Nel giorno della sua investitura quale successore di Rattazzi, Crispi, Sonnino, Mussolini, De Gasperi, Segni, Fanfani, Craxi (non serve citarne altri), Matteo Renzi ha pronunciato l’elogio del “sogno” e del “coraggio”. Ma oramai, ogni volta che un uomo politico italiano ci invita “a sognare”, a noi viene, seduta stante, un bell’attacco d’orticaria. E’ dai tempi della scomparsa dei blocchi dell’Est e dell’Ovest che il carrierista politico nostrano si riempie proprio con questo termine la bocca. Nessun capo di governo, nessun capo di Stato d’un passato ormai remoto ci aveva invece esortati a credere nel “sogno”: non ci pensavano nemmeno: scomodare questo sostantivo sarebbe sembrato plateale, leggero, canzonettistico. Tutto, sì, cominciò nel 1963 a Washington con Martin Luther King (ricordate il celebre “I have a dream”). Ma il sogno del reverendo afroamericano era sogno legittimo, sacrosanto: cento anni dopo la Guerra Civile americana, cento anni dopo Gettysburgh, i neri figuravano ancora come paria, come servi della gleba (!), come gente da non tenere in considerazione a meno che non tirasse di Boxe come Joe Louis o non suonasse la tromba come Louis “Satchmo” Armstrong. O cantasse come la Fitzgerald. Quel sogno, il sogno della completa emancipazione nera, doveva essere rincorso e poi realizzato.
Parliamoci francamente: l’Italiano è lingua assai bella, ma presta il fianco al ridondante, al forzato, all’artificioso. Non è asciutta e agile come l’Inglese. Ora, grazie ai “fenomeni” della classe politica italiana, ha addirittura assunto un tono indubbiamente retorico. Tono retorico che esce a meraviglia dalla gola dei nostri rètori abituati a campare a furia di slogan, sciolti nella disquisizione, brillanti nell’afferrare i nuovi venticelli della moda, del cinema, del Costume. Il Sogno lasciamolo a Ossian… Lasciamolo a Dante che cerca Beatrice, a Petrarca che insegue Laura; lasciamolo a Pirandello che dinanzi alla Abba quasi trema e balbetta come un adolescente.
Se un ‘campione’ della nostra politica, artefatto e mellifluo, o sbrigativo e protervo, mi viene a dire che grazie alla sua opera, ‘solo’ grazie alla sua ‘missione’, io posso “sognare” e veder poi coronati i miei “sogni”, sento aria d’inganno, aria di raggiro, di mistificazione. Capisco che corro il rischio di restare turlupinato.
Eppure, non si dovrebbe scherzare sulle aspettative, sulle ansie, sui dolori di italiani mandati in rovina da una crisi spietata, profonda, massiccia la quale coi mezzi attuali non potrà mai essere risolta. Non si dovrebbe far sfoggio di facile teatralità davanti a famiglie italiane costrette a tirare avanti con 1200 euro al mese. Ma non ci sono limiti all’egocentrismo, alla volgarità, alla irresponsabilità dei tanti che della politica fanno “mestiere”, “professione”… Tutto deve restare così com’è perché Lorsignori possano seguitare a lucrare, a ricevere ossequi, a sentirsi “importanti”, anzi, “indispensabili”. Che continui la questua da parte dei “perdenti”…!
Coraggio. Renzi, sì, ci indica la necessità che la Nazione intera dimostri “coraggio” in tempi bui come questi. Il coraggio… Coraggio ne ha uno che sbatte la porta e poi ne apre un’altra, e via così. Coraggio ne ha il piccolo, onesto imprenditore che si piazza “in trincea” e in trincea si batte come un leone. E ne ha chi fa la valigia in meno di mezz’ora e quindi parte! Parte per l’Australia o per la Nuova Zelanda, per il Canada o per la Germania. Ha coraggio chi rischia in proprio, chi brucia i ponti alle proprie spalle; chi non ha ‘padrini’. Ma io non conosco uomini politici che da vent’anni a questa parte vogliano rischiare, affrontare incognite; battersi nel vero senso della parola. Ne conosco alcuni i quali, pur essendo nati “spartani”, considerano “piccola” la cifra di 1000 euro e con gaudio e compiacimento ci fanno sapere che la loro consorte ne ha appena bruciati 500, in mezza mattinata… Eccola l’Italia, dopo vent’anni di liberismo sfrenato. Dopo vent’anni di scellerato individualismo.
Coraggio vorrebbe dire uscire dalle Ue. Vorrebbe dire ripristinare la Lira, ripopolare le campagne, re-introdurre le scuole d’avviamento al lavoro, colpire con durezza le imprese che de-localizzano; rilanciare l’edilizia popolare; riformare il Fisco, il Fisco esoso, asfissiante. Vorrebbe dire sbarrare la strada al Supermercato. Sbarrare la strada alle Banche. Tornare arbitri di noi stessi. Riprendere a fare le cose coi nostri soli mezzi. Ci siamo disabituati a far da noi, ma potremmo impararlo di nuovo, Presidente Renzi.