Con molto garbo, ma con estrema durezza, la collega Morena Corradi del Queens College di New York polemizza sulla Voce (16 luglio scorso) con il mio articolo Riforme per il futuro del Paese: ma Pippo Pippo non lo sa... (il titolo non è mio ma lo apprezzo molto e mi ci riconosco. Questo delle "serpi" invece l'ho suggerito io). Per la verità non cita né l’articolo, né il mio nome, ma la cosa è apparsa così trasparente, che forse avrebbe fatto meglio a riportarli chiaramente (per chiarezza nei confronti dei lettori, almeno). E non importa se intendesse veramente scrivere contro quanto ho pubblicato, perché di fatto scrive contro idee che sono identiche alle mie e pertanto mi sento autorizzato a rispondere.
Cercherò di replicarle con lo stesso registro, anche se sono certo che il mio stile e il mio taglio retorico non saranno all’altezza della sua veste di docente di Lingua e letteratura italiana che “vive tra l’Italia e gli Stati Uniti”.
Forse però la fustigatrice di affermazioni tanto identiche alle mie (e lo scrivo con estrema bonomia e senza ombra di rimprovero) avrebbe dovuto, sempre che scrivesse contro di me, documentarsi un pochino di più e leggere gli altri articoli che ho pubblicato sulla Voce dall’aprile scorso (quando ho iniziato a collaborare con il quotidiano online), quanto meno quelli che hanno a che vedere con gli argomenti che lei censura e condanna con determinazione tanto appassionata. Probabilmente avrebbe avuto qualche sorpresa e forse (me lo auguro almeno) non avrebbe scritto quanto ho letto, o (spero) non con categorie politiche tanto legnose e con tanta ideologica sentenziosità. Stavo per aggiungere “aggressiva sentenziosità”, ma ritiro l’aggettivo, perché, se non ho capito male, questa mi si riverserà addosso con bel altro spessore dopo che avrò pubblicato questa risposta .
Per carità, ognuno (nei limiti di una correttezza peraltro pienamente rispettata dalla contestatrice delle mie idee) è libero di esprimere il proprio diritto di critica, si tratta un basilare e sacrosanto principio di quella democrazia liberale per difendere la quale ho speso gran parte della mia vita di quasi settantenne alle soglie della pensione. Mi hanno ferito invece il tono e le argomentazioni contro analisi e considerazioni tanto analoghe, anche nei termini, alle mie (“considerazioni” e non “verità”, ci tengo a sottolinearlo).
Da sostenitore della democrazia liberale (quella distingue tra “libertà” e “liberazione”, le quali a volte possono essere in conflitto tra di loro), ho da sempre fatto mio il motto di Karl Popper (e del Circolo di Vienna), il quale sentenzia che la distinzione tra scienziati e teologi è data dalla “falsificabilità”, vale a dire dall’accettare preventivamente come possibile il fatto che le proprie teorie possano essere dimostrate false e superate. Cosa che invece i teologi (e coloro che vivono nell’ideologia) non possono permettersi di fare, in quanto portatori di una verità incontestata e incontestabile, proprio per il motivo che sono “credenti”.
In ogni caso, mi sono sempre guardato bene dal propormi come depositario del vero, e ho fatto anzi del “dubbio” (da non confondere però con le idee confuse o con l’indecisione) uno dei miei punti di riferimento, proprio come lo è sempre stato il rifiuto di un “vero” incontrovertibile da imporre agli altri.
Né poteva essere altrimenti per chi come me ha consumato anni a studiare gli effetti perversi delle guerre di religione nell’età moderna, dello scontro tra verità assolute e non negoziabili, e che, di conseguenza, rifiuta con determinazione ogni forma di fondamentalismo e di processi identitari radicali e a “una dimensione” (da qui il mio amore per Amartya Sen).
Una vita dura, per chi ha vissuto sulla propria pelle e in presa diretta le follie ideologiche italiane (e non solo italiane, ovviamente) degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta; lo scontro (e la reciproca legittimazione) tra la chiesa cattolica (o meglio democristiana) e quella comunista, le quali, purtroppo, continuano ad avere non pochi adepti nei nostri giorni, anche se, per fortuna sempre meno numerosi. E la mia mente corre subito alla Camusso (ultima la sua battaglia di retrovia sull’Alitalia) e a Mineo (che imperversa su tutti i mezzi di comunicazione, contrariamente a quanto Corradi sostiene nel suo articolo, oltre che sulla nostra pelle, vale a dire in parlamento e in politica, complici i suoi ex colleghi giornalisti che pare abbiano dimenticato Telekabul).
