Una visita istituzionale ma non troppo, quella del presidente della Camera Laura Boldrini a New York. Alla sua prima missione istituzionale negli USA, Boldrini ha voluto mettere in chiaro qual è il suo stile politico e ha unito agli incontri più ufficiali alcuni momenti dedicati all’approfondimento della società americana e della comunità italiana. “La mia impostazione – ha detto – sia in Italia che quando sono in visita ufficiale, è quella di unire al palazzo quello che c’è fuori dal palazzo. In Italia esco da Montecitorio per incontrare le persone perché credo che un ruolo fondamentale della mia carica sia quello di accorciare le distanze tra la gente e le istituzioni. Qui negli USA, oltre alle visite ufficiali, ho voluto creare delle occasioni per conoscere e capire meglio questo paese e la sua società”.

Vincenzo Maltese e Laura Boldrini scorrono la lista delle vittime dell’incendio alla Triangle Shirtwaist Factory. Tra i nomi anche quelli della nonna e di due zie di Maltese, arrivate negli USA da Marsala cinque anni prima della tragedia
Per questo, oltre alle tappe più istituzionali a Washington e all’ONU, Boldrini ha voluto vedere e conoscere la New York vera, la sua gente e la sua storia. Giovedì mattina la visita a Ground Zero e al September 11 Memorial che già in passato aveva ospitato rappresentanti della politica italiana. Poi nel pomeriggio, dopo gli incontri a Palazzo di Vetro, Boldrini ha visitato il Triangle Shirtwaist Factory Fire Memorial per rendere omaggio alle donne morte nella fabbrica durante il drammatico incendio che nel 1911 sollevò drammaticamente la questione delle condizioni di lavoro e dei diritti di lavoratori e lavoratrici immigrati. Boldrini ha deposto un mazzo di fiori bianchi, rossi e verdi sotto la targa commemorativa e ha incontrato Vincenzo Maltese, discendente di tre delle vittime dell’incendio.
In seguito, dopo un saluto alla statua di Garibaldi al Washington Square Park, una visita alla biblioteca della vicina New York University dove, oltre a un’esposizione di oggetti verdiani dell’American Institute For Verdi Studies, il presidente della Camera ha visitato l’archivio dei movimenti radicali negli Stati Uniti, dove un ampio spazio è dedicato ai comunisti, socialisti e anarchici italiani, che a New York ebbero tanta parte nell’organizzare le prime lotte dei lavoratori e le presa di coscienza di classe.

Erika Gottofried, curatrice ai Robert F. Wagner Labor Archives della NYU mostra a Laura Boldrini e al console, Natalia Quintavalle, alcuni ritagli di giornali italiani fondati a New York a inizio ‘900
Nella seconda metà del pomeriggio di giovedì Laura Boldrini ha voluto incontrare la comunità italiana al Consolato di New York dove, introdotta dal Console Natalia Quintavalle, ha parlato brevemente per poi unirsi agli ospiti e conoscere personalmente gli esponenti della comunità.
Venerdì, ancora una giornata intensa iniziata con la visita al museo dell’immigrazione di Ellis Island, dove Anthony Tamburri e la ranger Danelle Simonelli hanno raccontato al presidente Boldrini le storie di chi, arrivato negli USA in cerca di una vita migliore, aveva il primo approccio con il nuovo mondo su quest’isola dove gli immigrati venivano sottoposti a controlli che ne verificavano l’idoneità a entrare nel paese. Negli anni dal 1892 al 1924, furono due milioni gli italiani che passarono dall’isola: era la nazionalità più rappresentata. E pare che il 40 per cento degli americani abbia un parente che è transitato da Ellis Island. Il presidente della Camera ha seguito il racconto con interesse, facendo spesso riflessioni e paragoni con la situazione italiana.
Nel pomeriggio Laura Boldrini ha fatto visita all’Henry Street Settlement, la più antica organizzazione di aiuto agli indigenti di New York. L’associazione no profit offre servizi sociali a famiglie a basso reddito, vittime di violenza domestica, persone con problemi di salute mentale e fisica e anziani. “Ho scoperto che il 47 per cento della popolazione di New York è considerata povera, e questo mi pare un indicatore importante su questa società” ha commentato Boldrini dopo la visita.

