Siamo a Midtown. L’ambiente è futuristico, l’atmosfera rarefatta. Le persone rivolte verso gli schermi sono un centinaio. Sembrerebbe l’ambiente perfetto per vedere una partita di calcio. Eppure al Suite 36, tra la 5 Av. e la 36 strada, i baristi sono immobili, quasi annoiati davanti agli schermi. Nessuno ordina e nel pub regna ovunque un silenzio religioso. No, non è la finale di Champions League. Sono tutti accorsi qui per vedere il secondo dibattito repubblicano che, secondo le stime , è stato il programma più seguito nella storia della CNN, con punte di 23 milioni di ascolto. Ci sono anche molti giornalisti, ma è una serata difficile. Appena si fa una domanda, quello davanti si gira e dice stizzito: “Scusate, ma se parlate non riesco a seguire il dibattito”. Eppure noi de La Voce non ci siamo arresi, e fra una trampata e l’altra siamo riusciti comunque a fare il nostro lavoro.
C’è un ragazzo che ride divertito. Si chiama Roger e viene dal Texas. Si è appena laureato in “Economia e Finanza” e domani partirà per il Connecticut. Ha trovato lavoro lì ed è qui per dare il suo addio alternativo a New York. “Sono venuto qui con i miei amici per intrattenimento. No no, non è per bere in compagnia. Il nostro intrattenimento è Donald Trump. È troppo simpatico e credo che la CNN staserà farà un picco di ascolti proprio grazie a lui. Non lo voterei però. Sono repubblicano, ma se domani si dovesse andare alle elezioni e scegliere tra Trump e Hillary Clinton, voterei a malincuore per la Clinton. L’unica candidata che mi piace è Carly Fiorina. Condivido le sue idee e mi piace il fatto che sia un outsider. Credo che non sia influenzata da nessuno e soprattutto mi affascina la sua forza. Stasera per la prima volta ha parlato della morte della sua figliastra per droga. Il suo racconto è stato commovente e credo che alla gente piaccia il suo essere così sensibile e tenace allo stesso tempo”.
Un altro ragazzo si volta e ci guarda male. No, non vuole zittirci. È contrariato perché lui sostiene Jeb Bush. Il suo nome è Michael ed è di Brooklyn. Lavora per una start up che si occupa di e-commerce ed è definitivamente uno strenuo sostenitore dei Bush: “Amo tutta la famiglia Bush. Jeb mi piace per quello che ha fatto quando era Governatore della Florida. Lo stato era in profonda crisi, ma lui è andato avanti con caparbia e alla fine ne è uscito da vincitore. Ha tagliato le tasse, creato posti di lavoro e ideato un sistema di voucher per chi vuole frequentare le scuole private. Si, condivido alcune idee sullo stato assistenzialista. Però l’Obamacare non mi piace. Lo trovo ingiusto e forse l’unica cosa positiva è che i giovani sotto i 26 anni hanno la possibilità di stare sotto l’assicurazione di famiglia”.
L’uomo accanto a noi, sulla cinquantina, sta cominciando a innervosirsi e tuona: “Scusate, potreste fare silenzio. Non sento quello che dicono i candidati”. Prendiamo la palla al balzo e usciamo per prendere un po’ d’aria. Fuori c’è Michael, di Chelsea. È un manager ed è appassionato di politica, ma se ne sta andando perché il dibattito è troppo lungo e si è stufato. Mentre leva la catena alla bicicletta, dice: “Mi piace Rand Paul perché è un costituzionalista e sembra una persona competente. Condivido le sue idee sulla legalizzazione delle droghe leggere e anche il suo punto di vista sulla politica estera. Quello che mi incuriosisce davvero, però, è la sua intelligenza fuori dal comune per un candidato presidenziale. Vuole riportarci alle radici pure della nostra costituzione, ripartire da lì per rifondare uno stato forte. Mi fido di lui”.
Gradualmente la gente comincia a uscire dal pub. Sembrano tutti annoiati dalla lunghezza del dibattito. L’unico che rimane a guardare la TV fino a chiusura è John, un avvocato pubblico sulla trentina. È di origini israeliane e gli piace Trump perché è simpatico e contro il dialogo con l’Iran. Senza staccare gli occhi dal televisore, dice: “Ho paura dell’Iran. Perché dovremmo fidarci di loro? Loro non hanno alcun riguardo nei nostri confronti e non esiterebbero a farci saltare in aria. Sono troppo fondamentalisti. No, non credo che il rischio di isolare l’Iran sia quello di isolarci a nostra volta. Se aprissimo le porte all’Iran sarebbe la fine: la fine del nostro paese, la fine di quello che abbiamo costruito. Insomma Trump ha ragione quando dice che dobbiamo esigere rispetto, ma sinceramente non credo che arriverà alle primarie”.
Il dibattito si è appena concluso e il pub ormai è quasi vuoto. Davanti all’entrata il dialogo continua ed è tutto un pronunciare i nomi di Bush, Paul e Fiorina. Qua e là qualche ragazzo si dà il cinque, facendo il verso a Trump e ai suoi high-five dati a Carson e Bush nel corso del dibattito. Non si sa ancora chi la spunterà dopo questo dibattito ma una cosa è certa, sia per i repubblicani che per i democratici: i politici più influenti oggi sono gli outsiders, coloro che non hanno mai partecipato alla vita politica del paese. A destra come a sinistra, in Europa come negli Stati Uniti, la maggior parte dei cittadini sembra essere ormai schierata contro il carrierismo politico.
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