Ma bisogna viverla in presa diretta questa Italia ancora tormentata da intemerati soloni portatori del “vero” e che ogni giorno vogliono insegnarci come pensare e come pensare “bene”. A proposito, cara Corradi, Lei manda me o chi la pensa come me ad imparare da un “esaustivo articolo” di Nadia Urbinati, una nostra collega che leggo sempre con molta attenzione su Repubblica, e con la quale mi trovo spesso in sintonia, non sempre, ovviamente. Quello che mi preoccupa nel suo stile (mentale) è quell’aggettivo “esaustivo”, che fa tanto, per l’appunto, Telekabul, e che forse (lo temo per Lei) Urbinati non gradirebbe troppo.
Bisogna viverla questa Italia con problemi di ogni tipo, che non toccano (ovviamente) questi signori del “vero” (con i quali Lei si schiera difendendoli: Mineo, Chiti e Tocci), e la loro supponenza di portatori di verità, visto che costoro (nella loro posizione di privilegiati a nostre spese) non si cimentano quotidianamente coi tagli della spending review, con la scuola inferiore e superiore che deve chiudere il sabato solo per motivi economici, con l’università che da anni non ha fondi (se non risibili) per la ricerca e per la carta delle fotocopie, dove chi vuole collegarsi online a lezione con colleghi di altre città e di altri Paesi deve farlo a proprie spese e con la propria “chiavetta” di connessione. Questa Italia dove i giovani (meravigliosi e avidi di sapere) stanno perdendo sempre più fiducia nel futuro e nei confronti dei nostri politici ampiamente al di sotto delle loro aspettative; questa Italia dove crescono ogni giorno di più coloro che ricorrono (con abiti e portamento più che dignitosi) alle mense della Caritas, dove aumenta ogni giorno il numero di coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà.
Ma cosa c’entra tutto questo con Renzi, con i suoi sforzi di svecchiare la nostra burocrazia, di realizzare qualche riforma, di ridare spinta e credibilità interna ed esterna a questo Paese? Coi suoi sforzi di rimettere benzina nel motore del nostra squinternata Italia?
C’entra eccome, perché di questo stiamo parlando. Non c’è più trippa per i gatti, non c’è più spazio per i predicatori, né per coloro che sono riusciti a dissipare, con la loro insipienza politica e coi loro personalismi egotici, decenni di battaglie della sinistra, quella autenticamente riformista e pragmatica che ho fatto mia da quando ricordo.
Una volta poste queste coordinate, che reputo utili per far capire meglio la prospettiva nella quale si collocano le mie analisi e le mie (anche brutali e irriverenti) considerazioni, posso dire che era sin troppo facile denunciare, come ho fatto su questo giornale, la pericolosità (politica, economica e sociale) delle prese di posizione e delle battaglie del patetico Mineo (tanto baciato dall’attenzione immeritata dei suoi ex colleghi della carta stampata, della Tv e della comunicazione globale), al quale continuo ad aggiungere Civati, abile e capace professionista in ricatti e in sconsiderate azioni demolitrici (come credo di aver documentato nell’articolo incriminato, pubblicato recentemente sulla Voce) oltre che in trame machiavelliche (scoperte e puerili). E purtroppo mi trovo ad aggiungere al variegato gruppetto di guastatori addirittura Bersani.
Ero andato a votare per lui ancora una volta nel suo primo scontro con Renzi, e lo avevo fatto con la febbre alta. Che cretinata! E non perché avessi ulteriormente pregiudicato le mie condizioni di salute, ma perché avevo contribuito in qualche modo a porre i presupposti per la sconfitta elettorale e politica alla quale ha poi portato il PD e i valori che il partito incarnava, e perché ora lo vedo muoversi come tristo e triste regista, neanche troppo nascosto e defilato, di buon parte del “gruppo” di oppositori delle riforme, che reputo indispensabili e indilazionabili proprio per il sommario quadretto dell’Italia che ho appena fatto.
Di certo non vi sarà sfuggito che ho omesso sua maestà “campanellino” Letta, ma di lui mi riprometto di trattare in un altro articolo.
Va da sé che le mie critiche vanno a quella minoranza (per la quale mi rifiuto di usare il nobile termine “dissidenti”) che, più o meno nell’ombra (e ormai neanche troppo), rema contro decisioni assunte a stragrande maggioranza (e qualche volta all’unanimità) nelle assemblee e nelle sedi statutarie del PD; quella minoranza che vorrebbe spaccare il partito ma non né ha il coraggio, né la forza di farlo (per ora, almeno).
Sono loro il bersaglio delle mie critiche e delle mie considerazioni. Non inermi parlamentari conculcati da chi sta al potere in Italia oggi, vale a dire il Presidente del Consiglio. Ma quale potere se non gli lasciano fare nulla?
Enzo Baldini, Professore ordinario presso la ex Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino (ora Dipartimento di Culture, Politica e Società), insegna "Storia del pensiero politico" e "Laboratorio Internet per la ricerca storica". Ha lavorato su internet fin dagli albori della rete, è stato tra i creatori della Biblioteca italiana telematica e poi del consorzio interuniversitario ICoN-Italian culture on the Net del quale continua ad occuparsi
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