Non basta stigmatizzare e condannare la violenza dei fatti del Capitol Hill, non basta gridare e indignarsi (giustamente) per le ferite inferte alla democrazia americana (e del mondo). Quel che è accaduto a Washington ci dice che questa non è l’ora dei proclami ma è il tempo della conversione, di un esame di coscienza, di un’analisi sulle cause che hanno portato a seminare odio nella politica americana nel corso di questi ultimi anni.
Il difficile e necessario processo di “ricucitura” del popolo americano che il presidente Joe Biden dovrà promuovere attraverso azioni di giustizia, pacificazione e riconciliazione è simile alle incisioni e asportazioni che il chirurgo fa sulle masse tumorali e cancerogene per evitare metastasi. Tale obiettivo, però, deve necessariamente trovare accoglienza in ogni realtà umana, sociale, politica e culturale. Deve, cioè, trovare menti e cuori disposti a cambiare e a riconoscere gli errori fatti e a girare pagina per evitare pericolose derive populistiche ed estremiste.

Le dichiarazioni dell’episcopato americano, fatte all’indomani dei fatti del 6 gennaio scorso, sull’unità nazionale, sul patriottismo vero, sul rispetto e il dialogo, sulla necessità di una dialettica civile e costruttiva saranno veramente autorevoli e incisive se condurranno a una verifica evangelica delle responsabilità che, anche una parte della Chiesa cattolica statunitense, ha su quanto accaduto al Congresso degli Stati Uniti.
Quanti vescovi e preti durante la campagna elettorale per le presidenziali hanno definito «peccato mortale o un’azione degna dell’Inferno» il voto a favore di Joe Biden? Quanti hanno parlato delle elezioni come la lotta del «bene contro il male»? Un linguaggio simile- ha giustamente osservato il gesuita James Martin- «ha indotto tanti a pensare che un attacco come quello che c’è stato sia legittimo dal punto di vista morale».
L’ex Nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò (da molti riconosciuto come leader dell’ala conservatrice della Chiesa americana sostenitrice di Donald Trump) qualche giorno prima dell’attacco di Washington ha dichiarato al giornalista filotrampiano, Steve Bannon che: «A quanti combatteranno con coraggio per difendere i diritti di Dio, della Patria e della famiglia il Signore assicura la Sua protezione».
Quale messaggio queste affermazioni possono veicolare? La presenza tra gli assalitori del Capitol Hill di cartelli con la scritta “Gesù salva” deve far riflettere molto a chi ha a cuore il Vangelo e la dignità dell’uomo.

Nel 2016 prima dell’elezione di Trump papa Francesco disse: «Una persona che pensa di fare i muri non è cristiano. Questo non è Vangelo». Il Papa fu aspramente criticato dai sostenitori di Donald Trump perché faceva, a loro dire, politica. Ma papa Francesco non faceva e non fa politica; annuncia semplicemente il Vangelo. E che alcune scelte di Trump non siano state evangeliche é sotto gli occhi di tutti, soprattutto di quelli che preferiscono chiuderli. E’ vangelo strappare figli ai genitori immigrati dal Messico rendendo impossibili i ricongiungimenti? E’ evangelico abbandonare a se stessi tanti malati di Covid? E’ secondo il cuore di Gesù dirsi a favore della vita e riattivare a livello federale la pena di morte anche per i malati psichici? E’ cristiano denigrare l’avversario, mentire, incitare all’odio, all’insurrezione, sovvertire l’ordine democratico? Aveva ragione papa Francesco: questo non è evangelico, non è cristiano e neppure umano aggiungiamo noi.
La Chiesa americana dovrà, nel rispetto dei specifici ruoli, illuminare e favorire la riconciliazione, l’unità e la dignità dell’uomo in una terra che è “il faro” della democrazia. Lo storico Agostino Giovagnoli ha scritto che i cristiani «come e più di altri, possono e devono contribuire a salvare la democrazia […] non perché stanno dalla parte dell’Occidente, ma per aiutare tutti i popoli, soprattutto quelli non occidentali». Questo, oltre che democrazia, è soprattutto Vangelo.
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