In queste ore la mia bacheca Facebook contiene molte suppliche di potenziali votanti per il prossimo referendum che si dicono stanchi e infastiditi dai troppi appelli di celebrities, personaggi pubblici, soprattutto appartenenti al mondo dello spettacolo, indifferentemente a favore del Sì o del No (con una certa prevalenza dei primi a dire il vero). Nelle ultime ore in effetti molti volti noti della scena pubblica italiana hanno messo la propria faccia per supportare i riformisti o i loro avversari. Per il Sì tra gli altri si sono mobilitati Paolo Sorrentino, Accorsi, Silvio Orlando (Jude Law era occupato), Carla Fracci, Roberto Bolle, Massimo Ghini, Stefania Sandrelli, Roberto Benigni. Disposti a spendersi per il No invece la Monica Guerritore, J-Ax, Sabina Guzzanti, Sabrina Ferilli. Ma in tutto questo quasi nessuno si è chiesto seriamente se abbia ancora senso nel 2016 (e soprattutto in questo 2016) cercare l’endorsement di un personaggio famoso per fini politici o elettorali.
Eppure la mancata elezione di Hillary Clinton pochi giorni fa dovrebbe avere fatto già scuola: per lei si erano schierati tutti, da Beyoncé a Jay-z a Bruce Springsteen, mentre dal lato di Donald Trump c’erano una star del Country vincitore del talent The Celebrity Apprentice, il vecchio rocker di Detroit Ted Nugent, e poche altre mezze figure. E sappiamo bene come sia finita.
Il sospetto che avere l’appoggio di celebrità sia in certi casi non solo inutile ma addirittura controproducente, è diventato una certezza. Analisti americani hanno già fatto sapere il loro punto di vista: oggi i personaggi famosi sono perlopiù visti come parte dell’establishment, quindi vicini al potere, probabilmente ricchi, e lontani dai bisogni della gente. A maggior ragione oggi, nel pieno della svolta (o deriva) populista. Cosa che ad esempio non accadeva ai tempi di Frank Sinatra, che poté appoggiare ben 3 presidenti americani.
Ma non c’è solo questo. Supponiamo di essere dei fan di Vasco Rossi, o di Francesco Totti, e supponiamo che entrambi questi divi si schierino a favore di una o dell’altra soluzione referendaria. Il risultato sarebbe che una buona parte dei sostenitori di Vasco Rossi o di Totti potrebbe essere indotta a rafforzare la propria idea pre-esistente (quasi mai a cambiarla), ma soprattutto i non-fan del cantante e del calciatore vivrebbero questa loro esposizione come lontana dai propri bisogni di cittadino normale, e quindi controproducente. Nel marketing, del resto, il testimonial viene utilizzato in modo abbastanza settoriale e preciso: se devo vendere un prodotto specifico (un profumo, un’automobile, un’assicurazione) non mi affiderò a un generico tipo famoso, ma cercherò di ingaggiare qualcuno che sia realmente rilevante e influente per il mio target. Ma questo, nella politica americana prima, e in quella italiana adesso, non è accaduto. L’impressione è che qui in Italia le celebrities che si sono esposte possano fare un po’ di presa su chi è già convinto della propria scelta, ma non riusciranno a sortire alcun effetto – nella migliore delle ipotesi – sugli indecisi. Soprattutto dal lato governativo, bisognerebbe sempre tenere conto che avere degli “speaker ufficiali” delle proprie posizioni può avere questo clamoroso effetto boomerang.
Diverso è il caso in cui si utilizzino personaggi già appartenenti al mondo politico, magari capaci di raccogliere dei consensi abbastanza trasversali vista la loro storia: in questo senso bene ha fatto probabilmente Matteo Renzi ad affidare messaggi a favore di Sì a Emma Bonino e all’ex Sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che sono due politici generalmente bene accolti e abbastanza “popolari”, capaci forse ancora di influenzare quel 10% di indecisi che si preparano al 4 dicembre.