Mentre il Corriere della Sera informava l’Italia e il mondo che Matteo Renzi si era fatto fare una fotografia a tre dimensioni e che ciò dimostrava il suo chiaro interesse e profonda competenza nelle nuove tecnologie (in fondo fa anche selfie e usa Twitter), un redattore capo di un quotidiano tedesco, il Tagesspiegel, spiegava agli americani come mai i tedeschi sono sospettosi nei confronti di Google. “Why Germans are Afraid of Google” è il titolo dell’articolo, apparso domenica sul New York Times. Non è che in Germania non piacciano le nuove tecnologie, precisa Anna Sauerbrey; al contrario. Ma non piace il neocapitalismo selvaggio praticato da molte multinazionali dell’informatica e dei social media, una “mentalità da cowboy” che rifiuta ogni controllo e appena ne ha la possibilità impone ai governi deregolamentazioni a proprio vantaggio. È in conseguenza di questa resa del potere pubblico agli interessi privati che compagnie come Amazon o Uber hanno potuto arricchire oscenamente investitori e speculatori a spese del bene comune, costringendo al fallimento innumerevoli imprese familiari o di piccole dimensioni senza portare occupazione (impiegano pochissime persone).
Ai tedeschi, continua Sauerbrey, questa assoluta mancanza di solidarietà sociale e di senso della comunità pare intollerabile: un programma di riduzione dello stato e del settore pubblico è impensabile e infatti non è sostenuto da nessun partito di qualche rilevanza, né a destra né sinistra. Al contrario che in America, dove quando ci sono difficoltà la fiducia nello stato crolla, in Germania sale.
L’articolo di Sauerbery era diretto agli americani. Dubito che su di loro possa avere qualche effetto, almeno nel breve o medio termine: nel liberismo reale, ancor più che nel socialismo reale, è facile entrare ma difficile o forse impossibile uscire (nessuno finora c’è riuscito). Sarebbe invece utile che lo leggessero gli italiani, che sono ancora in tempo.
Gli italiani ammirano i tedeschi e un’alta percentuale di loro vorrebbe che l’Italia assomigliasse di più alla Germania. Le vicende dei due paesi negli ultimi secoli sono corse su binari abbastanza paralleli: l’unificazione nella seconda metà dell’Ottocento; il colonialismo tardivo e di scarsa penetrazione; il trauma della grande guerra, la speranza della rivoluzione, il trionfo del fascismo; alleate nella Seconda guerra mondiale, sconfitte e umiliate, ricostruite con aiuti americani; il boom economico; la presenza di due forti partiti democristiani; gli anni di piombo. Due paesi frammentati in tante realtà locali, ricche di tradizioni e cultura. Due paesi benestanti ma in cui identità, appartenenza e qualità della vita non sono state interamente soppiantate dal culto del successo e del denaro. Molto diverso il senso civico di italiani e tedeschi, naturalmente; eppure, malgrado gli sprechi e la corruzione, anche l’Italia ha costruito un settore pubblico che fornisce servizi di cui beneficiano decine di milioni di cittadini e che per alcuni aspetti (la sanità, per esempio) viene considerato fra i migliori del mondo.
Da qualche anno però gli italiani, a differenza dei tedeschi, hanno apparentemente deciso di abbandonare questo modello. Che non è un modello tedesco, chiariamolo: era il modello dello stato sociale e dell’economia keynesiana, in forme diverse attuato dal New Deal di Roosevelt, delle socialdemocrazie europee, del centro-sinistra italiano. Un modello che la restaurazione liberista di Ronald Reagan ha sostituito, negli Stati Uniti, con il libero mercato integrale e il conseguente predominio delle corporation e dei loro media sullo stato e le sue istituzioni.
È questo che gli italiani desiderano? Sembra di sì, visto che molti di loro appoggiano Renzi e Marchionne e le loro politiche liberiste, e molti altri stanno passivamente a guardare. L’importante è che siano consapevoli di cosa significa scegliere Renzi o semplicemente lasciarlo fare. Leggete l’articolo di Anna Sauerbrey e decidete. America o Germania? Il predominio del privato o quello dello stato? Liberismo o democrazia?