le Pen? Il desiderio di cambiamento – che pure è tanto – giustifica tutto questo?

Luigi Di Maio

Dopo di allora, sappiamo com’è andata. Il peggio del peggio è stato Luigi Di Maio: il suo ignorare cose per noi – mi permetto di dire noi, potrei scrivere io, me, per me, sarebbe lo stesso – basilari (Pinochet. Il Cile di Pinochet. Non è un dettaglio).

E ora, questa uscita sulle ong. Chiunque abbia sentito parlare qualche volta un migrante sa che la presenza o meno di navi appoggio al largo della Libia non costituisce un fattore di attrazione determinante (per usare il linguaggio scientifico con cui si parla solitamente di migrazioni). Uno che ha attraversato il deserto del Sahara, che ha indebitato sé e la sua famiglia per fare il viaggio, che ha rischiato di tutto, che magari è stato ridotto in schiavitù in Libia, non si ferma di fronte al Mediterraneo. Spesso non ha la più pallida idea di quanto lungo sarà il tragitto per mare. Spesso non sa nuotare e il mare non l’ha mai visto. No, la presenza o meno di una nave pronta a soccorrerlo non influirà sulla sua decisone di espatriare. Il vero, unico fattore di espulsione dal suo Paese (quando non è una guerra come in Siria o una dittatura come in Eritrea) è il desiderio di avere una vita migliore. Il vero, unico fattore di attrazione non è una cazzo di nave di Medici senza Frontiere, è che lì davanti c’è l’Europa. Punto. Rassegnatevi. Gli europeisti più accesi oggi sono i migranti, che rischiano la pelle e anche di più per venire da noi. Sic est, giusto o sbagliato che sia.

Le ong sono finanziate da Soros? Se anche fosse, non me ne frega niente. Salvano le vite umane che Frontex lascerebbe affogare. Tanto mi basta. E non sono uno di quelli che pensano che la multiculturalità sia cosa facile. Non mi piace il proliferare di veli e non mi piacciono le rivendicazioni identitarie. Penso che queste cose vadano gestite e finanche sopportate, questo sì. Perché l’alternativa è spargere lacrime di coccodrillo quando il cadavere di un bambino viene recuperato su una spiaggia turca. Un’alternativa detestabile.

Così, ecco come è finito un flirt fra chi, fra alti e bassi, e senza fanatismi, si è sempre sentito (detto in soldoni) vicino a chi ha di meno, e a chi sta peggio, e a chi è scontento, e le 5 Stelle Cadenti.

Vedete, cari 5 Stelle. Questo noi lo abbiamo già visto (noi colti, noi che qualcosina leggiamo pur essendo venuti su in famiglie operaie, non in quelle radical-chic). Anche Céline all’inizio sembrò una grande “scopa del sistema”. Uno che metteva alla berlina le peggiori colpe del 900. Poi si sa come andò a finire. Céline divenne intimo dei nazisti. E degli antisemiti. Le cose che aveva scritto continuavano a piacerci, eccome. La sua indignazione, mascherata da cinismo. Il suo sbatterci in faccia il mondo degli anni 30 del XX secolo così com’era, con le sue colonie, con le sue disuguaglianze di classe. Ma lui no. Non lui, non le sue idee, non i suoi alleati. Non la sua triste parabola.

Così è con voi. Ci piacevate quando denunciavate l’assurdità di un’economia che studia prodotti in grado di durare sempre meno. Quando parlavate di energie rinnovabili. Quando vi scagliavate contro la corruzione e l’imbroglio. In cambio vi perdonavamo un po’ di millenarismo farlocco, in fondo non era poi così diverso dalle antiutopie di Huxley e Orwell, di cui ci siamo nutriti in gioventù. Vi perdonavamo anche la fede messianica nella rete, che invece con noi non faceva gran presa.

Ma non ci piacete ora, che ve la prendere con i più esposti, con i migranti, con le vittime di quei sistemi che denunciate. Non ci piace il vostro pressapochismo, la vostra disinformazione. Il vostro inseguire il mito dell’uomo forte, che non deve chiedere mai, e che quando chiede (con un referendum) è pronto ad annullarne l’esito il giorno dopo perché non è quello che sperava. Il vostro inseguire, in definitiva, il facile consenso popolare.

No, grazie. Tutto questo lo abbiamo già visto. Non ci teniamo a vederlo di nuovo.

Non è che non ci fate più ridere, come dice Sofri. E’ che proprio non ci piacete più.

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Marco Pontoni

Marco Pontoni

Sono nato in Sudtirolo 50 anni fa, terra di confine, un po' italiana e un po' tedesca. Faccio il giornalista e ho sempre avuto un feeling per la narrazione. Ho realizzato video e reportages sulla cooperazione allo sviluppo in varie parti del mondo. Finalista al Premio Calvino, ho pubblicato il romanzo Music Box e, con lo pesudonimo di Henry J. Ginsberg, la raccolta di racconti Vengo via con te, tradotta negli USA dalla Lighthouse di NYC con il titolo Run Away With Me. Ho da sempre una sconfinata passione per gli autori americani, Lou Reed, l'Africa, la fotografia, i viaggi e camminare.

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