Ieri, su facebook, scambio di accuse al vetriolo tra il sotto segretario all’Istruzione, Davide Faraone, parlamentare nazionale del Pd e leader dei renziani siciliani e il segretario generale della Cgil dell’Isola, Michele Pagliaro. Argomento: i tagli che il governo nazionale di Matteo Renzi vorrebbe imporre alla Sicilia e, in particolare, ai dipendenti della Regione. Tagli pesanti proposti da una sorta di ‘commissario romano’ che il capo del governo nazionale ha imposto al governo regionale di Rosario Crocetta: si tratta di Alessandro Baccei, un toscano che Renzi e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, hanno piazzato all’assessorato all’Economia di una Regione siciliana che non sembra più molto autonoma (la Sicilia, come ricordiamo spesso ai lettori americani, è una delle cinque Regioni italiane autonome: ma in questo come in altri casi l’Autonomia siciliana è stata calpestata da Roma).
Quando, circa un mese fa, Baccei ha annunciato questi tagli, sono sorti i primi malumori da parte di tanti lavoratori della Regione e da parte dei sindacati. Ora questi tagli sono stati formalizzati in un disegno di legge che il Parlamento siciliano dovrebbe iniziare a discutere. Così lavoratori della Regione e sindacati – Cgil in testa – annunciano proteste e scioperi. Ma Faraone, lunga mano di Renzi in Sicilia, non ci sta e passa al contrattacco:
“Sindacati pronti a imbracciare le armi e a scendere in piazza in Sicilia – scrive Faraone su Facebook -. Un sit-in e uno sciopero: non uno ma ben due giorni di protesta nella stessa settimana. E in effetti ce n’è proprio bisogno. Si possono tagliare i permessi sindacali nel pubblico impiego, che in Sicilia sono il 600 per cento in più rispetto a quelli dei colleghi nazionali? Si può prevedere che le pensioni dei dipendenti regionali si calcolino con il sistema contributivo, come in tutta Italia? Non sia mai. Dunque si scende in piazza e si protesta”.
In effetti, Faraone stigmatizza alcune agevolazioni che i governi nazionali e regionali del passato hanno concesso ai lavoratori della Regione. “Naturalmente però, dai sindacati – osserva sempre Faraone – non una sola parola sulla chiusura domenicale dell’ottanta per cento delle aree archeologiche e dei musei siciliani. L’ottanta per cento. Un danno enorme per il turismo che è e dovrebbe essere fattore di crescita per la Sicilia. Uno scandalo che si consuma nel silenzio generale”. In effetti, l’80 per cento dei musei e delle aree archeologiche della Sicilia rimangono chiusi la domenica e negli altri giorni di festa. Ma questo avviene perché la Regione non ha i soldi per pagare il lavoro straordinario ai propri dipendenti: soldi che, in parte, sono stati tagliati da Roma, cioè da quel governo nazionale del quale Faraone fa parte.
“Gli scioperi per tutelare i privilegi di pochi? – prosegue il parlamentare nazionale siciliano amico di Renzi – In questa cornice sono veramente una brutta cosa. Come diceva Luciano Lama, ‘il sindacato deve tenere un linea non corporativa, non indifferente ai problemi del Paese, deve mirare all'interesse generale, nazionale’. Non ci sembra sia proprio questo il caso. Noi vediamo un'unica strada praticabile, quella dello sviluppo. Il che vuol dire rendere produttivi gli stipendi che si pagano. Vuol dire tenere aperti i musei in base alle esigenze dei turisti e non a quelle dei dipendenti pubblici. Basta con una Sicilia ‘vittima’ del suo Statuto speciale. Basta con i parrucconi che predicano un autonomismo da strapazzo”.
