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August 7, 2015
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August 7, 2015
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Al primo dibattito repubblicano lo show è tutto di Trump

Maurita CardonebyMaurita Cardone
Time: 4 mins read

A 460 giorni dalle elezioni presidenziali americane 2016, giovedì 6 agosto è andato in scena il primo dibattito tra dieci dei candidati alle primarie repubblicane. Sono in realtà 17 i più o meno seri aspiranti di area conservatrice alla Casa Bianca, ma non a tutti è stato concesso di esprimere le proprie opinioni davanti al pubblico americano giovedì.

Hanno perso poco gli esclusi (che hanno comunque organizzato un contro-dibattito alcune ore prima di quello dei candidati più seguiti), considerato come i candidati presenti sull’affollato palco dello stadio di Cleveland sono stati schiacciati dall’egocentrismo irriverente di Donald Trump, il milionario e star televisiva che, dall’annuncio della sua candidatura a giugno, ha portato avanti una campagna a colpi di politically incorrect.

Trump ha monopolizzato il dibattito riconfermando la sua indifferenza nei confronti delle regole e dell’etichetta della politica. Alla prima domanda fatta dalla giornalista Megyn Kelly, una dei tre conduttori del dibattito, che al milionario chiedeva spiegazioni sui suoi frequenti commenti offensivi nei confronti delle donne, Trump ha chiarito subito la sua posizione: “Credo che il grande problema di questo paese sia essere politically correct”, ha detto. Trump ha poi proseguito chiarendo che né lui né l’America hanno tempo di preoccuparsi di essere politically correct quando ci sono questioni urgenti da affrontare come, ha detto il milionario, il fatto che gli Stati Uniti stanno perdendo terreno rispetto ad altri paesi come Cina e Messico.

Trump

Donald Trump, candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti

E a conferma della sua scorrettezza anche nei confronti dei suoi compagni di partito, nel corso del dibattito, Trump, che al momento guida i sondaggi con un 21 per cento di preferenze (Bloomberg Politics Poll), ha spiegato che non appoggerà un altro candidato repubblicano se non dovesse essere lui la scelta dell’elettorato. Una dichiarazione che ha dato occasione a un altro candidato, Rand Paul, di attaccare Trump per il suo passato di simpatia verso l’area democratica: “Se non si candiderà come repubblicano, magari sosterrà Clinton o magari si candiderà come indipendente”, ha detto Paul ridicolizzando l’avversario. Stesso trattamento quello riservato dal candidato Jeb Bush all’avversario Trump che Bush ha accusato di usare un linguaggio che, piuttosto che unire, divide, come fanno già Obama e Hillary Clinton. Le affermazioni d Bush sono seguite a un monologo di Trump in cui il miliardario ha accusato i politici americani di essere “stupidi”, reiterando il concetto più e più volte.

Frasi shock a parte, la prima performance di Trump ad un dibattito presidenziale non ha contribuito a chiarire la finora fumosa politica del magnate e ha portato l’intero dibattito su un piano ben poco pragmatico e di scarsa sostanza.

Jeb Bush, secondo nelle classifiche, ha timidamente introdotto alcune questioni programmatiche in materia di immigrazione spiegando che la sua politica permetterebbe agli immigrati illegali di avviare un percorso di legalizzazione: una proposta cui il pubblico di Cleveland ha reagito con sonori fischi. Maggiore apprezzamento hanno avuto invece i passaggi sulle politiche economiche, orientate alla crescita e allo sviluppo.

Duro sull’immigrazione si è invece mostrato l’ultra conservatore Ted Cruz che ha puntato il dito contro chi, a Washington, non fa niente per combattere chi vive “illegalmente” negli Stati Uniti. Anche il governatore del Wisconsin, Scott Walker ha voluto mostrare i muscoli con uno dei classici delle politica repubblicana degli ultimi anni: lotta dura al terrorismo islamico. Ma, in un dibattito dai toni tiepidi, Walker si è distinto soprattuto per avere suscitato la più sentita risata tra il pubblico con una battuta sul nemico numero: la candidata democratica Hillary Clinton. “È triste pensarci – ha detto Walker – ma è probabile che il governo russo e quello cinese ne sappiano di più sul server di posta elettronica di Hillary Clinton dei membri del Congresso degli Stati Uniti”.

A distinguersi in un panorama di candidati poco avvincenti è stato John Kasich che ha voluto difendere la decisione di espandere il regime di assistenza sanitaria per i meno abbienti nel suo stato, l’Ohio, ed ha avuto il coraggio di dire che rispetta la recente decisione della Corte Suprema sui matrimoni omosessuali: “Il fatto che alcuni non la pensino come me non significa che non devo occuparmi di quelle persone o amarle”, ha detto il governatore dell’Ohio.

Uno dei pochi momenti di reale scambio di idee si è avuto tra Rand Paul e il governatore del New Jersey, Chris Christie in materia di programmi di sorveglianza da parte del governo americano, difesi da Christie e attaccati da Paul. Quest’ultimo, messo alle strette, ha detto che a suo avviso il governo dovrebbe monitorare i tracciati telefonici dei terroristi ma non dei cittadini medi. Un’affermazione che Christie ha definito “assolutamente ridicola”. Christie, famoso per il suo temperamento esplosivo e per atteggiamenti poco ortodossi, è riuscito a condurre il dibattito con moderazione, approfittandone per difendere l’economia del New Jersey, nel tentativo (anche) di riabilitarsi, dopo lo scandalo che lo ha visto coinvolto l’anno scorso per aver chiuso al traffico veicolare un ponte di grosso transito, per ripicca contro un sindaco dell’area.

Fatta eccezione per la star Trump, nel panorama repubblicano sono pochi gli astri che brillano. Al momento la battaglia per la Casa Bianca non si preannuncia avvincente: se vorranno battere la pur non amatissima Clinton senza mettere in campo stravaganti milionari, i repubblicani dovranno inventarsi un diciottesimo candidato.

 

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro, senza che mai mi sia capitato di incappare in un contratto stabile. Nel 2011 la vita da precaria mi ha aperto una porta, quella di New York: una città che nutre senza sosta la mia curiosità. Appassionata di temi ambientali e sociali, faccio questo mestiere perché penso che il mondo sia pieno di storie che meritano di essere raccontate e di lettori che meritano buone storie. Ma non ditelo ai venditori di notizie.

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