NEW YORK. Dal giorno della scomparsa di Giulio Andreotti, se ne sono sentite parecchie sulla straordinaria vita “spericolata” del sette volte capo del governo italiano. Sembra quasi che su ogni mistero irrisolto del primo mezzo secolo di Repubblica, ci sia sempre coinvolto il “Divo” della politica italiana, cavallo di razza mai domato dalla grande balena democristiana. Anche qui a New York, alla notizia della scomparsa del Senatore a vita, si sono sentite tante storie dei tempi d’oro di Giulio.
Ve ne vogliamo raccontare una in particolare, riferitaci da un testimone di quei tempi e che ci ha colpito parecchio. La nostra fonte è d’origine controllata, assolutamente di nostra fiducia. Non vuol apparire con nome e cognome perchè, ci dice, non vuole avere guai… Già, “Belzebù” anche dall’aldilà fa ancora paura.
Ma ecco che il racconto della nostra fidatissima fonte, ci trasporta alla prima metà degli anni Settanta. Andreotti, che secondo la nostra fonte allora occupava la poltrona di ministro della Difesa, arriva a New York e fra i tanti incontri vede anche un noto giornalista (oggi deceduto), corrispondente per un grande gruppo editoriale, e nel stringergli la mano gli chiede: “Mi dicono che Michele Sindona sia al Pierre Hotel, giusto?”
“Si presidente, abita al Pierre”. Risponde il giornalista sorpreso.
“Lo vorrei incontrare: mi fai il favore di organizzare un veloce incontro?” gli replica subito Don Giulio.
“Ma presidente, Sindona è inquisito in Italia non mi sembrerebbe il momento, o il caso…” prova a replicare il giornalista rimasto a bocca aperta per la richiesta dell’esponente del governo italiano.
“Ma che storie sono queste, io, come te del resto, devo vedere e parlare con tutti, anche gli inquisiti!”, replica stizzito Andreotti con un tono di voce ormai quasi minaccioso.
“Va bene presidente provvederò” si arrende subito il giornalista, diventato di colpo ubbidiente.
“Mi raccomando, un incontro riservato, capito?” ordina perentorio il ministro.
Michele Sindona a New York
Pochi giorni dopo quell’episodio avvenuto in un albergo, la nostra fonte ci racconta che si venne a trovare dentro l'ufficio del giornalista amico di Andreotti, in quella bella e prestigiosa sede nel centro di Manhattan. Rivolgendosi sornione alla nostra fonte, il gionalista dice: “Se ce la fai a stare zitto ti faccio ascoltare una mia intervista telefonica con Sindona”.
“Così al telefono mentre registrava, sentii la voce un po’ rauca con leggero accento siculo di Michele Sindona” ricorda ora la nostra fonte, a quasi quaranta anni di distanza dall’episodio.
E di cosa parlò Sindona con quel giornalista? “Già, ho visto chi sai tu… ma con quello non c'è niente da spartire. E poi lui è il potere, il potere che mi vuole incastrare”. Parole che Sindona pronunciava non sapendo di essere ascoltato da altre orecchie, oltre quelle del giornalista amico e fidato.
“Non è andata bene, allora?” gli fa l’amico giornalista.
“Per niente, mi vogliono sotto terra, mi vogliono”. Gli replica Sindona.
“Ma no, esageri” lo rassicura il giornalista italiano amico di Sindona e, ci racconta sempre la nostra fonte, un corrispondente conosciutissimo e che si sapeva far volere bene da tutti a New York. Il nome del giornalista la nostra fonte ce lo confessa, ma a condizione di non rivelarlo perchè potrebbe, tramite certi collegamenti di lavoro, svelare a certe persone anche la nostra fonte.
Ma la conversazione in quella telefonata non era ancora finita. Sindona rispose cosi a chi gli diceva di non esagerare: “Macchè, e tu per caso? Anche tu lavori per il potere con il tuo giornale. Anche tu mi vorresti buttare in galera. Ma io con te e i tuoi non parlo più sai. Questa intervista è terminata. Addio!”. Così parló infine Sindona, chiudendo il telefono al giornalista.
A quel punto il noto giornalista, si rivolse alla nostra fonte che oggi racconta questa storia alla VOCE di New York, per dirgli: “Sentito tutto? Ha visto Giulio e si sono bisticciati, poi se la prende con me. Come al solito!”
Una storiella molto italiana nella New York degli anni Settanta. Quello che ci ha colpito è come un pezzo grosso del governo della Repubblica italiana, arrivando negli Stati Uniti, potesse ordinare ad un giornalista, trattandolo come se fosse il suo maggiordomo, di metterlo subito in contatto con Michele Sindona, banchiere che allora era appena passato dalle stelle della finanza alle stalle della giustizia, diventando di colpo un ricercato per bancarotta…
“Mi vogliono sotto terra” gridava il Sindona latitante al giornalista che gli combinò l’incontro con Andreotti. Già, nel giro di pochi anni un caffè alla Pisciotta manderà Micheluzzo, il camionista di Patti diventato banchiere dei potenti, proprio in quella fossa dove egli, fin da quell’incontro a New York, temeva qualcuno volesse spingerlo. Inesorabilmente ora c’è finito anche il corpo del Divino Giulio sottoterra, ma ci arriva per ultimo, tantissimi anni dopo di quei tanti suoi ex amici diventati di colpo scomodi, come appunto Michele Sindona.