Nella foto Roberto Formigoni
Anche se è vestito informalmente, jeans e maglietta bianca in linea con il look vagamente scanzonato che si è imposto da qualche tempo, la sensazione forte è che Roberto Formigoni si stia seriamente preparando a un salto di qualità nella politica italiana.
Forse, arrivato al quarto mandato, il Presidente della Regione Lombardia non resterà ancora a lungo nel suo enorme ufficio dove ci riceve. Nuovo di zecca, è all’ultimo piano del gigantesco e avveniristico complesso del Palazzo Lombardia che ha fatto costruire e ha tanto voluto: torri di vetro e metallo, uffici modernissimi e uno sterminato open space al coperto per eventi e manifestazioni. «Anche calcolando i costi di costruzione, il mutuo e le altre spese, trasferire qui i vari uffici che prima erano sparsi per tutta Milano» assicura «ci permette un risparmio di quattro milioni di euro l’anno». Nell’era della globalizzazione chi punta al governo centrale, cioè in questo caso a Roma, fa bene a tessere relazioni internazionali. Ed è quello che lui sta facendo e ha appena fatto. La seconda edizione del World Regions Forum è, per certi versi, un suo successo personale: a Milano si sono riuniti i rappresentanti di 17 regioni tra le più promettenti del pianeta (per gli Usa: Illinois, Massachussetts e California; dal Canada: il Quebec. E poi: Buenos Aires, San Paolo, Singapore, Shangai eccetera). «Perché» spiega «la Lombardia, la regione più dinamica d’Italia e una delle più dinamiche d’Europa, sente l’esigenza di fare rete. Obiettivo: conoscere ciò che viene fatto nelle aree più all’avanguardia del mondo: dalla sanità alla difesa dell’ambiente. E le regioni sono fondamentali per questo scopo: la Cina senza le sue regioni speciali non sarebbe diventata ciò che è oggi».
Un discorso, questo delle regioni eccellenti, che è strettamente collegato a quello sul federalismo…
«Sì. Sono fautore della concessione di una maggiore autonomia delle regioni.Perché, se permettiamo alle eccellenze territoriali di emergere, ne beneficia anche tutto il Paese».
Ma questo non rischia di accelerare un processo di spaccatura tra Nord e Sud?
«Non è affatto nelle nostre intenzioni. Credo, però, che tutti debbano assumersi le proprie responsabilità. Sono a favore di un federalismo forte in Italia, competitivo ma anche solidale. Il vecchio Stato unitario, che ha infiniti
meriti alle spalle, oggi non è più adeguato ai tempi moderni. All’interno di un quadro unitario nazionale, che vogliamo assolutamente preservare, dobbiamo però promuovere le singole eccellenze territoriali e nessuna regione deve guardare con spavento alle altre. Ma dobbiamo guardare in faccia la realtà, senza pietismi: ci sono regioni bene amministrate, che rispettano i patti di stabilità e hanno bilanci sani. Queste regioni virtuose vanno incoraggiate, mentre ce ne sono altre che hanno delle pazzesche diseconomie e che vanno convinte a cambiare registro».
Però, è l’intero sistema Italia che è in sofferenza: puntare sull’eccellenza di alcune regioni è la strada giusta?
«È il quadro internazionale a essere in sofferenza. L’Italia ha dei fondamentali tuttora saldi, ma nell’analisi generale si guarda soprattutto al suo enorme debito pubblico. Ci sono paesi che, da questo punto di vista, stanno peggio dell’Italia ma gli analisti e l’opinione pubblica non sembrano darci lo stesso peso. Detto questo, è vero che la situazione politica italiana è certamente non molto stabile, anzi è anomala: abbiamo un Presidente del Consiglio che è oggetto continuo di impressionanti intrusioni nella sua vita privata. D’accordo: a un eccesso di attivismo della magistratura corrisponde una qualità della vita privata del Presidente non edificante…».
Di questi tempi la cosiddetta questione morale non sta ulteriormente danneggiando l’immagine internazionale dell’Italia?
«I media si muovono secondo le loro logiche. Fa più notizia l’ultima intercettazione telefonica di Berlusconi che non il fatto che il governo abbia stabilito il pareggio di bilancio entro il 2013.
Per carità, capisco. Ma ai nostri connazionali all’estero suggerirei di saper distinguere. Le intercettazioni sono uno strumento delle indagini che va salvaguardato, ma non se ne deve fare un uso politico: dovrebbe essere salvaguardata anche l’immagine dell’intercettato, vietando la pubblicazioni di intercettazioni che non hanno a vedere direttamente con le indagini. E poi va aggiunto che finora a parlare è stata solo l’accusa. E sappiamo che al telefono si parla sempre in libertà e con eccessi, come quando si magnificano le prede catturate andando a caccia, o come fa il Premier quando discute delle sue imprese sessuali. Ma il tutto va riportato nell’ambito della corretta inchiesta giudiziaria».
