Ernesto Galli della Loggia, storico, docente universitario, editorialista del Corriere della Sera, autore di vari volume sulla storia dell’Italia moderna, ultimo dei quali “Pensare l’Italia” (Einaudi, 2011) in collaborazione con Aldo Schiavone. Galli della Loggia, attualmente è professore ordinario di Storia contemporanea presso il Sum (Istituto di Scienze Umane con sede a Firenze, Palazzo Strozzi e Napoli, Palazzo Cavalcanti). Abbiamo incontrato il professor Galli della Loggia, in occasione del Convegno biennale tra il SUM ed il NISA (Network Italian Scholars Abroad) tenutosi quet’anno presso la UCLA dal 17 al 20 di novembre.
Lei ha spesso affermato : “In Italia non si formano élites”.
Questo è dovuto alla poca chiarezza che nel Paese si ha del concetto di “interesse nazionale” oppure alla incapacità della politica italiana (partiti) di formare le élite in quanto gli “interessi nazionali” non sono politicamente contrattabili. Esiste un filone di pensiero liberal democratico (a cui lei spesso fa riferimento) intorno al quale costruire un nuova fase politica italiana?
«La fine della prima repubblica ha segnato anche la cancellazione delle culture politiche non sostituite da nient’altro. Ad oggi non c’è un modello ideologico. Non c’è una selezione delle candidature, la qualità degli eletti nel Parlamento è notevolmente scaduta e questo si lega anche alla bassa considerazione che la politica oggi gode. Esiste un filone di pensiero nella cultura politica italiana che non può essere non considerato ed andrebbe studiato e ripensato alla luce della crisi corrente della politica italiana: penso a Croce, ad Einaudi a Salvemini allo stesso Sturzo. Ad una figura intellettuale oggi dimenticata quale Nicola Matteucci, allo stesso Lucio Colletti. Sono autori che ancora oggi possono costituire un valido orientamento per ripensare la politica italiana in una ottica liberal democratica».
Secondo Lei quali potrebbero essere le strategie da usarsi per attuare una migliore politica culturale verso gli italiani all’estero?
«Sono stato in Argentina, in Australia ed ora negli Stati Uniti ed ho toccato con mano in ogni paese quanto sia radicato negli italiani di ogni generazione e livello di istruzione il sentimento verso l’Italia. Per consolidare ed accrescere questo sentimento la programmazione culturale riveste un ruolo chiave. Vale a dire la promozione della cultura italiana all’estero. Sarebbe utile riorganizzare la presenza culturale italiana all’estero. L’Italia ha troppi Istituti Culturali sparsi per il mondo, sarebbe necessario concentrare le risorse laddove necessarie (ad esempio; tenere aperto un Istituto Italiano di Cultura a Singapore ha poco senso), oltre al fatto che spesso gli Istituti mancano di supporti culturali ed economici necessari. Sarebbe utile convincere gli editori a fornire volumi a queste istituzioni, i quotidiani nazionali dovrebberoimpegnarsi a sottoscrivere abbonamenti a costi ridotti (ovviamente anche con l’ausilio della rete informatica). Bisognerebbe organizzare un tavolo di programmazione culturale tra il MAE (Ministero Affari Esteri, il Ministero dei Beni Culturali e quello della Università e Ricerca scientifica) per strutturare una programmazione culturale all’estero compren siva di tutti gli aspetti della cultura italiana. Ma soprattutto è necessario incentivare i rapporti universitari, attraverso scambi di docenti e studenti tra l’Italia e gli altri Paesi. Ad esempio sarebbe necessario organizzare sia i docenti italiani che lavorano all’estero ma anche gli studiosi americani (o australiani) che si occupano dell’Italia ed avviare scambi di docenti tra università italiane ed università americane. Inoltre in Italia è necessario attivare Centri Studi che si occupino di altri Paesi (penso al modello dell’ISMEO creato da Giovanni Gentile) ma anche di centri studi che si occupino degli Stati Uniti dell’America Latina. Questo tipo di istituti è importante per far conoscere all’Italia le realtà degli altri Paesi».
Il 150mo anniversario dell’Unità d’Italia ha segnato il successo di due produzioni culturali, il film di Martone “Noi credevamo” e il libro di Pino Aprile “Terroni”. Entrambi giudicano l’Unità d’Italia in una ottica negativa.
«Il film di Martone (“Noi credevamo”) è un film orribile. Martone ignora del tutto l’argomento. Il libro di Pino Aprile, “Terroni”, deve la sua fortuna ad un ritrovato orgoglio meridionale alla luce delle posizioni delle Lega Nord contro il Sud. Il libro di Aprile ha contribuito a risvegliare un orgoglio meriodionale. L’Unità d’Italia fu un processo politico molto complicato ove il lavoro diplomatico, di Cavour, ebbe un ruolo fondamentale».