Sollecitato dall’intervento di Giacomo Migone che rispondeva al Direttore, mi trovo a riflettere sulla libertà di espressione in America e nel mondo occidentale. In linea di massima, sarebbe entusiasmante pensare che non esistano limiti alla libertà di espressione e che ogni idea potesse trovare collocazione dovunque e comunque. Mi chiedo se sia quello che avviene nella nostra società. Cosa succederebbe se una rete televisiva ridicolizzasse un prodotto promosso da un commercial pochi secondi prima? E se si facessero affermazioni apertamente razziste in una scuola? E si pubblicassero immagini giudicate pornografiche su un social media?
Una volta, in un gruppo di linguistica, qualcuno sottolineò il sessismo insito in alcuni nomi femminili, la cui controparte maschile non avrebbe avuto lo stesso aspetto denigratorio. Si trattava di una analisi piuttosto semplicistica che risolveva la questione indicando il passato come fonte di tutti i mali ed il presente come necessario passaggio espiatorio. Risposi mostrando la totale infondatezza di tale esame linguistico: il mio post non fu pubblicato ed io fui bannato da quel gruppo per mancanza di sensibilità verso la questione femminile.
Ogni posto, ogni luogo, ogni gruppo sociale ha delle regole proprie. In una moschea ci si toglie le scarpe, in una chiesa si assume un certo decoro, nel posto di lavoro le cose che si possono dire sono limitate, cosi come al supermercato. In biblioteca non si parla. Ecco, la questione è se la politica debba diventare il luogo per eccellenza delle verità morali assolute (dove nessuna idea possa essere estromessa) oppure se vi siano delle regole etiche da rispettare. La libertà espressiva potrebbe escalare in fretta, e diventare qualcosa di diverso.
Se l’obiettivo è quello di accalappiare consensi, dato il clima da post-verità nel quale viviamo, non vi sono limiti a quello che si può dire. E infatti si fabbricano delle finte verità che hanno senso solo in quanto ricevono consenso. E` la qualità della fiction ad essere apprezzata. Recentemente, Mattarella è diventato un agente segreto al servizio della Regina e di Obama impegnato a sabotare le elezioni presidenziali americane. Naturalmente si è liberi di dire anche questo, dipende dal contesto nel quale ci si trova. Nessuno immagina un mondo dove qualcosa non si possa dire in assoluto, ma ognuno di noi si aspetta che il contesto venga rispettato e che le parole pronunciate non vogliano ferire o disunire la comunità ma migliorarla. Diamo per scontato che si voglia assumere una prospettiva democratica.

Trump viola le regole e gli standard di un social media al quale ha aderito ben sapendo vi fossero dei limiti e delle censure. Di più. Trump viola le regole della democrazia quando delegittima il processo elettorale che la sostiene. Quando da ragazzi si frequentavano i circoli operai e si voleva distruggere il capitalismo anche con la lotta armata, lo si faceva (giustamente) nascosti nelle cantine. Si parlava di organizzare manifestazioni e scioperi, si voleva abbattere il sistema. A nessuno di noi sarebbe venuto in mente di parlarne in piazza o, in pubblico, apertamente. Mi chiedo, quindi, da dove nasca questa idea, post-moderna, che ogni cosa possa essere detta in ogni contesto, senza ripercussioni. Da dove nasce l’idea che in una democrazia si possa liberamente cospirare per abbatterla?
Non mi pare che in altri ambiti, a parte quello politico, si reclami la stessa libertà. Infatti di gabbie e gabbiette sociali ce ne sono molte; siamo soggetti a moltissimi protocolli liberticidi in tantissime situazioni ordinarie. I contesti e le loro regole hanno, piano ma inesorabilmente, codificato buona parte della nostra esperienza di uomini e consumatori. Questo certamente avviene per motivi commerciali. Avere ed esprimere, in ogni luogo, il prodotto culturale e comunicativo giusto è importantissimo per raggiungere il successo. Siamo una società fortemente specializzata, e se guardiamo al passato recente, ci accorgiamo che i nostri comportamenti sociali sono sempre più accurati, sensibilizzati, adattati ai nostri interlocutori. Si potrebbe dire che una certa morale puritana abbia sposato un’etica commerciale, del ‘giusto’ prodotto sociale.
In un contesto del genere, che senso ha parlare di libertà e di censura per Trump? Parrebbe un discorso anacronistico. Dargli completa libertà su dei social media che hanno degli standard di comportamento ben preciso significherebbe, o che la politica in quanto costruzione del consenso è l’ambito morale delle verità assoluta, oppure che i rigidi protocolli e tutte le sensibilità da rispettare in ogni contesto sociale pesano come un giogo imposto dall’alto. La nostra libertà di espressione è sempre più pervicacemente soffocata da una società fatta da una rete di connessioni facili e veloci. E cerca un uno sblocco. Internet ha creato una comunità molto più rigida e standard di quello che crediamo; controlli e protocolli, nomi e password, hanno costruito una realtà in cui ogni comportamento, per essere sensato, deve risultare ben inserito in un preciso contesto. Pena l’esclusione sociale, un profilo senza amici, un post senza like, una bacheca senza risposte.
Che la costruzione del consenso politico debba essere una sfera non soggetta a nessuna restrizione democratica significa farne il luogo privilegiato della morale sociale, un luogo per verità assolute, che non consentano nessuna etica e codice di comportamento. Ma, si tratterebbe di una società veramente libera quella in cui si può dire sempre tutto oppure ricalcherebbe, quasi in toto, la totale libertà espressiva degli uomini al balcone? Non si tratterebbe di qualcosa di simile a quei luoghi dove si sale sorretti da una folla che chiede a gran voce di violare alcuni taboo, di essere politicamente scorretti, di indicare dei colpevoli senza stare a tirarla per le lunghe con la storia delle prove e della democrazia?
Le folle che si ammassano attorno a balconi virtuali potrebbero stare a significare che le codificazioni e i protocolli burocratici della rete hanno ingabbiato l’essere umano in una società di controllo astratto, in cui siamo assolutamente subordinati ad un potere assente. Solo la ri-territorializzazione potrebbe aiutarci. Solo uscire dalla rete ed essere liberi in piccoli contesti concreti in cui esprimerci quotodianamente potrebbe aiutarci. In altre parole, la libertà che veramente farebbe al caso nostro, è quella DALLA rete.