Chi pensa, ancora una volta, che la parabola del berlusconismo sia esaurita, magari per via giudiziaria, non deve farsi illusioni. L’uomo Silvio Berlusconi ha mille risorse e la farà valere tutte. Ma sullo sfondo, quasi in punta di piedi, emerge la candidatura di Marina Berlusconi, la primogenita del Cavaliere. Sarebbe l’ultimo sigillo, forse quello più pesante, ad una visione puramente dinastica e patrimoniale del centro-destra italiano. Qualora le indiscrezioni di questi giorni dovessero rivelarsi veritiere entreremmo nella nuova fase del berlusconismo del post-Berlusconi. Niente primarie. Neppure un sondaggino. Nessun dibattito. L’investitura sarebbe automatica ed ereditaria. Un’auto-cooptazione. Per il gusto della provocazione, potremmo anche dire che il fenomeno della successione familiare ricorda le più fragili, giovanissime e problematiche democrazie dell’Africa o dell’Asia piuttosto che forme di alternanza al potere più tipiche delle realtà occidentali. La dinastia Gnassingbé in Togo, quella dei Bongo in Gabon, il tentativo aperto del leader ugandese Yoweri Musuveni di preparare la successione del figlio alla guida del Paese. O ancora, le tentazioni familistiche di distribuzione e trasmissione del potere di Mubarak in Egitto e Ben Ali in Tunisia. Esempi tutti dotati di una specificità nazionale certo, ma accomunati dallo stesso “umano” disegno familiare di accumulazione o conservazione delle risorse nella cerchia oligarchica del clan e della famiglia.
Con tutta la buona fede che possiamo sforzarci di riconoscere rispetto alla probabile decisione della pur capacissima Marina Berlusconi – che comunque non conosciamo – il rischio grosso non è tanto che una delle più ricche famiglie del paese possa confermare il proprio impegno diretto (legittimo) nella vita politica, ma che contribuisca piuttosto a perpetuare il congelamento di ogni possibile dibattito politico nell’area culturale di centro-destra. L’obiettivo di Marina, certo, potrà essere quello di rappresentare e difendere gli interessi “degli italiani che non vogliono consegnare il Paese alle sinistre”. Legittimo. Ma obiettivo sarà anche quello di difendere gli interessi della Casa. Con quel piccolo e pericoloso dettaglio del conflitto di interesse, destinato a riproporsi nel confronto tra la prossima generazione di leaders politici.
A preoccupare non è solo la nuova ipotesi di identificazione ed esaurimento del centro-destra italiano nella storia della famiglia-impresa Berlusconi (Una storia rispetto alla quale la pur criticatissima giustizia italiana ha emesso una sentenza finale che è parsa decretarne una strutturale opacità) Ad allarmare è soprattutto che il post-Berlusconi – quello di un Berlusconi pregiudicato, ineleggibile, costretto all’umiliazione degli arresti domiciliari, non libero di comunicare, probabilmente interedetto dai pubblici uffici, ormai nei suoi ultimi anni di vita – si limiti dunque ad un celebrativa re-investitura della casa regnante del centro-destra. Della figlia del sovrano. Senza uno straccio di discussione, senza una riflessione approfondita, nè autocritica dei limiti e delle grandi contraddizioni di quella leadership carismatica che ha prodotto ben poco di quanto aveva promesso sin dai tempi della “rivoluzione liberale”. Senza neppure uno straccio di esame critico dei limiti di un disegno politico – quello di centro-destra – promosso e interpretato autocraticamente dall’universo imprenditoriale e dal fenomeno politico Berlusconi con annesso un manipolo di ostinati fedelissimi e signorsi. Senza una sfida interna di persone e contenuti che possa delineare idee diverse o nuove della rappresentanza politica dell’area conservatrice e più moderata del paese.
Perchè questo non accada c’è da sperare che qualche intellettuale d’area, se ne rimangono, accetti la probabile fine politica del capo come occasione finale di riflessione e ri-fondazione di una destra italiana moderna e democratica, profodamete rinnovata nella sua struttura e nei suoi riti. Ovviamente non parliamo dei primi due nomi che ci vengono in mente, lo storico Gaetano Quagliarello e il filosofo Marcello Pera, gli intellettuali sbiaditi vicino al capo. Personaggi da cui non si ricorda non una, ma neppure mezza idea di innovazione della proposta politica del centro-destra italiano. A fare le spese di questa nuova occasione perduta sarà ancora una volta l’Italia tutta e con essa il principio di alternanza democratica al potere tra una destra e una sinistra moderne ed europee. Comunque andranno i prossimi mesi la storia di Silvio Berlusconi è e sarà una storia tutta italiana. Maledettamente italiana. L’autobiografia di una paese che nella crisi irreversibile della famiglia tradizionale – di cui B per stile di vita e comportamenti privati è il massimo esempio – confermerebbe, con la probabile investitura di Marina Berlusconi, proprio nel vincolo familiare, il fondamento dell’agire sociale e politico nazionale. Aprire il dibattito sulla destra a quel che si agita ben aldilà della sfera privata e pubblica della famiglia Berlusconi – nella società! – sarà forse un gesto un po’ meno italiano. Ma preziosissimo. Capace di avvicinare il Paese al compimento di una transizione che sembra non finire mai.