A Faraone, ieri, sempre su facebook, ha replicato il segretario generale della Cgil siciliana, Pagliaro. Al quale non è andato proprio giù il riferimento del luogotenente di Renzi in Sicilia all’ex segretario nazionale della Cgil, Luciano Lama: “Faraone le frasi di Luciano Lama farebbe bene a pronunciarle solo dopo avere guardato la realtà – dice Pagliaro – magari imparando a leggerla meglio. La Sicilia non è vittima dello Statuto”; vittime, semmai, sottolinea sempre Pagliaro, “lo sono i siciliani che, per il 53,2 per cento, vivono in stato di deprivazione, non lo sono certo quelli che, come lui, appartengono alla classe politica e ne hanno tratto solo privilegi. Di fronte alla ‘casta’ in questo Paese anche la ‘Spending Review’ si è fermata. Essa viene esercitata con forza solo con i deboli, sulla pelle dei lavoratori”.
In effetti, non sembra proprio normale che un personaggio come Faraone, che ogni mese, da parlamentare nazionale e sottosegretario di Stato, si mette in tasca circa 20 mila euro al mese, proponga tagli a chi, spesso, non arriva a mille e 500 euro al mese!
“In una Regione con migliaia di dipendenti – osserva sempre il segretario della Cgil siciliana – se i musei restano chiusi scaricare la colpa addosso alle lavoratrici e ai lavoratori è troppo facile: mi piacerebbe conoscere, ad esempio, l’idea di Faraone sulla burocrazia della nostra Regione. Dalla mala burocrazia oltre che dalla mala politica dipendono i guasti di questa Regione. Guardiamo alla vertenza della formazione professionale e degli sportelli multifunzionali: essa è emblematica, è lo specchio di una burocrazia incapace quanto incompetente, che in oltre due anni, non ha compiuto un solo atto che non sia stato impugnato dalla Magistratura contabile o dal Tar realizzando sostanzialmente il nulla e tanta macelleria sociale. Qual è il pensiero di Faraone su questo? E della parte politica a cui si riferisce il governo di cui fa parte? Perché non si ci si accorge di tutte queste anomalie?”. Il riferimento alla formazione professionale da parte di Pagliaro colpisce nel segno: sia perché il governo regionale di Crocetta ha mortificato, in oltre 2 anni e mezzo, oltre 8 mila lavoratori di questo settore, sia perché Faraone potrebbe essere direttamente interessato a certe vicende della formazione professionale siciliana…
“Faraone – dice sempre Pagliaro – farebbe bene a passare dalla propaganda ai fatti concreti, l’analisi superficiale farcita dai tanti, troppi, luoghi comuni non basta. Servono le proposte e per una forza che prima di tutto è di governo nelle principali città della Sicilia, alla Regione e a Roma sono obbligatorie le valutazioni e le scelte guardando ai fatti concreti. Ad esempio, se come dice Faraone ‘il futuro è il nostro presente’ (slogan) siamo messi male: che fine hanno fatto le riforme? Parlo dei liberi consorzi, dell’acqua pubblica, dei rifiuti, della formazione, degli sportelli, ecc. Perché la Spending review non affronta un ambito importante e costoso come quello del riordino delle Società partecipate, a cominciare dalla Resais che è tra quelle messe peggio? Che fine ha fatto la stazione unica appaltante? Perché in questa Regione per quanto riguarda l’acquisto di beni e servizi non si è mai parlato dei costi standard?”.
Insomma, la Cgil rinfaccia a Faraone, grande sponsor del governo regionale di Crocetta, tutte le riforme che in due anni e mezzo non è riuscito a fare. Un attacco, quello del leader della Cgil siciliana, che è rivolto al Pd siciliano, che ormai governa l’Isola dal 2008 con risultati che definire deludenti è poco. A questo punto Pagliaro spara il ‘siluro’ sulla sanità indirizzato all’Ismett, il Centro mediterraneo per i trapianti che la Regione gestisce insieme con gli americani: “Perché persino la Legge di Stabilità Nazionale autorizza la Regione a incrementare la valorizzazione tariffaria dell’attività sanitaria del prestigioso Ismett? Non bastano quasi 100 milioni di euro ogni anno? E gli altri ospedali, quelli a cui si rivolgono i siciliani quotidianamente, in che condizioni sono? Li chiudiamo?”. L’attacco è pesante, perché l’Ismett costa alla Regione 94 milioni di euro all’anno ed è l’unica struttura sanitaria della Sicilia che, fino ad oggi, non ha subito tagli. Un Ismett difeso a spada tratta da Faraone e dal sottosegretario Delrio, mentre negli ospedali pubblici della Sicilia si registra una cronica mancanza di posti letto. Il tutto mentre nella sanità pubblica siciliana si profilano altri tagli.
