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July 7, 2015
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July 7, 2015
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Renzi, Baccei, Faraone: la recita a soggetto sul Bilancio della Regione siciliana

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Time: 4 mins read

Il teatro è uno spettacolo esteriore. Gli attori devono recitare secondo un preciso copione. E, soprattutto, debbono mantenere rigidamente separato il ruolo che esercitano nella scena dal loro modo di pensare, cioè dalla propria vita interiore. A questa ferrea regola sembra si dovrebbero attenere i due plenipotenziari del governo Renzi in Sicilia: l’assessore regionale all’Economia, il toscano Alessandro Baccei, e il sottosegretario all’Istruzione, il siciliano Davide Faraone. Questi due signori hanno redatto il Bilancio della Regione siciliana insieme con il loro ‘padrone’, ovvero il capo del governo del nostro Paese, il già citato Matteo Renzi. Insieme hanno inserito nello stesso Bilancio entrate fittizie. Oggi l’assessore Baccei fa sapere ai siciliani che, all’appello, mancano almeno 300 milioni di euro. E che alcune categorie sociali – operai della Forestale e altri soggetti – rischiano di non essere pagati.

Siamo dentro una recita a soggetto di pirandelliana memoria. Con una piccola variante: non il teatro nel teatro, ma il teatro nel teatro nel teatro. Gli attori – in questo caso Baccei e Faraone – si cimentano in una falsa libertà d’interpretazione. Hanno preparato un Bilancio 2015 con entrare in buona parte inventate, perché i soldi dei siciliani – come certificato, adesso, anche dalla Corte dei Conti – se li è presi Roma. Non 300 milioni di euro, s’intende, ma molti di più. Tutt’e due, assessore e sottosegretario, hanno svuotato le ‘casse’ della Regione siciliana per riempire i forzieri romani. Ma – recitando con finta libertà d’interpretazione – fanno finta che una terza ‘entità’ ha fatto sparire i soldi dei siciliani che loro hanno consegnato a Renzi. Finzione nella finzione della finzione.

Sullo sfondo s’intravede il regista, il capo del governo del nostro Paese: Renzi. Nella celebre commedia di Pirandello, il regista dovrebbe pensarla in modo diverso dagli attori. I quali, a suo dire, dovrebbero attenersi a un copione rigido. In questa interpretazione – che più che teatro è sceneggiata – come già ricordato, al teatro nel teatro si aggiunge un terzo “nel teatro”. E così arriviamo al teatrino. Renzi, che ha trafugato i soldi alla Regione siciliana e che ha fatto redigere a Baccei e a Faraone un Bilancio 2015 fantasioso, fa sapere a 5 milioni di siciliani, tramite Baccei e Faraone, che il “Bilancio 2015 presenta problemi”. Nella testa di Renzi, che pensa di essere il più intelligente di tutti, i siciliani dovrebbero, a propria volta, non recitare, ma risultare dei perfetti coglioni. Pur sapendo di essere stati derubati da Roma, dovrebbero non capirlo e prendersela con il destino.

Il problema, per Renzi, per Baccei e per Faraone è che questa recita è stata ‘sgamata’. Anche perché, contrariamente a quello che dice l’assessore Baccei su input di Renzi, alla Regione siciliana non mancano 300 milioni di euro, ma di soldi ne mancano molti di più. A giudicare da quello che Renzi, Baccei e Faraone vorrebbero lasciare intendere, il governo nazionale, forse, bontà sua, erogherà alla Sicilia 300 milioni di euro. Forse, perché non è detto. Bisogna vedere se il ministro dell’Economia Padoan, l’uomo arrivato dal Fondo monetario internazionale dopo aver partecipato, da protagonista, al procurato fallimento dell’Argentina, dirà di sì. Magari il ministro questi 300 milioni li ha promessi ad altri. Magari li ha già consegnati alla signora Merkel. Non sempre è facile capire i rapporti che intercorrono tra padroni e servi. Chissà.

Il problema è che dalle ‘casse’ della Regione siciliana non sono spariti solo 300 milioni di euro, ma molti di più, come ha scritto il professore Massimo Costa (articolo che potete leggere qui). Tra accantonamenti (i soldi che ogni anno Roma trattiene direttamente dal Bilancio regionale), sanità, trattenute abusive di IRPEF e IVA, mancata applicazione dello Statuto siciliano, mancata applicazione della legge nazionale sul federalismo fiscale, sentenze della Corte Costituzionale inapplicate, ogni anno lo Stato centrale scippa alla Sicilia una barca di soldi. Tanti soldi. Adesso Roma ha piazzato all’assessorato all’Economia un assessore toscano – Baccei – che redige Bilanci con entrate fittizie. Insomma, ormai fa tutto Roma che, sulla Sicilia, se la canta e se la suona. Con un presidente della Regione, Rosario Crocetta, che non conta nulla. E con un PD siciliano che fa da scendiletto a Renzi sulla pelle di 5 milioni di siciliani.

Ci chiediamo e chiediamo: quanto deve durare ancora ‘sta sceneggiata? Baccei e Faraone pensano veramente di prendere in giro 5 milioni di siciliani, mentre a Roma Renzi gli regge il gioco?

Superfluo ricordare che il presidente della Regione siciliana, Crocetta, ha i poteri per mandare a casa Baccei e per mandare a quel paese Faraone. Non con i post su facebook, ma con atti politici e amministrativi concreti. Avrà il coraggio, Crocetta, di chiudere la sua disastrosa e ‘ascara’ esperienza con un atto di orgoglio? O continuerà ad elemosinare ‘frattaglie’?

Certo, fino a quando dura si recita. Tanto qualcuno che scrive che la Sicilia è la palla al piede dell’Italia si trova, magari se ne occupa Berlusconi, grande sponsor di Renzi. Insomma, fino a quando andrà in scena la disinformazione si andrà avanti. Ve l’immaginate Striscia la notizia che fa il pelo e il contropelo ai Bilanci falsi della Regione siciliana redatti dagli uomini di Renzi? Meglio prendersela con le opere pubbliche incompiute. O, magari, con i posteggiatori abusivi di Napoli.  

Baccei e Faraone, infine. Che, al pari Renzi, pensano di fare i furbi. A noi questi due personaggi ricordano gli “esosi baroni di Carlo d’Angiò”. I quali pensavano che i siciliani potevano essere trattati come pezze da piedi. Poi, si sa, finì come finì…                   

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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