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September 1, 2014
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Democrazia non significa andare sul sicuro

Francesco ErspamerbyFrancesco Erspamer
Time: 3 mins read

 

Passata l’euforia dei primi cento giorni, quelli che avrebbero dovuto non solo salvare ma addirittura rivoluzionare l’Italia, una parte di coloro che hanno portato Renzi al potere (parlo degli ingenui, non dei liberisti o dei democristiani, entrambi più che soddisfatti di come stanno andando le cose) ha corretto la sua retorica. Se non si vedono risultati, ci viene spiegato, se le cose vanno peggio di come andavano prima, è perché il vecchio sistema non si lascia rottamare e resiste al cambiamento. Per non dire dell’Europa, in particolare di Angela Merkel, a cui fa comodo che l’Italia resti debole e obbediente. E comunque non ci sono altre possibilità: tornare a Berlusconi? rischiare con Grillo? Improponibile. Meglio turarsi il naso e sostenere Renzi. Diamogli tempo, dicevano all’inizio i suoi fan, Eugenio Scalfari e La Repubblica in testa. Oggi dicono: non ci sono alternative. Troppo comodo.

Detesto Berlusconi e di Grillo non mi fido. Neanche di Vendola, peraltro. Sono anche d’accordo che sciogliere il nodo di interessi particolari, privilegi e abitudini che caratterizza la società italiana sia difficile (ma era prevedibile), per non dire degli egoismi della Germania (prevedibili anch’essi). Ma non è questo il punto. Il punto è che democrazia non significa andare sempre sul sicuro. Perché a volte non c’è nulla di sicuro. Se in ogni contingenza davvero fosse possibile individuare con certezza la soluzione ideale, non ci sarebbe bisogno di democrazia. La democrazia è un rimedio alla mancanza di soluzioni ovvie e condivise. Per cui se ne prova una e se non funziona se ne prova un’altra. E poi un’altra ancora e un’altra, finché non si trovi quella giusta. Che magari non c’è: ma si continua lo stesso a cercarla. In inglese si dice trial and error.

Ma ai potenti di oggi piace fare le celebrity e non gli va di perdere ciò che li rende tali, ossia il potere. Usano la democrazia per conquistarlo, però una volta che ce l’hanno, della democrazia non sanno più che farsene e preferiscono parlare di governabilità, di leadership, delle aspettative dei mercati. Diventano conservatori. L'alibi dei conservatori è sempre lo stesso: non c'è scelta. O noi o l'apocalisse. È anche l'alibi di chi non crede nella democrazia: l'alternativa è peggiore, dunque a cosa serve dare alternative? Ai potenti conviene che i loro sudditi si convincano che stanno vivendo nel migliore dei mondi possibili o che, se proprio non ce la fanno più, si comportino come le mosche, che testardamente sbattono contro il vetro della finestra, sempre nello stesso punto, per incapacità o paura di tentare strade non collaudate.

Occorre finirla con questo giochetto. Nel governo come nelle imprese chi ha potere, anche se un potere limitato da altri poteri e magari soggetto a un potere maggiore, ha piena responsabilità del potere che esercita – o che non esercita. È la differenza fra un dirigente e un dipendente. I dipendenti possono sbagliare e se sbagliano la colpa è di chi avrebbe dovuto istruirli o controllarli. I dirigenti non possono sbagliare. Se sbagliano è colpa loro e devono andarsene. Certo, loro vorrebbero farci credere di essere indispensabili. Non è vero. Di leader e di manager ce ne sono migliaia, centinaia di migliaia, e uno vale l’altro (generalmente, poco): una delle più evidenti caratteristiche dell’attuale élite è la sua mediocrità. Solo in specifiche circostanze, anche fortuite, alcuni si dimostrano più utili, più efficienti. Se servono, bene; se non servono, inutile tenerseli un minuto di più. La democrazia non sacralizza: al contrario, usa e getta.

Renzi

La conferenza stampa del Premier Matteo Renzi al termine del Consiglio dei Ministri del 29 agosto (Foto Tiberio Barchielli)

Se Renzi non è capace di governare o non può governare, deve farsi da parte o deve essere cacciato. E qualcun altro deve provare. Grillo? Perché no. A Renzi si è dato un mandato in bianco, senza avere alcuna idea delle sue reali capacità (sindaco di Firenze??!!!), solo per quella sua aria da boy scout un po’ impertinente. Perché allora non provare un comico? E se poi fallisce, avanti il prossimo. Ripeto: non ho fiducia in Grillo. Ma ho molta meno fiducia in chi sta facendo affondare il paese e non se ne cura, preoccupato solo di restare a galla, lui e i suoi amici, a qualunque costo. 

È famoso, o lo era un tempo, l’aneddoto della vecchia siracusana che pregava per la salute del perfido tiranno Dionigi nel timore che il successore potesse essere peggiore di lui. Lo racconta Valerio Massimo, ma come un paradosso. I media, oggi, vogliono invece convincerci che l’accettazione di un male presente per evitare un ipotetico male più grave sia saggezza. Mentre è ignavia o complicità.

 

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Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

Nato a Bari, cresciuto a Parma e in Trentino, laureato a Roma, professore a Harvard. Mi interesso di letteratura, politica, storia delle idee e cambiamenti culturali. Insegno corsi su estetica, romanzo moderno e contemporaneo, Rinascimento, calcio. Di recente ho scritto: La creazione del passato, Sulla modernità culturale e paura di cambiare, Crisi e critica del concetto di cultura. Come Gramsci, penso che al pessimismo della ragione occorra accompagnare l’ottimismo della volontà, e come James Baldwin, che la libertà non la si possa ricevere in dono: bisogna prendersela.

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