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April 15, 2015
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Il viadotto “Imera” verrà eliminato col tritolo. Al suo posto una bretella e l’ospedale

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Time: 7 mins read

Due le notizie dalla profonda Sicilia: la Sicilia, per intendersi, che rischia di sprofondare insieme con il viadotto “Imera”, travolto nei giorni scorsi dalla collina che si è sbriciolata, complici le piogge e l’incuria umana. Ieri la politica, nazionale e siciliana, ha fatto capolino nei luoghi della frana. C’era il neo Ministro Graziano Delrio, quello che lo scorso Natale ha scippato al Sud d’Italia 5 miliardi di euro per trasferirli nel Centro Nord Italia. A conti fatti, un vero ‘meridionalista’. L’uomo giusto per affrontare le emergenze del Sud! E c’erano, poi, i soliti politici siciliani, deputati e assessori vari, cioè quelli che non si sono mai occupati della collina che è franata, travolgendo il viadotto “Imera” lungo l’autostrada Palermo-Catania.

Cosa hanno deciso tutti questi ‘scienziati’? Prima decisione: il viadotto dovrà essere eliminato. Seconda decisione: siccome tutti i paesi delle Madonie sono praticamente rimasti isolati, bisognerà ripristinare i servizi sanitari che erano stati tagliati per risparmiare. Non sappiamo se i lettori americani conoscono i paesi delle Madonie: le due Petralie (Sottana e Soprana), Polizzi Generosa, Geraci Siculo, Castelbuono, Bompietro, Ganci e altri piccoli centri delle basse Madonie, Caltavuturo e altri paesi. Grazie alla presenza dell’autostrada Palermo-Catania funzionante, il governo nazionale e il governo autonomo siciliano avevano deciso di ridurre drasticamente i servizi sanitari a disposizione di questi paesi montani: avevano deciso di sbaraccare l’ospedale, di eliminare il Punto nascite, di sbaraccare il servizio di ortopedia (della serie, se vi ‘stoccate’ le gambe sono caz… vostri). Se un madonita (gli abitanti dei centri delle Madonie si chiamano così) si rompeva una gamba, insomma, lo mettevano in auto e, passando dall’autostrada Palermo-Catania, lo trasportavano a Palermo. Idem per gli infartuati (vivi o morti). Siccome l’autostrada, di fatto, non c’è più, visto che, in termini temporali, somiglia alle ferrovie siciliane (5 ore in treno per andare da Catania a Palermo e viceversa: 200 chilometri in 5 ore: questa sì che è ‘alta velocità’ ferroviaria, no?), hanno deciso di ripristinare i servizi sanitari tagliati negli ultimi due anni.

A conti fatti, non tutti i mali, o, se si preferisce, non tutti i crolli e le frane vengono per nuocere. Con l’autostrada Palermo-Catania funzionante il governo Renzi, il presidente della Regione Rosario Crocetta e l’assessore alla Salute Lucia Borsellino avevano deciso che i paesi delle Madonie avrebbero utilizzato una sanità pubblica a mezzo servizio (in realtà, molto meno di mezzo servizio…). Oggi, dopo che il viadotto “Imera” ha salutato tutti, travolto dal fango, i servizi sanitari vengono ripristinati. Persino il servizio di ortopedia! Notizia stupefacente, quest’ultima, perché nella sanità siciliana che fa parte dell’Italia e, quindi, dell’Unione europea degli “immancabili destini” (quanto è attuale il ‘divino’ Gabriele D’Annunzio nell’Europa dell’euro e della Bce!), dovete sapere che ci sono Pronto soccorsi senza ortopedia…

Certo, un po’ di timore i madoniti lo nutrono ancora. Perché il Ministro Delrio, oltre al tritolo per far saltare in aria il viadotto “Imera”, ha promesso anche una bretella. Così tutti si chiedono: non è che, appena realizzano la bretella tolgono di nuovo i servizi sanitari? Il timore è fondato perché ormai, nella sanità siciliana si lavora con i cronometri: appena si accorgono che un infartuato madonita ha il 50,1 per cento di possibilità di arrivare comunque vivo in un ospedale di Palermo, Delrio, Crocetta e la Borsellino, a tagliare ospedali, ortopedia e ed elicottero per elisoccorso non ci mettono nulla. Già, l’elisoccorso. Per ora il servizio era di mezza giornata. Della serie: se stai male entro mezzogiorno ti portiamo all’ospedale di Palermo o, magari, di Catania; se stai male nel pomeriggio aspetti l’indomani (se arrivi vivo, ovviamente). Crollata l’autostrada, hanno messo l’elicottero H 24. Cioè per tutto il giorno. Viva il crollo!   

Comunque tranquilli – e qui torniamo alla prima notizia – il ministro Delrio, un uomo decisionista come il suo ‘capo’ Matteo Renzi, ieri ha deciso che anche la seconda carreggiata del viadotto “Imera” ormai è inservibile. Morale: verranno fatte saltare in aria col tritolo. Subito, ieri, quando i ‘decisori’ romani hanno deciso che il viadotto inghiottito dalla frana della collina sarebbe stato fatto saltare in aria, la memoria di tanti siciliani è ritornata al maggio del 1992, quando la mafia, o i ‘pezzi’ dello Stato che trattavano con la mafia – o forse entrambi d’amore e d’accordo – hanno fatto saltare in aria il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. Per carità, saranno due cose diverse: in comune ci sarà solo il tritolo. Però fa sensazione, in Sicilia, sapere che lo Stato utilizzerà il tritolo per far saltare in aria un altro viadotto. Insomma, per un motivo o per un altro ci sono sempre di mezzo ‘ste bombe…