Lei ha nominato Berlusconi: il Presidente del Consiglio si ricandiderà? Si andrà ad elezioni anticipate?
«Il governo, fin tanto che avrà i numeri in Parlamento, ha la legittimità a governare. Numericamente, la maggioranza è solida e giustifica le dichiarazioni di Berlusconi che dice di voler andare avanti. Ma deve fare le riforme sulle quali si è impegnato. Perciò ritengo che queste settimane che abbiamo davanti saranno decisive. Entro il prossimo mese, non di più, il governo si è impegnato a varare delle misure per la riscossa economica. E, secondo me, le due priorità assolute sono: imprese e famiglia. Sono i due “soggetti” attualmente più deboli della società italiana. Se il governo riuscirà a fare qualcosa in tal senso, acquisterà senza dubbio forza. Se non facesse nulla, invece, la fragilità dilagherebbe fortissima. E, quindi, le elezioni sarebbero molto vicine».
Ma con quale sistema elettorale si andrebbe al voto? La valanga di firme pro referendum dimostra che quello attuale, il cosiddetto Porcellum opera del ministro leghista Calderoli, non sta veramente più bene agli italiani. Lei ha proposto un suo Perfettellum. Cioè?
«Sostengo da tempo che bisogna permettere ai cittadini anche la scelta del proprio deputato o senatore, come avviene in America. Il vantaggio del siste-
ma attualmente in vigore è stato che al cittadino viene chiesto di scegliere: il Presidente del Consiglio, la coalizione che lo sostiene, il programma. E, attraverso un premio di maggioranza, si impediscono i ribaltoni. Manca solo
una cosa fondamentale: il consentire appunto al cittadino di indicare quali persone vuole come propri rappresentanti nei due rami del Parlamento. Quindi va abolito il cosiddetto “listino bloccato”. L’attuale legge elettorale andrà cambiata, perché questo dice la raccolta delle firme. Io consiglio al mio partito di modificarla in tal senso».
In Molise il suo partito, il Pdl, ha deciso di togliere il nome di Berlusconi dal simbolo. Un primo segnale? Ormai, insomma, Berlusconi fa perdere le elezioni?
«Diciamo che… non è questione di far perdere o far vincere. Con il primo luglio, avere introdotto nel partito e nello statuto del partito la figura del Segretario Politico, che è Angelino Alfano, ha significato che si è passati da un sistema nel quale Berlusconi era tutto a un sistema nel quale c’è un partito che si sta costruendo. Berlusconi è il Presidente del Consiglio. Ma il partito si vuole costruire al di là di Berlusconi e dopo Berlusconi. Anche a Milano, al nostro congresso, il suo nome non c’era. Ma lui resta una figura fondamentale».
A proposito di voto: quello degli italiani all’estero, pur es- sendo una sudata e doverosa conquista arrivata dopo decenni dilotte, si è rivelato a dir poco non perfetto.Va modificato?
«Il principio di dare il voto ai nostri connazionali fuori d’Italia è giusto. Però si è visto sia che ci sono stati delle enormi difficoltà organizzative sia che il reale interesse al voto da parte degli italiani all’estero è stato molto diversificato: molti hanno mostrato interesse, ma sono una minoranza. Il che deve farci riflettere. Così com’è, la situazione non va».
Potrebbe pensare di candidarsi a livello nazionale…
«In questo momento sto lavorando, assieme ad altri, a costruire il nuovo Pdl: un partito che si sposti sempre di più verso il Partito popolare europeo, capace quindi di inglobare altre realtà che fanno parte del Partito popolare europeo ma non del Pdl attuale. Penso all’Udc di Pierferdinando Casini, ma non solo. Penso ad alcuni movimenti della cosiddetta società civile e a singole personalità. Il mio sogno è la costituente di un nuovo partito, di un nuovo “rassemblement” che costituisca la sezione italiana del Partito popolare europeo».
Il ritorno della Democrazia Cristiana?
«Questo è il futuro del centro destra al quale credo e per il quale sto lavorando. Ovviamente, visto che Berlusconi ha lasciato chiaramente intendere che nel 2013 non si ricandiderà occorrerà trovare il nuovo premier. Io ho suggerito di ricorrere alle primarie, sulla base dell’esperienza americana. Dobbiamo far scegliere il leader ai nostri elettori; non possiamo più permetterci un leader scelto dall’alto. Io sarò candidato? Adesso non mi sento di dire né “sì” né “no”. E poi: ricontrattare l’alleanza con la Lega».