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June 16, 2015
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June 16, 2015
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Viva Jeb Bush! Ma Jeb chi?!…

Marcello CristobyMarcello Cristo
Time: 3 mins read

E alla fine la commedia é finita. Jeb Bush ha finalmente rotto gli indugi e ha dichiarato ufficialmente la sua discesa in campo per le elezioni presidenziali del 2016. L'annuncio interrompe mesi di campagna elettorale "ufficiosa" in cui l'ex governatore della Florida ha continuato a negare le voci di una sua candidatura allo scopo di raccogliere legalmente i contributi elettorali per le organizzazioni (PACs) che lo sostengono.

Ma lunedì finalmente, la candidatura é stata ufficializzata e Bush si é unito al gruppone di repubblicani che intendono rimpiazzare Barack Obama alla Casa Bianca. Un gruppo che, con undici aspiranti fino a questo momento, é il piú nutrito della storia politica americana ma che ora, con l'arrivo di Jeb Bush, ha anche trovato il suo favorito. L'ultimo rampollo della dinastia a presentarsi sulla scena politica nazionale infatti, é visto come il più probabile vincitore della nomina finale grazie al suo presunto centrismo ideologico e al sostegno di quell'establishment conservatore prontamente confluito intorno alla rassicurante riconoscibilità costituita dal suo pedigree familiare.

E tuttavia, nel corso della sua presentazione ufficiale all'elettorato nella palestra del Miami Dade College, Jeb Bush ha fatto di tutto per minimizzare la visibilità del suo illustre cognome tenendo lontani dall'evento sia il padre George Herbert Bush, sia il fratello George Walker Bush rispettivamente il quarantunesimo e il quarantatreesimo presidente degli Stati Uniti.

Non é un caso inoltre che il logo della campagna elettorale del neo-candidato dica semplicemente "Jeb!" omettendo cospicuamente il cognome dall'immagine.

Questo semi-comico tentativo di prendere le distanze dalla sua stessa storia familiare é dovuto ovviamente allo sforzo di presentarsi alla nazione come un candidato dotato di una sua propria identità e personalità, con idee nuove ed una solida esperienza esecutiva, frutto di otto anni trascorsi come governatore dello stato della Florida. Non bisogna dimenticare inoltre che la carica presidenziale del fratello George segnata, tra le altre cose, dalla disastrosa invasione militare dell'Iraq e dall'esplosione della crisi finanziaria del 2007-09, é ancora oggi vista come uno dei momenti più bui della recente storia politica americana.

Il ridimensionamento della sua biografia personale inoltre rappresenta anche un tentativo per sminuire il peso dinastico del suo cognome. Tradizionalmente le dinastie si identificano con la storia d'Europa, con i suoi ben documentati alberi genealogici che legano tra loro le famiglie aristocratiche dei vari paesi. L'America, dal canto suo, é nata da un sostrato culturale che voleva lasciarsi alle spalle il classismo del Vecchio Continente e, durante il primo periodo della sua storia, é riuscita ad elaborare un modello di mobilità sociale divenuto un esempio per il mondo e scaturito poi nello stereotipo del "sogno americano": l'idea che chiunque, a prescindere dalle sue origini sociali ed economiche, possa ottenere il successo personale attraverso il lavoro, l'impegno e la perseveranza.

L'America del ventunesimo secolo tuttavia si é lasciata alle spalle anche il sogno americano e la perdita di posizioni nelle statistiche economiche internazionali in materia di disuguaglianza e di mobilità sociale ci restituiscono, in termini di opportunità, un'immagine del paese molto diversa da quella di qualche decennio fa.

In un clima politico in cui l'enfasi sulle disparità economiche sta assumendo una crescente centralità nel dibattito politico quindi, non c'é da stupirsi se Jeb Bush voglia evitare il piú possibile di apparire per quello che é: il ricco rampollo di una delle piú prestigiose e ricche famiglie patrizie d'America i cui membri sono passati ripetutamente attraverso le "porte girevoli" che separano, solo formalmente, il mondo dell'alta politica da quello degli affari.

Nel corso del suo discorso di presentazione, Jeb Bush ha lanciato le solite invettive contro Washington, definendo la città come "la capitale statica di una nazione dinamica", una frase che cerca di ritrarre il neo-candidato come un "outsider"; cioè come una persona estranea agli intrighi e agli interessi della politica di professione detestata dall'opinione pubblica sia di destra che di sinistra.

Ma una dichiarazione di questo genere, proveniente da un membro della famiglia Bush diventa risibile se si pensa appunto ai trascorsi del padre e del fratello che di quello stesso ambiente sono stati parte integrante per anni e i cui legami con la casta politica risalgono al capostipite della dinastia Prescott Bush, già senatore del Connecticut agli inizi del 900.

Inutile dire ovviamente che, se dovesse diventare il candidato ufficiale del Partito Repubblicano per le elezioni generali e, se le previsioni sulla nomina democratica dovessero rivelarsi corrette, nel 2016 Jeb Bush si troverebbe di fronte Hillary Clinton, consorte dell'ex presidente Bill Clinton ed ex Ministro degli Esteri. Una clamorosa replica della sfida elettorale Bush – Clinton del 1992 che, ancora una volta, non depone a favore della vitalità e del vigore di una politica americana che appare degenerare gradualmente verso quella trasmissione familiare delle cariche pubbliche che i padri fondatori della nazione consideravano il pericolo piú grave per la democrazia.

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Marcello Cristo

Marcello Cristo

Sono nato e cresciuto a Napoli dove, nella tradizione magno-greca della mia città, mi sono laureato in Filosofia. Vivo negli Stati Uniti con la mia famiglia da oltre vent'anni facendo la spola tra New York e la California. Dall’America, ho iniziato a collaborare con pubblicazioni italiane come Il Giornale di Indro Montanelli e La Gazzetta dello Sport di Candido Cannavò e poi con il quotidiano in lingua italiana degli Stati Uniti America Oggi per il quale ho lavorato come editor, opinionista e corrispondente dalla California. Nei ritagli di tempo, sto tentando disperatamente di insegnare ai miei figli il napoletano.

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