L’onestà, il rispetto e le buone maniere sono essenziali forme d’interazione sociale che esistono solo finché vengono praticate dalla collettività. Se la gente le trascura o consente che vengano ignorate da ampie minoranze, scompaiono e non c’è legge o governo che possa ripristinarle. Come il linguaggio: appena un popolo smette di usarlo o di seguirne le regole, diventa una lingua morta.
In America la credibilità di Trump è ulteriormente calata dopo che è stato scoperto e trasmesso il video di alcuni suoi commenti fuori onda di una decina di anni fa, in cui si vantava di aver molestato sessualmente le donne che trovava attraenti, non solo verbalmente ma anche fisicamente: “Quando sei una celebrity te lo lasciano fare, puoi fare qualunque cosa”, spiegava. Disgustoso: per il suo comportamento aggressivo (l’inglese usa un aggettivo più adatto: predatorio) ma anche per l’arroganza con cui ha rivendicato una condizione speciale, al di là della morale, per i vincenti come lui. Anche nel recente dibattito presidenziale la sua presunzione è emersa con chiarezza: “Vuol dire che sono furbo”, ha detto interrompendo Clinton che lo accusava di usare ogni sotterfugio per non pagare le tasse.
Com’è possibile che sia a un passo dalla Casa Bianca? Uno che disprezza palesemente la classe media, i lavoratori, le donne, le persone ordinarie e in quanto tali indegne di vivere, perdenti perché antepongono l’onestà, il rispetto e le buone maniere all’ambizione e all’arrivismo. Sventurata la terra che ha bisogno di eroi, disse Brecht. Ma tanto più sventurata la terra che ha bisogno di miliardari narcisisti e insolenti. Cosa ci trovano gli americani in un personaggio simile? Sognano di diventare come lui, ricchi e pieni di boria? “Finalmente uno con le palle”, proclamano le magliette dei suoi fan. Benché ricchi non lo diventeranno mai, è matematico, il capitalismo-lotteria concede il successo a un’infima percentuale della popolazione e trasforma tutti gli altri in servi o schiavi, inclusi quelli che si sentivano dèi. Pieni di boria invece sì.
Almeno l’America sembra che si stia risvegliando dal torpore: come ho detto, i sondaggi mostrano un crollo di Trump dopo il dibattito, in particolare fra democratici e indipendenti: anche i più critici nei confronti di Clinton si sono resi conto che Trump non rappresenta un’alternativa a Wall Street e al peggior capitalismo; al contrario, ne è la completa realizzazione e celebrazione: l’unica cosa che per lui conta è il denaro, da accumulare in modo spropositato e con qualsiasi mezzo, fregandosene dell’etica e se possibile della legge.

In Italia invece Berlusconi, ricco più di Trump e altrettanto tracotante e sessista, al potere o nei dintorni del potere c’è restato per un ventennio. È bastato un sì, parecchi sì. Le conseguenze sono evidenti: anche coloro che lo contestavano si sono adeguati. L’Italia non ha più anticorpi da opporre alla stupidità e all’ignoranza, forse neanche più le riconosce; e il declino è ancora più grave da noi che negli Stati Uniti perché loro senza cultura restano un paese con ampie risorse naturali, noi restiamo vuoti. Renzi, Boschi, Verdini, hanno la concreta possibilità non solo di completare la privatizzazione dello Stato dandone il controllo ai rampanti e ai vincenti, stimati da Trump; possono anche stravolgere il basilare statuto che i popoli si danno per impedire sopraffazioni e colpi di mano, cioè la Costituzione.
Gli italiani hanno collettivamente immense responsabilità per il declino economico e soprattutto culturale del paese. Hanno accettato il berlusconismo e poi il renzismo, hanno accolto la deregulation morale che è ovunque l’obiettivo del liberismo ma che nel mondo sviluppato ha generalmente incontrato resistenze; da noi è stata accolta come una liberazione. Se è quello a cui puntavamo, bene, siamo prossimi alla meta: il trumpismo che sta fallendo in America si realizzerà pienamente in Italia, anzi, si è già realizzato, con la totale resa dei media alle multinazionali e la sostituzione della maleducazione alla solidarietà e del gossip al rigore. Ora si tratta solo di decidere se vogliamo lasciarci aperta una possibilità per eventualmente invertire la tendenza e tornare a essere, nel caso lo volessimo, un paese fondato sul diritto invece che sul sopruso; ci vorrà tempo, ma potrebbe accadere. O se invece vogliamo imboccare una strada a senso unico e istituzionalizzare un regime che ha reso epidemici i vizi sociali sdoganati da Berlusconi, ossia la superficialità, l’inciviltà e l’individualismo. Si decide tutto a dicembre: vi piace quello che l’Italia e gli italiani sono diventati negli ultimi ventidue anni? Volete che si porti a termine la loro mutazione? Sì o no: a voi stabilire chi siamo e dove andremo.