Ora basta. Stop alle lacrime, alle dichiarazioni d'intenti, alle strumentalizzazioni, ai comunicati stampa di vicinanza e sdegno. La verità vera è che non ne possiamo più. Nel 2014, nel millennio della turbo-globalizzazione, del web 2.0, della società ultra tecnologica, siamo costretti a commentare un'ennesima tragedia in mare. Anzi, due nel giro di poche ore, in quel tratto maledetto di mare tra la Libia e l'isola di Lampedusa. In quelle miglia marittime che sono diventate negli anni un cimitero a cielo aperto, con un numero incalcolabile di vittime.
Uomini, donne e bambini morti dopo essere sopravvissuti a bombardamenti, fame, siccità, stupri, torture e in molte occasioni anche all'attraversamento del Sahara. Persone che vedevano nell'Europa l'ultima spiaggia, il punto di approdo sicuro dove poter tirare finalmente un sospiro di sollievo, dopo aver visto le proprie case a Homs o a Mogadiscio distrutte. O dopo aver visto morire i propri cari per fame e sete. O ancora, dopo aver pagato migliaia di dollari ai trafficanti di uomini, un business a dir poco redditizio.
Mentre tutto questo succedeva, succede e succederà, mentre migliaia di migranti sono in viaggio verso il lato nord del Mediterraneo, l'Europa stessa tradisce i suoi ideali. Quelli per capirci che l'hanno ispirata, quelli di cui buona parte della politica si riempie la bocca, quelli che fanno tanto moda pret-a-porter e politicamente corretto. Mentre quei bambini siriani affogavano nel mar Mediterraneo, c'è chi in Italia, per strappare qualche voto in più, soffia sull'ignoranza e la xenofobia, simulando sbarchi di precari e portatori di handicap italiani, strumentalizzando così anche le vulnerabilità nostrane e agitando la paura di una guerra tra poveri. Mentre quel barcone si rovesciava in mezzo a tonnellate d'acqua salata, c'è chi invoca la chiusura della missione “Mare nostrum” con cui la Marina italiana sta fortunatamente salvando migliaia di vite in mare. Mentre intere famiglie venivano cancellate, c'è chi parla di invasione, urlando contro profughi che in realtà “sono clandestini venuti a rubare” o chi invece blatera usando lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, come se un siriano o un somalo ne avessero ancora una. Mentre qualcuno iniziava a piangere davanti a bare allineate, c'è chi da noi e in Europa fa dichiarazioni d'intenti, inizia polemiche su chi deve pagare cosa, dimenticandosi di quella pietas romana che dovrebbe essere la base della nostra civiltà.
In barba a ogni regola del giornalismo ancora non ho raccontato correttamente la notizia: lunedì un barcone si è rovesciato tra Lampedusa e la Libia, lasciando dietro di sè morti, dispersi e fortunatamente alcuni sopravvissuti. Appena il giorno prima, avevamo scoperto che un altro barcone si era rovesciato al largo delle coste di Tripoli, con lo stesso bollettino di guerra.
Ora c'è bisogno di azione. Non è più il tempo del dolore delle Istituzioni, delle polemiche, degli appelli. Lo urla la Croce Rossa insieme a tante altre organizzazioni, in mezzo a commenti legati solamente al fatto di cronaca, il che significa che tra qualche giorno questa notizia passerà in ventottesimo pagina nel migliore dei casi. L'Unione europea dovrebbe far diventare “Mare Nostrum” un'operazione europea, predisporre immediatamente un piano di accoglienza per chi fugge da fame e guerra, aprire corridoi umanitari e garantire accesso umanitario ai migranti, salvaguardanone così la vita.
Tutto il resto, sono chiacchiere (inutili) da campagna elettorale. Mentre qualcuno potrà anche diventare europarlamentare o presidente della Commissione europea o mentre qualcun altro potrà gioire per la vittoria con l'attuale primo ministro oppure chiederne la testa, potrebbe accadere un'altra strage, con colpe chiare e precise di un intero sistema. E come cantava De Andrè: “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”.
Twitter: @TDellaLonga