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November 25, 2013
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November 25, 2013
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Il Congresso del dolce far niente

Marcello CristobyMarcello Cristo
Time: 3 mins read

Tra le molte ragioni per le quali Winston Churchill é passato alla storia, c'é anche la sua famosa citazione: “La Democrazia é la peggior forma di governo, ad eccezion fatta per tutte le altre”.

Le virtú del sistema democratico sono apparse storicamente evidenti nel diciottesimo secolo con la nascita e la rapida ascesa degli Stati Uniti d'America, una giovane repubblica il cui sistema di valori si ispirava ai concetti filosofici dell'Illuminismo che, proprio in quel periodo in Francia, sarebbero culminati nella rivoluzione antimonarchica e anticlericale. 

L'America delle origini dunque, é nata con il chiaro proposito di evitare quella concentrazione del potere monarchico e aristocratico di stampo europeo organizzando il suo sistema politico secondo una suddivisione piú o meno equa di questo potere tra i suoi tre organi principali: esecutivo (il presidente); legislativo (il Congresso) e giudiziario (con in testa la Corte Suprema).

Il valore e la forza del sistema democratico americano é stato ribadito secoli dopo quando, con la Seconda Guerra Mondiale prima e con la Guerra Fredda poi, i sistemi totalitari di destra e sinistra hanno sancito la fine dell'egemonia europea sullo scacchiere internazionale lasciando al Vecchio Continente una disastrosa ereditá fatta di distruzione e divisioni.

Ma l'efficacia di questa distribuzione democratica del potere sulle cui basi l'America ha fondato il suo sistema istituzionale, da qualche anno a questa parte non sembra piú funzionare come in passato.

Nel 1947, l'allora presidente Harry Truman conió il termine divenuto poi famoso, di “Congresso fannullone” per censurare l'inattivitá dei legislatori dell'epoca che riuscirono ad attuare “solo” 133 proposte di legge. Un ritmo febbrile se paragonato al parlamento attuale che ha stabilito un vero e proprio record di improduttivitá con soli 49 provvedimenti legislativi attuati dall'inizio del suo insediamento. 

Questa pochezza legislativa ha le sue radici in un meeting riservato condotto in un ristorante di Washington poco dopo l'elezione di Barack Obama e al quale parteciparono una quindicina tra gli esponenti piú influenti del Partito Repubblicano. In questo meeting, organizzato dal leader conservatore Frank Luntz e descritto dal libro di Robert Draper “Don't ask what good we do”, fu stabilito che la strategia che il GOP avrebbe adottato per il resto della presidenza Obama, sarebbe stata quella di montare un'opposizione completa ed intransigente per vanificare ogni sforzo legislativo avanzato dalla Casa Bianca e assicurare, quanto piú possibile, il fallimento dell'amministrazione in carica. 

Negli ultimi cinque anni, il contingente Repubblicano alla Camera e al Senato ha applicato, questa strategia alla lettera con un ostruzionismo totale reso possibile dal fatto che, proprio in base al principio della distribuzione dei poteri, il sistema americano richiede, un rapporto di collaborazione tra la presidenza e il Congresso per far si che i due organi istituzionali si tengano sotto controllo a vicenda.

Il problema é che, in seguito a questa tattica repubblicana e, ancor piú dopo l'elezione degli ultra-conservatori del Tea Party nel 2010, il meccanismo di controllo si é trasformato in un pretesto di boicottaggio. 

Malgrado il fatto che Obama e i Democratici siano usciti vincitori dalle elezioni del 2012, il presidente e il suo partito hanno un potere legislativo limitatissimo perché la Camera dei Deputati é restata nelle mani dei conservatori mentre in Senato, dove pure il Partito Democratico detiene la maggioranza, il GOP ha trasformato la procedura di approvazione delle proposte di legge richiedendo, per ogni procedimento, una maggioranza  assoluta (almeno 60 voti su 100) invece della maggioranza semplice (51 su 100). Questa “dittatura della minoranza” é resa possibile da una clausola procedurale del Senato americano chiamata “filibuster” e che consiste nell'estendere all'infinito il dibattimento delle proposte di legge impedendo cosí che esse possano essere messe al voto perché il numero di votanti necessari per interrompere il dibattimento é 60.

Consapevole della futilitá di qualsiasi iniziativa legislativa, il presidente Obama ha cambiato tattica tentando di legiferare indirettamente attraverso l'attivitá di regolamentazione delle sue agenzie governative e attraverso la nomina di giudici delle corti distrettuali che presiediono ai casi di regolamentazione amministrativa. Il problema é che anche i giudici e i direttori responsabili di molte di queste agenzie sono soggetti all'approvazione del Senato dove, inutile dirlo, finora i Repubblicani si sono rifiutati di approvare qualsiasi nomina, anche le meno controverse.

Proprio in risposta a questo estremo ostruzionismo della destra, la settimana scorsa il leader della maggioranza democratica al Senato ha adottato la cosiddetta “opzione nucleare” cambiando le regole di approvazione delle nomine governative e giudiziarie (la regola é restata immutata per le proposte di legge e per le nomine alla Corte Suprema). 

Ma allora, verrebbe da chiedersi, se i Democratici potevano cambiare le regole ed evitare parte di questo ostruzionismo dell'opposizione, perché non lo hanno fatto prima? Perché sanno benissimo che prima o poi si troveranno dall'altra parte della barricata in una situazione di minoranza che potrebbe richiedere gli stessi metodi.

Insomma una fondamentale ipocrisia da parte di entrambi i partiti, pronti a cambiare bandiera, a seconda della convenienza del momento.

 

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Marcello Cristo

Marcello Cristo

Sono nato e cresciuto a Napoli dove, nella tradizione magno-greca della mia città, mi sono laureato in Filosofia. Vivo negli Stati Uniti con la mia famiglia da oltre vent'anni facendo la spola tra New York e la California. Dall’America, ho iniziato a collaborare con pubblicazioni italiane come Il Giornale di Indro Montanelli e La Gazzetta dello Sport di Candido Cannavò e poi con il quotidiano in lingua italiana degli Stati Uniti America Oggi per il quale ho lavorato come editor, opinionista e corrispondente dalla California. Nei ritagli di tempo, sto tentando disperatamente di insegnare ai miei figli il napoletano.

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