Su facebook, sempre ieri, Pietro Cirrito, un uomo che noi conosciamo come bravissimo manager di banche, che però è madonita, cioè nato in un paese delle Madonie, si chiedeva: ma com’è possibile che i ponti e i viadotti costruiti dagli antichi romani sono ancora in piedi e quelli costruiti dallo Stato italiano e dalla Regione siciliana cadono a pezzi? In effetti, ora che ci pensiamo, alla fine degli anni ’80 del secolo passato, non molto lontano dal luogo dove la collina è franata travolgendo il viadotto “Imera”, c’era un ponte costruito dagli antichi forse romani che ‘ostruiva’ il flusso degli appalti per le dighe siciliane. Un ostacolo che stava creando seri problemi allo Stato e alla mafia che, insieme, gestivano i miliardi di vecchie lire della legge nazionale numero 64 per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno.

La storia faceva molto discutere perché, sempre in  quei mesi, una specie rara di lumache che nessuno doveva toccare aveva bloccato i lavori di un’altra diga, sempre dalle parti delle Madonie: la diga di Blufi. Insomma: le lumache rare bloccavano i lavori della diga di Blufi che era stata appaltata a suon di decine di miliardi di vecchie lire con le procedure della ‘somma urgenza’ (la diga Blufi era così ‘urgente’ che ancora oggi, a distanza di oltre 25 anni, non è stata ancora completata… e forse non verrà mai ultimata…) e un ponte forse romano bloccava i lavori della diga di Rosamarina. Stato e mafia erano quasi disperati, temendo di non potere utilizzare centinaia di miliardi di vecchie lire. Un dramma…

Alla fine sapete come finì? Sulla diga Blufi ve l’abbiamo anticipato: i miliardi di vecchie lire sono stati spesi, ‘immolati’ sull’altare della ‘somma urgenza’, ma la diga non c’è ancora (forse però le lumache rare ci sono ancora); mentre per il ponte forse romano, dopo un lungo e appassionato dibattito una soluzione è stata trovata. Qualcuno aveva proposto di racchiudere il ponte forse romano in una campana di vetro per poi sommergerlo con le acque della diga, così, chi avrebbe voluto vederlo, l’avrebbe fatto in immersione: guardate che non stiamo scherzando: la proposta è stata fatta e la rintracciate nei giornali siciliani del 1989-1990. Alla fine il ponte forse romano è finito lo stesso inghiottito dalle acque della diga di Rosamarina, senza campana di vetro però, ma con le procedure di ‘somma urgenza’.  

Perché ricordiamo queste cose? Perché ieri, dopo la visita dei politici nel luogo del disastro, abbiamo ‘respirato’ di nuovo aria di somma urgenza. E poiché siamo ormai in tempi di cooperative (cooperative che lavorano nelle autostrade e nelle strade siciliane, cooperative che si occupano dei migranti, cooperative che si preoccupano dei minori non accompagnati, cooperative che trasportano i prodotti agricoli, cooperative che gestiscono le strutture turistiche: cooperative, cooperative, cooperative), ci siamo chiesti: chi è che gestirà la ‘somma urgenza’ nel viadotto “Imera”? Una cooperativa al tritolo?

Tra frane e tritolo di Stato c’è anche chi invita tutti a prenderla con filosofia. Il direttore di Siciliwww.siciliaweekend.info, Dario la Rosa, scrive che il crollo dell'autostrada Palermo-Catania è anche un’occasione “per un nuovo sviluppo turistico in un'area che abbraccia tutte le Madonie ed anche il Nisseno. Alcuni dei percorsi alternativi che consentono di raggiungere i due maggiori centri siciliani passano infatti da due Comuni che sono fra i borghi più belli d'Italia (Petralia Soprana e Geraci Siculo) e da luoghi che hanno più di un motivo per giustificare una sosta turistica anche breve”.

Ovviamente, l’invito è rivolto per lo più ai turisti, ma anche ai siciliani che vanno sempre di fretta. Insomma, visto che il danno è fatto, almeno cerchiamo di cogliere gli aspetti positivi godendoci le meraviglie architettoniche e magari enogastronomiche di questa contrade. Per esempio, i mulini di Scillato, lo sfoglio (un dolce molto particolare) e i palazzi di Polizzi Generosa, le chiese di Petralia Sottana. Questi luoghi sono a disposizione per chi si avventura da Palermo a Catania. Per chi, invece, da Catania si reca a  Palermo, in attesa di godersi il traffico automobilistico a triplo incastro (lavori per il demenziale tram, le aree pedonalizzate e il Foro Italico, già Foro Borbonico sprofondato nelle ultime ore nel silenzio generale: ci vuole fortuna ‘mediatica’ anche a nascere viadotto “Imera”…) invece, potrà visitare il castello normanno di Resuttano, le meraviglie medievali di Petralia Soprana e Geraci Siculo, oltre alla cucina di Castelbuono. “Questo passaggio obbligato – dice Dario La Rosa – potrebbe essere la chiave di un nuovo rilancio turistico dell'intera area madonita”.

Anche se ieri, in realtà, Nicolò Lo Piccolo, dirigente nazionale della Confederazione italiana agricoltori giovani, in partenza per lavoro, direzione Bruxelles, ha impiegato oltre 5 ore e mezza per arrivare dal suo paese – Caltagirone – a Palermo. “Sono partito alle sei in punto e sono arrivato a Palermo alle 11 e mezza passate…”.  

Per ora dalla Sicilia che sprofonda è tutto, linea allo studio…

Foto tratta da tvsicilia24.it

       

            

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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