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May 19, 2014
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May 19, 2014
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Sturarsi il naso e votare Grillo

Francesco ErspamerbyFrancesco Erspamer
Time: 4 mins read

All'estero non mandano la scheda delle europee per cui non potrò votare. Non mi sono dunque posto davvero il problema di chi scegliere. Ma se votassi, forse alla fine il segno lo farei sul ridicolo simbolo del Movimento 5 Stelle. Pur non condividendo quasi nulla del suo programma e detestando i suoi padroni, Grillo e Casaleggio, le loro idee, il loro stile. E pur essendo convinto che il candidato di gran lunga migliore sia Tsipras.

Perché allora M5S? Perché ci sono momenti in cui il senso di responsabilità, la moderazione e i programmi non bastano. In cui non si vota per cambiare o costruire ma solo per riacquisire la possibilità di cambiare, di costruire. O anche solo per dimostrare di esistere, di non essere dei servi ma degli esseri indipendenti.

La stessa ragione per cui, di tanto in tanto, la gente di ribella, fa rivoluzioni. Raramente una rivoluzione porta a quello che si sperava: la rabbia e la violenza sono un sentimento e un comportamento pericolosi, che inducono a errori, eccessi, ingiustizie. Ma hanno l’effetto di temperare l’arroganza del potere, di impedirgli di diventare onnipotente, di costringerlo a un minimo di prudenza e di democrazia.

Le elezioni sono diventate in molti paesi, a cominciare dagli Stati Uniti e nelle intenzioni di Renzi anche in Italia, un sondaggio per misurare il gradimento di un potere comunque indiscusso, quello dei poteri forti della finanza e dei media – in sostanza, un indice per verificare l’efficacia della macchina pubblicitaria e propagandistica del regime. Questa non è democrazia. È un totalitarismo “soft”, che non si serve dei carri armati bensì della televisione, delle celebrity e del denaro delle lobby. Anche il nome è meno minaccioso: lo chiamano “governabilità” o “libero mercato”. Ma in nome della governabilità e del libero mercato impone le stesse limitazioni alla libertà di espressione, di aggregazione e di autodeterminazione delle dittature. Spesso, delle dittature, usa i mezzi: la repressione poliziesca e la censura per esempio, spacciate per lotta contro terrorismi più o meno immaginari o contro atteggiamenti improvvisamente dipinti come intollerabili (i cori o gli striscioni negli stadi, anche quelli satirici, diventati causa del razzismo e non solo uno dei suoi effetti meno preoccupanti).

Ci sono due modi per contrastare un regime. Uno è creare un’opposizione a partire da un preciso programma. È la strada di Tsipras e quella percorsa, in passato, dai partiti socialisti e comunisti. Che hanno tutti cominciato con piccole minoranze ben organizzate e pronte, quando inattese circostanze si fossero verificate, ad approfittarne e diventare maggioranza. Spero che una nuova sinistra nasca in Italia, si strutturi in partito e aspetti la sua opportunità (e possibilmente non la perda, quando capiterà – perché capiterà, inevitabilmente).

Però non sempre ci si può limitare a prepararsi per un’occasione futura. Quando un regime soffoca la trasparenza e ricorre sistematicamente alla corruzione e alla disinformazione; quando protegge o incoraggia la concentrazione della ricchezza e l’impunità dei ricchi; quando diventa una casta, ossia così egemonico da considerare qualsiasi infrazione come immorale e qualsiasi dissenso come un’eresia; quando le conseguenze di queste politiche sono l’irreversibile distruzione del tessuto sociale e dell’ambiente: allora non si può più semplicemente contrapporgli un altro modello, proporre delle riforme. Non si può più accettare il suo gioco, rassegnandosi ai suoi trucchi e ai suoi imbrogli. Bisogna rovesciare il tavolo. Bisogna far capire in modo chiaro, inequivocabile, di essere disposti a tutto.

È l’unico linguaggio che quel tipo di potere comprenda. Per questo i suoi media fabbricano e spargono paura, anzi, terrore, nei confronti di chi non si adegui e conformi. Ma come rovesciarlo, il tavolo?

Prendiamone atto: il capitalismo liberista ha trionfato anche perché ha diffuso, in modo molto più capillare di quanto fosse riuscito a fare il cristianesimo, un’ideologia buonista. Per cui rivoluzioni, in Occidente, non se ne faranno, non in tempi brevi. Neanche piccole rivoluzioni. Neanche rivoluzioni pacifiche, perché i media le fanno immediatamente apparire come potenziali rivoluzioni violente – un tabù. E non hanno tutti i torti: a forza di criminalizzare ogni critica, ogni anticonformismo, creeranno le condizioni per una tempesta perfetta, che quando scoppierà, inattesa e incontrollabile, travolgerà ogni cosa senza risolvere alcun problema.

Il rito delle elezioni è l’unico strumento concreto che la gente ha per manifestare la propria disapprovazione e frustrazione. In un mondo appena migliore potrebbe servire per scegliere dei leader e dei partiti in grado di far progredire la società. In questo momento, nell’Italia di Renzi e Berlusconi, può servire solo a liquidare leader e partiti che stanno facendo regredire la società. Ma bisogna usarlo, lo strumento delle elezioni. Non per mostrare la propria tolleranza e ragionevolezza: non in questo momento, non a queste condizioni. Al contrario, per esercitare la propria libertà.

Spero che Tsipras abbia successo e che comunque tenga duro: un giorno, improvvisamente, ci sarà bisogno dei suoi programmi. Però la cosa più urgente è fermare Renzi, prima che sia troppo tardi. Temo che solo il M5S possa riuscirci e le elezioni per il Parlamento europeo, dove comunque non conterà niente, sono una buona occasione. Turatevi il naso e votate DC, disse Indro Montanelli. Temo che da allora gli italiani non abbiamo fatto altro. È ora che smettano di tapparsi il naso e che respirino il tanfo del liberismo: e che votino qualsiasi altra cosa. Persino Grillo.

 

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Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

Nato a Bari, cresciuto a Parma e in Trentino, laureato a Roma, professore a Harvard. Mi interesso di letteratura, politica, storia delle idee e cambiamenti culturali. Insegno corsi su estetica, romanzo moderno e contemporaneo, Rinascimento, calcio. Di recente ho scritto: La creazione del passato, Sulla modernità culturale e paura di cambiare, Crisi e critica del concetto di cultura. Come Gramsci, penso che al pessimismo della ragione occorra accompagnare l’ottimismo della volontà, e come James Baldwin, che la libertà non la si possa ricevere in dono: bisogna prendersela.

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