Foto di gruppo con i giovani imprenditori italiani, Maria Teresa Cometto, il console Natalia Quintavalle
Infine il presidente della Camera ha voluto incontrare un gruppo di giovani imprenditori italiani che, ognuno in campi diversi, hanno avuto una buona idea e avviato una start-up nell’area di New York. A raccontare la giovane imprenditoria italiana nella Grande Mela c’era chi ha creato una piattaforma per la diffusione della ricerca scientifica (Authorea), chi ha disegnato un cucchiaio per svezzare i neonati (Zago), chi ha aperto un portale per distribuire materiali e prodotti italiani in America (I Maestri). Laura Boldrini ha seguito con interesse le presentazioni dei giovani imprenditori, introdotti dalla giornalista esperta di start-up, Maria Teresa Cometto, con una particolare attenzione alle differenze tra USA e Italia nei procedimenti e processi necessari per avviare una attività negli USA rispetto all’Italia. “Quando si dice semplificazione..” ha detto con stupore quando le sono stati descritti i pochi e rapidi passi da fare per aprire una società.
Sono stati due giorni intensi, in cui il presidente della Camera ha voluto conoscere vari aspetti dell’immigrazione italiana negli USA di ieri e di oggi. Con la sua visita, Laura Boldrini ha voluto dare un’immagine di un’altra politica, attenta alle persone e sensibile ai temi sociali e del lavoro. Nel corso delle due giornate, a più riprese, siamo riusciti a farle diverse domande e a discutere i temi su cui la sua visita è stata incentrata.

Laura Boldrini e Vincenzo Maltese davanti al Triangle Shirtwaist Factory Fire Memorial
Una visita diversa dal solito la sua. Perché ha deciso di visitare proprio il Triangle Shirtwaist Factory Fire Memorial?
Ho scelto di fare questa visita perché questo luogo è emblematico della migrazione e della fatica degli italiani, e in particolar modo delle donne, all’interno di quel processo avviato dagli italiani per andare oltre la dimensione del lavoro manuale. Mi interessa ristabilire il ruolo della donna nell’emigrazione italiana per rendere conto del fatto che le donne non erano semplicemente al seguito, ma erano parte attiva, che produceva reddito indispensabile a queste famiglie che si stavano inserendo in una società nuova.
Donna e lavoro. L’italia ha ancora qualche problema a riguardo. Come le appare la situazione italiana?
Dal punto di vista occupazionale, i numeri non sono incoraggianti. Solo il 47 per cento delle donne italiane lavora e questa è una delle percentuali più basse d’Europa. E la crisi ha picchiato duro sulle donne che sono più esposte, in quanto devono fare fronte e un welfare che non arriva. Ma allo stesso tempo un segnale positivo viene dal Parlamento, dove per la prima volta abbiamo un 30 per cento di deputati donne.
Ma fuori dal Parlamento, nella vita normale, perché le donne hanno ancora difficoltà maggiori degli uomini ad inserirsi nel mondo del lavoro italiano?
Non abbiamo un welfare sviluppato e quindi la cura dei bambini e degli anziani ricade sulle donne. Questo fattore, diminuendo la disponibilità delle donne, ne rallenta la possibilità di accesso al lavoro. Poi bisognerebbe interrompere l’odiosissima pratica delle dimissioni in bianco che è particolarmente penalizzante per le donne (pratica che consiste nel far firmare al dipendente, al momento dell’assunzione, una lettera di dimissioni che il datore di lavoro potrà utilizzare per licenziare senza giusta causa. Questa pratica viene spesso utilizzata per mandare a casa le dipendenti in gravidanza, nda). Alla Camera è stata passata la proposta di legge, ora attendiamo gli sviluppi in Senato. Inoltre, garantire accesso al lavoro è anche un modo per arginare la violenza contro le donne. Perché una donna che lavora è una donna più indipendente, più libera, in grado di sottrarsi al controllo e alla violenza.
Non direbbe, quindi, che ci sia anche un problema culturale in Italia?
Di certo non si può fare delle questioni di genere solo una questione di quote rosa, come le chiamano. Io non ho problemi a competere con con gli uomini, ad armi pari. Ma se una società non è avanzata e non ci sono pari opportunità per tutti, allora dobbiamo avere la garanzia che le donne ci siano.
Nella sua visita ha voluto dare molto spazio al tema dell’immigrazione italiana negli USA. Cosa le interessa di questo tema?

