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December 8, 2016
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Ma la promessa di Renzi non era di lasciare la politica?

Altro che dimissioni: "Se perdo il referendum sulle riforme costituzionali smetto di far politica" disse Renzi. Quindi?

Francesco ErspamerbyFrancesco Erspamer
matteo renzi promesse

Primo dicembre 2016: Matteo Renzi risponde alle domande poste su facebook (Foto Palazzo Chigi/T. Barchielli)

Time: 3 mins read

“Se perdo il referendum sulle riforme costituzionali smetto di far politica” proclamò Matteo Renzi all’inizio dell’anno, il 12 gennaio. I giornali diedero alla dichiarazione grande risalto, finalmente un politico che non pensava soltanto a conservare la poltrona, osservarono. Ingenui o più probabilmente in malafede. Perché ovviamente Renzi non aveva alcuna intenzione di fare quello che stava annunciando, come innumerevoli altre volte in precedenza o in seguito.

È il suo modus operandi: promette qualsiasi cosa che in quel momento funzioni mediaticamente e gli basta, perché convinto che la pubblicità sia il fine in sé stesso, non un mezzo. Infatti in politica ci resterà, anche dopo aver perso il referendum in maniera più netta di quanto mai si aspettasse, e le proverà tutte per rimanere alla guida del Pd e nei dintorni di Palazzo Chigi per poi tornarci da trionfatore e arrivare al Quirinale – il suo obiettivo da sempre. Del resto cos’altro ha fatto in vita sua se non occupare poltrone? Se qualcuno, oggi, gli suggerisse di ritirarsi a vita privata la considererebbe una battuta o una provocazione; e il bello è che sarebbe anche sincero, in quel preciso momento: perché le parole e gli impegni per lui non hanno alcuna conseguenza, valgono solo nell’istante in cui vengono pronunciati, non costituiscono vincoli morali o politici. Pura deregulation liberista – esenzione da qualsiasi obbligo alla coerenza e alla responsabilità, molto comodo per i ricchi e i potenti. E per i truffatori.

Ma il problema non è Renzi, chiaramente affetto da un ossessivo bisogno di prevalere. Il problema è una consistente parte degli italiani. Forse qualcuno di coloro che lo hanno sostenuto gli imputa questa costante, compulsiva propensione alla menzogna? Questa abitudine di fare promesse prima di sapere se gli interessa mantenerle o sarà in grado di farlo? No. Al 40% degli italiani va bene un premier bugiardo, superficiale e manipolatore: perché quel 40% considera la furbizia e la disonestà delle virtù. L’importante, come Renzi non manca mai di ripetere, non è partecipare e neppure giocare secondo le regole: l’importante è vincere. A qualunque costo ed egoisticamente (anche l’egoismo è un valore del mondo liberista). O almeno sentirsi vincenti, che poi è il massimo che può capitare alla gran parte di coloro che vogliono vincere a tutti i costi e ovviamente non ci riescono perché il neocapitalismo è una lotteria e premia pochissimi. Ma a loro basta la speranza e non gli importa che il prezzo sociale sia immenso e che lo paghino anche loro. È una condizione culturale reale, la furbizia, che ha radici nell’antica disaffezione nei confronti dello Stato ma che è stata totalmente sdoganata. Non basta denunciarla: bisogna capirne i meccanismi. Come cerca di fare il recentissimo libro di Michele Corradino, È normale… lo fanno tutti, pubblicato da Chiarelettere;  una lettura deprimente ma molto utile.

Perché ancora qualcosa si può fare. Il referendum ha dimostrato che il 60% degli italiani vuole un paese morale, giusto, onesto, amministrato con rigore, un paese in cui a governare siano persone di valore e che abbiano valori, non venditori di fumo al servizio delle multinazionali. È che questo 60% è troppo accomodante, troppo tenero. Lo vedete cosa sta succedendo? Sono passati pochi giorni e già i media spacciano la clamorosa sconfitta del Pd per un successo e qualcuno che pure ha votato no comincia a dubitare. La forza dei liberisti è questa: la persistenza, aiutata da inesauribili risorse finanziarie e da un assoluto disinteresse per gli effetti di medio e lungo termine. Vogliono prenderci per sfinimento. E lo faranno se ci limitiamo a restare sulla difensiva, a cercare di parare i loro attacchi. Se permettiamo loro di provarci impunemente, e al massimo fallire nell’intento. Ogni fallimento deve costare qualcosa. Non è più tempo di comprensione, compromessi, compassione, soprattutto non è più tempo di divisioni. L’unica priorità deve essere l’antiliberismo, ossia l’antirenzismo. Hanno provato a rubarci la Costituzione, non basta che se ne stiano buoni per qualche anno prima di tentare di nuovo. Hanno perso: devono pagare, non trovarsi nella stessa condizione di prima, come se niente fosse successo.

Che fare? Organizzarsi. Essere intransigenti. Smettere si dare alcuna credibilità alla stampa di regime e agli opportunisti alla Pisapia o Cuperlo, che dopo aver militato per il sì vogliono mettersi alla guida della sinistra del no, naturalmente per farle fare da stampella al Pd renziano. Dobbiamo smettere di avere paura di loro: è ora che siano loro ad avere paura di noi. Per cominciare bisogna insistere che, per una volta, Renzi tenga fede alla sua promessa: non basta che faccia finta di dimettersi; deve abbandonare la politica. È un obiettivo parziale, insufficiente, ma simbolicamente potente. Difficilmente raggiungibile; però l’importante è dimostrare che noi, a differenza dei piddini, vogliamo una classe dirigente affidabile e responsabile, che quando sbaglia sia costretta a farsi da parte. Un primo passo per ricostruire eticamente e culturalmente l’Italia.

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Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

Nato a Bari, cresciuto a Parma e in Trentino, laureato a Roma, professore a Harvard. Mi interesso di letteratura, politica, storia delle idee e cambiamenti culturali. Insegno corsi su estetica, romanzo moderno e contemporaneo, Rinascimento, calcio. Di recente ho scritto: La creazione del passato, Sulla modernità culturale e paura di cambiare, Crisi e critica del concetto di cultura. Come Gramsci, penso che al pessimismo della ragione occorra accompagnare l’ottimismo della volontà, e come James Baldwin, che la libertà non la si possa ricevere in dono: bisogna prendersela.

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