“Faraone – prosegue Pagliaro – continua a parlare del 600% in più in Sicilia di distacchi sindacali rispetto al resto del pubblico impiego. E’ una falsità! Perché in realtà siamo al 400% in più e questo perché la Regione non si è ancora adeguata alla normativa nazionale. Il nostro sindacato, Cgil Confederale e di Categoria (Funzione pubblica) non si è sottratto alla discussione. Anzi abbiamo chiesto l’introduzione dell’elezione delle Rsu anche nel comparto dei regionali. Ma la politica glissa sull’argomento, addirittura stralciando le norme di adeguamento alle regole nazionali. Quindi si evitino le semplificazioni che storpiano la realtà, e non danno conto delle vere responsabilità e dei veri problemi, le falsità. Non scioperiamo per difendere privilegi, ma perché la riforma della pubblica amministrazione regionale proposta dal governo è l’ennesimo bluff che scarica sui più deboli le contraddizioni di una Regione che, non dimentichiamolo, è governata da Crocetta e da molti renziani. Scioperiamo contro un metodo di governo che non produce alla fine risultati ‘rivoluzionari’, ma soltanto penalizzazioni per i lavoratori e macelleria sociale”.
Sulla vicenda dei tagli proposti dall’assessore Baccei interviene anche ‘Sindacando’, il blog che fa capo a un’organizzazione sindacale autonoma molto vicina ai dipendenti regionali. “Forse ce ne siamo dimenticati – si legge su ‘Sindacando’ – ma l’art. 36 della Costituzione stabilisce che ‘Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa’. La propaganda del governo attraverso la carta stampata e le tv, invece, ha ormai convinto quasi tutti: il taglio di stipendi e pensioni (fatta, comunque, eccezione di quelli di deputati, senatori e politici in genere), sono la medicina amara per superare la crisi e diventare sicuramente ricchissimi nel giro di qualche secolo”.
‘Sindacando’ riporta un passo di un articolo dell’edizione siciliana de la repubblica:“Di certo c’è che oggi la pensione media di un regionale è di 39 mila euro l’anno, contro i 23 mila di quella degli statali. Nemmeno paragonabile con il comparto dei lavoratori privati, dove la pensione media si ferma a 15 mila euro l’anno”.
“Traspare quasi, nell’articolo di Repubblica – sottolinea sempre ‘Sindacando’ – l’auspicio di un adeguamento per tutti al ribasso, ai 15 mila euro annui per tutti. Spiace constatare come solo pochi mettono in dubbio la politica messa in campo dal governo. Nessuno che abbia un po’ di spirito critico. Chi guadagna un euro in più rispetto ad un altro è immediatamente messo alla berlina e additato come privilegiato. Nessuno si pone il problema di valutare se quello stipendio o la futura pensione sono appena sufficienti a vivere una vita priva di stenti. Nessuno che dica che forse non sono i regionali ad essere privilegiati (tranne alcune ristrette nicchie), ma sono gli altri ad essere al di sotto della soglia di povertà. Nessuno di quelli che detiene in mano il potere di manipolare l’opinione pubblica che dica che forse sarebbe il caso di alzare stipendi e pensioni da fame. piuttosto che ridurre tutti alla fame. Tagliare per adeguare al ribasso è l’unico auspicio che traspare, anzi si legge proprio a chiare lettere, su quasi tutti i quotidiani, senza alcuno spirito critico sul fatto che i tagli lineari colpiscono i redditi più bassi”.
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