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September 30, 2014
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September 30, 2014
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Le anime morte del PD

Francesco ErspamerbyFrancesco Erspamer
Time: 3 mins read

Che nessuno si stupisca che Renzi nel suo discorso di apertura alla direzione del Pd si sia potuto dichiarare un “liberale cattolico” senza provocare una ribellione fra i militanti di un partito che fino a un anno fa credeva di derivare dal Pci e non dalla Dc. Che nessuno di stupisca che personaggi come D’Alema, Bersani, Cuperlo o Civati si siano fatti fregare con tale facilità o che ancora credano che minacciare, non dico una scissione, macché, solo il “rischio” di una scissione, sia fare politica; e restino aggrappati a poltrone che perderanno non appena a Renzi faccia comodo, dopo aver avuto paura di buttare fuori lui quando ne avevano ampiamente la possibilità, e nel frattempo continuino a perdere credibilità avallandone le privatizzazioni e liberalizzazioni.

La crisi della sinistra, in termini di idee, coraggio e organizzazione, era ampiamente annunciata e, per come si erano messe le cose, inevitabile. Il berlusconismo per una volta non c'entra: è prevedibile che i liberisti facciano i liberisti e che la destra manovri per favorire economicamente i ricchi e per sacrificare la democrazia alla governabilità. No, la colpa è di chi ha rinunciato, nella sinistra (parlo della vera sinistra, non delle eterne margherite della società italiana, da sempre vaganti in cerca della posizione più conveniente), alla vigilanza, al rigore: in altre parole, alla responsabilità della scelta. 

Sono ormai almeno un paio di decenni che la parte sana del paese, quella minoranza che con il suo lavoro, la sua onestà e la sua creatività aveva tenuto in piedi l’Italia compensandone in parte i difetti strutturali, ha smesso di lottare e, temo, di giudicare. Si è seduta. Ha cominciato ad accontentarsi e a confondere la propria passività – ignavia, avrebbe detto Dante – per tolleranza. Esauritasi la generazione dei Pasolini, Calvino, Volponi, Sciascia, De Andrè, Berlinguer, Pertini (e anche Montanelli, Montale, borghesi pre-liberisti, profondamente morali), quando sulla scena si sono presentati uomini senza qualità come Veltroni, Scalfari, Cacciari, Rutelli o gli innumerevoli pseudo-intellettuali che si vendono per un’apparizione in un talk show o per una recensione della Repubblica, la sinistra non ha notato la differenza. Li ha accettati, timorosa di apparire fuori moda o perdente, come chi non abbia l’iPhone o il maglioncino Abercrombie. Non si è scandalizzata per la loro retorica plastificata, per la loro brama di notorietà o denaro, per le loro relazioni pericolose con imprenditori e network televisivi, per il loro conformismo e il loro snobismo, le loro menzogne, la loro impreparazione. Si è invece assuefatta al buonismo, ossia alla peggiore forma di complicità: quella che si nasconde dietro la maschera dell’apertura e del perdono, indifferente alle conseguenze della propria inerzia. Così si spiega l’omertà nei confronti dell’evasione fiscale, benché a essa vadano ricondotti l’impoverimento dello stato e le difficoltà del settore pubblico. Così si spiega la condiscendenza nei confronti di favoritismi, raccomandazioni, furbizie, e soprusi. Così si spiega la proliferazione dei palloni gonfiati. 

“Noi fummo i gattopardi, i leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene”, anticipò Tomasi da Lampedusa nel Gattopardo. Ma non c’era nessuna necessità storica dietro quel decadimento: piuttosto un lucido piano per sostituire un sistema fondato su valori etici condivisi e su princìpi di solidarietà (anche se non sempre attuati, magari neppure spesso) con il culto del successo e delle celebrity, in altre parole l’esaltazione di chi, in qualunque modo e a qualunque costo, ottenga visibilità mediatica, denaro e potere. Non a caso la frase chiave del discorso di Renzi è stata: “Con me avete vinto”. Chi vince è un vincente, dunque ha ragione e merito, e chissenefrega dell’etica e degli ideali. Puro liberismo.

Inutile stupirsi, dicevo, di ciò. La sinistra, la gente di sinistra, si è da tempo affidata a personaggi squallidi e presuntuosi, vuoti, per i quali l’inettitudine non è soltanto una caratteristica, il che sarebbe scusabile, bensì un’ideologia, una missione. Renzi non avrebbe avuto alcuna possibilità di affermarsi, e forse neppure di sopravvivere politicamente, in un ambiente che non fosse già assuefatto alla superficialità e alla banalità e interessato a promuoverle. 

I popoli hanno i governi che si meritano e la sinistra italiana ha gli intellettuali e i politici che si merita. Almeno in questo momento. Perché l’unico vantaggio della situazione è che non appena si riscuotesse e decidesse di farne a meno non ci sarà neppure bisogno di spazzarli via. Basterà ignorarli, dimenticarli. Sono nullità, anime morte. Se non si parla di loro smettono di esistere.

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Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

Nato a Bari, cresciuto a Parma e in Trentino, laureato a Roma, professore a Harvard. Mi interesso di letteratura, politica, storia delle idee e cambiamenti culturali. Insegno corsi su estetica, romanzo moderno e contemporaneo, Rinascimento, calcio. Di recente ho scritto: La creazione del passato, Sulla modernità culturale e paura di cambiare, Crisi e critica del concetto di cultura. Come Gramsci, penso che al pessimismo della ragione occorra accompagnare l’ottimismo della volontà, e come James Baldwin, che la libertà non la si possa ricevere in dono: bisogna prendersela.

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