“Trump non si impegna ad accettare il risultato elettorale”. È questo il titolo che campeggia sulle prime pagine di tutti i giornali americani all’indomani del terzo e ultimo dibattito presidenziale tenutosi ieri a Las Vegas. Con tale affermazione, la cui gravità è tale da rompere una lunga e consolidata prassi della democrazia americana, il tycoon si è certamente giocato il confronto televisivo, mandando all’aria la possibilità di recuperare lo svantaggio accumulato nei confronti dell’avversaria insieme, molto probabilmente, alle ultime probabilità di vincere a novembre.
E pensare che il confronto a Las Vegas era iniziato nel migliore dei modi e rimane complessivamente il dibattito più civile dei tre ai quali abbiamo assistito. A guardare i primi minuti sembra di essere tornati a standard dignitosi, con i candidati che riescono finalmente a chiarire in modo pacato le loro posizioni ideologiche su temi come la nomina dei prossimi giudici della Corte Suprema e il modo in cui la propria (eventuale) presidenza intenderà interpretare la Costituzione.
Gli schemi, in questo caso, ricalcano la classica contrapposizione tra liberal e conservatori americani. Hillary è decisamente schierata in difesa delle sentenze a favore dei diritti civili, del diritto all’aborto, di una regolamentazione sensata del diritto di portare armi (senza intaccare le garanzie previste dal secondo emendamento) e infine vorrebbe ribaltare la sentenza Citizen United sui finanziamenti alla politica. Dall’altro lato, su tali questioni Trump è sul fronte nettamente opposto e ammette apertamente di voler nominare giudici con posizioni simili a quelle del defunto Antonin Scalia, padre del cosiddetto “originalismo”, ovvero di quella corrente di pensiero che interpreta il testo costituzionale in modo rigido e ultraconservatore su molte questioni, dal secondo emendamento al matrimonio.
Non ci vuole però molto perché il dialogo tra i due candidati cominci a scaldarsi. Quando si passa all’immigrazione il tycoon riassume le proprie note convinzioni a favore del muro sulla frontiera col Messico e della deportazione degli illegali e Hillary è propensa sia a politiche di messa in sicurezza dei confini sia a una graduale concessione della cittadinanza a chi, pur clandestino, vive e lavora negli States.
Incalzata dal moderatore Chris Wallace su alcune affermazioni rese note da Wikileaks dalle quali si evince invece il suo sogno di una “frontiera aperta”, la Clinton inciampa abbozzando una risposta poco convincente, agitando lo spettro russo in una tirata che sa molto di maccartismo del Terzo Millennio.
È proprio sulla Russia e sul suo leader Vladimir Putin che scoppia a più riprese la bagarre tra i contendenti, con la ex first lady che insiste sui tentativi stranieri di influenzare l’esito delle elezioni definendo Trump un “manichino” di Putin, e il magnate che apre al dialogo con Mosca criticando aspramente la “stupidità” con cui la sua avversaria avrebbe permesso a russi e iraniani di scalzare gli interessi americani in Medio Oriente. A dir la verità, pur nell’estrema rozzezza condita da sparate assurde (come quella secondo cui le azioni militari a Mosul sarebbero iniziate per favorire l’immagine dell’amministrazione americana e dunque l’elezione di Hillary) in politica estera le posizioni del tycoon sembrano rispecchiare il sentimento comune, mentre la Clinton non riesce a nascondere la sua volontà di un maggiore coinvolgimento militare degli Stati Uniti in funzione anti-russa ribadendo il piano di una pericolosa “no fly zone” in Siria, quasi fosse il più interventista dei repubblicani.
Nonostante nel corso del dibattito Trump abbia in varie occasioni lanciato delle stilettate alla candidata democratica su temi come gli accordi di libero scambio, i rapporti con Wall Street e la Clinton Foundation (con il decisivo aiuto di Chris Wallace spesso pronto all’assist) il magnate ha alla fine capitolato di fronte alla ex Segretario di Stato, la quale ha retto l’urto contrattaccando il tycoon con brillanti battute recitate in modo fermo e deciso, con tono e fare di chi si sente già investito del comando.
Una su tutte è un micidiale confronto tra le proprie esperienze di vita e quelle del suo contendente: “Sapete, negli anni ‘70 io ho lavorato per il ‘children defense fund’ (fondo a protezione dell’infanzia ndr) e combattuto contro la discriminazione razziale nei confronti dei bambini afroamericani nelle scuole. Lui (Trump nello stesso periodo ndr) veniva denunciato dal Dipartimento di Giustizia per aver messo in atto discriminazioni razziali nei suoi edifici. Negli anni ‘80, io lavoravo per riformare le scuole in Arkansas. Lui riceveva un prestito di 14 milioni di dollari dal padre per iniziare le sue attività. Negli anni ‘90, io andavo in Cina a dire che ‘i diritti delle donne sono diritti umani’. Lui insultava una ex Miss Universo, Alicia Machado, definendola una ‘macchina mangiacibo’[…] e nel giorno in cui io ero nella situation room a monitorare il raid che fece giustizia su Osama Bin Laden, lui presentava The Celebrity Apprentice (un reality show ndr). Sono felice di comparare i miei trent’anni di esperienza e cosa ho fatto per questo paese […] con i tuoi trent’anni e lascerò che il popolo americano scelga”, ha affermato la ex first lady.
Insomma con frasi come queste Hillary ha in molti frangenti dominato la scena, sovrastando di gran lunga Trump. Se poi agli efficaci affondi della Clinton aggiungiamo il naturale istinto suicida di The Donald, il verdetto finale è chiaro. Nell’ultima parte del confronto il milionario newyorkese è uscito per l’ennesima volta al naturale, in un mix di deliranti teorie del complotto (come quella secondo cui Obama e Clinton avrebbero organizzato le violenze durante i suoi comizi nei mesi passati), provocazioni (come quando ha interrotto l’avversaria definendola “donna volgare”) e affermazioni antidemocratiche come quella citata all’inizio, in cui si rifiuta ripetutamente di accettare la sconfitta elettorale smentendo tra l’altro il proprio running mate.
Alla luce di ciò il magnate dimostra per l’ennesima volta di essere il proprio peggior nemico e di non saper controllare a pieno i propri istinti. E anche se il dibattito non farà forse la differenza in termini elettorali rispetto ai precedenti, nei sondaggi degli stati in bilico il magnate rimane gravissima difficoltà. Certo, queste elezioni ci hanno abituato a incredibili sorprese.
Ma i giochi si stanno per chiudere, e Hillary assapora già l’ambito “ritorno” alla Casa Bianca.