Il presidente della Camera sul traghetto per Ellis Island
Il senso di questa visita è anche quello di incontrare la vecchia e nuova migrazione italiana che ha reso e continua a rendere grande questo paese e che per me è motivo di orgoglio. A dimostrazione del fatto che i migranti sono un valore aggiunto. Ho incontrato e incontrerò giovani che sono impiegati nel campo della ricerca o che hanno avviato delle start-up. Nostri talenti a disposizione di questo paese. Incontrare questi giovani mi provoca un misto di sentimenti: da una parte c’è l’orgoglio per ciò che abbiamo formato e che stiamo esportando, dall’altro la rabbia perché non siamo capaci di riportarceli a casa.
Sul versante vecchia immigrazione, la visita a Ellis Island. Cosa ha imparato visitando l’isola simbolo dell’immigrazione negli Stati Uniti?
Che questo paese si è sviluppato grazie all’energia, la forza e il coraggio di persone che sono venute da ogni parte del mondo. E molti erano italiani e hanno contributo a rendere grandi gli USA. La morale è che la migrazione è una risorsa.
È possibile un paragone tra quanto avveniva una volta ad Ellis Island e l’attuale situazione dei migranti che arrivano in Italia via Mediterraneo?
Ascoltando la guida che descriveva la situazione delle persone che arrivavano a Ellis Island, mi sembra di ritrovare gli stessi stati d’animo dei migranti che oggi arrivano a Lampedusa. La paura per un viaggio rischioso, quel senso di smarrimento, il non capire la lingua, il non avere a disposizione uno spazio privato, lasciare casa per un viaggio così decisivo… e poi la voglia di farcela, le energie il coraggio. Dal punto di vista emotivo mi sembra non sia cambiato niente.

Danelle Simonelli e Laura Boldrini all’interno del museo dell’immigrazione di Ellis Island
Durante la visita, la guida ci ha spiegato che, quando arrivavano in America, agli immigrati veniva chiesto se avessero già un lavoro negli USA. Rispondere affermativamente era in realtà controproducente. Oggi le leggi sull’immigrazione funzionano diversamente…
Sì, è ironico pensare che queste persone pensavano di fare bene dicendo che avevano già un lavoro e invece si mettevano nei guai. La motivazione è che lo stato americano riteneva che arrivare qui con un lavoro significasse esporsi allo sfruttamento (di solito ad arrivare con un lavoro erano persone cui un “contractor” aveva pagato il biglietto per raggiungere l’America e che poi avrebbe fatto lavorare quelle persone per ripagare il biglietto, in stato di semi-schiavitù, nda). In Italia oggi è il contrario. Se non si ha un contratto non si può entrare.
Pensa che le preoccupazioni su un possibile sfruttamento che aveva allora il governo americano possano applicarsi anche alla situazione italiana contemporanea?
Non è frequente oggi in Italia che un’azienda faccia un contratto per poi non rispettarlo. È invece frequente che diano lavoro a persone non regolari che, avendo meno diritti, sono più esposte a sfruttamento. Ma anche per questo è importante ricordare che la migrazione è un fenomeno globale che va gestito a livello esteso. Una gestione comunitaria di questi temi è la naturale destinazione del processo. Ma per farlo è necessario che gli stati membri rinuncino a una parte di sovranità nazionale. Al momento questo non succede. Abbiamo 28 stati e 28 legislazioni diverse in materia di immigrazione.
La settimana scorsa il ministro Mogherini è stata a New York e ha raccontato di aver chiesto a Ban Ki-moon un maggiore impegno dell’ONU per aiutare l’Italia con il problema dei migranti nel Mediterraneo. Da fonti ONU, invece, risulta che sia il contrario: ovvero che l’ONU avrebbe chiesto all’Italia di fare di più. Secondo lei cosa e come le Nazioni Unite dovrebbero o potrebbero fare per aiutare l’Italia?
Le agenzie ONU stanno già facendo moltissimo. E io questo lo dico basandomi sulla mia esperienza personale perché per molti anno sono stata direttamente coinvolta nel Mediterraneo. E stanno facendo tanto non soltanto in termini di assistenza e sostegno, ma si stanno impegnando anche in attività di orientamento delle autorità. Poi bisogna specificare che le persone che arrivano in Italia attraverso il Mediterraneo non sono migranti economici, ma richiedenti asilo politico. Sono persone che fuggono da conflitti, persecuzioni, dittature e una vasta percentuale chiede asilo, quindi bisogna stare attenti ai termini che si usano: questi non possono essere definiti immigrati clandestini. E la comunità internazionale è obbligata al rispetto di questi soggetti. Aggiungo che il numero di domande di asilo che l’Italia riceve non è superiore a quello di altri paesi europei. E il nostro paese fa la sua parte. Il problema va invece internazionalizzato per quello che riguarda la salvaguardia di vite umane, un punto su cui tutta la comunità internazionale deve essere coinvolta. Sono d’accordo, quindi, con chi dice che il programma Mare Nostrum debba essere sostenuto anche dai nostri partner europei e dalla comunità internazionale in genere. Infine, per quello che riguarda l’integrazione di chi richiede asilo politico, è vero che l’Italia potrebbe fare di più e che altri paesi investono di più su questo fronte.

Il presidente della Camera insieme al console Quintavalle durante l’incontro con la comunit├á italiana al Consolato
In questi giorni ha incontrato tanti italo-americani. C’è qualcosa in particolare che l’ha colpita della realtà italo-americana?
Mi colpisce accorgermi che queste persone, per quanto non parlino una parola d’Italiano, guardano all’Italia con grande attenzione e affetto e sentono le proprie radici. E questo mi fa pensare che forse noi dovremmo investire di più bel diffondere la lingua italiana che può essere volano di cultura e quindi di economia.
Come?
So che l’Ambasciata sta già facendo un grande lavoro per reintrodurre lo studio dell’Italiano come seconda lingua nelle scuole. E anche Consolato e Istituto di Cultura sono molto attivi. Certo, se avessero più risorse a disposizione per i programmi di lingua…
Visto che ha nominato l’Istituto di Cultura, saprà che la sede di New York è al momento senza direttore e si dice che non ne verrà nominato un nuovo almeno fino a fine anno. Questo è un danno per quelle attività di promozione cui accennava. Quali sono i motivi di questi ritardi?
Non conosco a sufficienza la situazione per dire perché. Però so che l’Istituto sta continuando nelle sue attività anche senza direttore. Certo, la nomina del nuovo direttore potrebbe dare un maggiore impulso alle loro attività e spero che arrivi presto.
In questi giorni, quali reazioni ha visto da parte degli americani?
Ho notato molto interesse a seguire gli sviluppi politici ed economici dell’Italia. Inoltre gli americani credono nel rinnovamento che stiamo portando avanti. E mi sembra anche che vedere facce nuove dia loro più fiducia.
Un’importante prova della fiducia all’estero nei confronti dell’Italia è l’Expo. Ma le recenti vicende giudiziarie non ci staranno facendo fare un passo indietro?
É fondamentale che si faccia chiarezza adesso perché non ci devono essere ombre su Expo. Non credo che la corruzione sia un fattore endemico in Italia, ma è una disfunzione. Abbiamo una magistratura molto capace e questo è motivo di fiducia. Credo che dopo questi fatti l’attenzione del commissario sarà ancora più alta e che l’Expo sarà ripulito e avremo una bellissima manifestazione. Ma chi dice che dovremmo chiudere tutto e non fare l’Expo dice una follia.
Elezioni europee: timori di crescita del populismo e venti antieuropeisti. É preoccupata?
L’Europa non è immutabile e con il voto la si può cambiare. I cittadini e soprattutto i giovani devono dire la loro. Quindi andate a votare, non importa per chi, ma votate. Una grossa parte della legislazione italiana oggi nasce a Bruxelles, per contare dobbiamo esprimere le nostre preferenze. Chi non va a votare rinuncia a contare.