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January 14, 2021
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Dopo i barbari a Capitol Hill, la coscienza di un conservatore rompe il silenzio

Trump è un uomo dall’ego smisurato, moralmente corrotto e che preferisce tirare giù tutti gli USA piuttosto che ammettere una palese e meritata sconfitta

Stefano De AngelisbyStefano De Angelis
L’America ha dimostrato di non essere più baluardo della libertà, ma eccesso di libertà

I trumpisti sfondano l'entrata del Congresso (da youtube)

Time: 5 mins read

Da mesi evito i social media. Da mesi preferisco il silenzio alla retorica, allo scontro, alle teorie complottiste, alle fratture sociali, alle offese, agli oltraggi che vedo e leggo quotidianamente a tutti i livelli. Da mesi ho preferito concentrarmi sul mio lavoro e la mia famiglia, in maniera anche un po’ egoistica, allontanandomi da un mondo che da qualche tempo non gira più per il verso giusto. Fino a quando i barbari hanno invaso e quasi distrutto Washington DC: in quel momento ho sentito che non potevo più rimanere in silenzio.

Ero nel mio studio alle prese con l’ennesimo meeting, quando una notifica illuminò il mio telefono. “Riots in DC.” Quel giorno sapevo che ci sarebbe stato l’ennesimo rally-buffonata di un Presidente uscente e completamente disconnesso dalla realtà. Sapevo che quell’uomo avrebbe detto ai suoi “tifosi” che non aveva affatto perso le elezioni. Sapevo che avrebbe ripetuto la storia dei brogli. Sapevo che quel mare di bandiere con su scritto “Trump”, avrebbe invaso la nostra capitale alla ricerca di un qualcosa che tutt’oggi non riesco a concepire. Sapevo che avrebbero urlato, offeso, incitato a qualche idiozia e supportato le teorie complottiste di un Presidente che, in soli quattro anni, ha ridotto al minimo la fiducia nelle nostre istituzioni. Ma difficilmente riuscivo a pensare a qualcosa di diverso. Quando vidi quella notifica, capii che mi sbagliai.

I trumpisti invadono Capitol Hill. (Photo: youtube)

Lasciai il mio meeting, accesi la tv, iniziarono a scorrere le immagini: i barbari avevano assaltato Capitol Hill. Distruggevano vetri e porte pur di entrare nel tempio della nostra democrazia, saccheggiavano, scattavano selfie, assalivano poliziotti, si impossessavano degli scranni dei nostri legislatori, alcuni ammainavano la bandiera americana per innalzare quella con su scritto “Trump”, in brutale testimonianza del loro essere incondizionatamente fedeli a chi poco prima li aveva aizzati contro il Congresso. Alla fine di questa insurrezione il bilancio è stato di cinque morti, decine di feriti e la democrazia americana umiliata come mai prima d’ora.

Il Presidente Trump arringa i suoi supporter nei pressi della Casa Bianca, invitandoli ad andare al Campidoglio per cambiare il risultato delle elezioni.

In quei momenti, in modo quasi automatico, mi sono chiesto a che punto eravamo arrivati per colpa di questo uomo che non è mai stato un vero Presidente, ma uno showman nel migliore dei casi, un’aspirante duce nei peggiori. Me lo sono chiesto da cittadino che ama l’America e me lo sono chiesto da uomo che crede nei principi conservatori.

Ho ripensato all’uomo che mi fece innamorare di questi principi, Bush padre. Ho ripensato a un altro uomo che negli anni ho considerato un’icona dei veri conservatori, Ronald Reagan. Ho ripensato a quel partito e a quegli uomini che avevano a cuore istituzioni e bandiera. Ma che soprattutto avevano rispetto del prossimo. Non riuscivo a trovare nel corso della gloriosa storia americana, una persona che abbia mai osato tanto, un’insurrezione (o forse è meglio dire un colpo di stato) pur di non lasciare la White House.

Nel 2016 supportai Ben Carson e non accolsi la vittoria di Trump con particolare entusiasmo, ma dissi “meglio della Clinton.” Nel corso degli anni ho capito che il “meglio di..” è un concetto che mai si dovrebbe applicare nella scelta di un candidato Presidente. 

Il presidente Donald Trump (Illustrazione di Antonella Martino)

In quattro anni ho visto un uomo che divideva anziché unire, che offendeva tutto e tutti invece di dialogare, che cambiava segretari di stato a ministri come se fossero calzini, che strumentalizzava bandiera e Bibbia, che strizzava l’occhio ai suprematisti bianchi, che se ne fregava delle istituzioni democratiche. Un uomo dall’ego smisurato, moralmente corrotto e che preferisce tirare giù un intero Paese piuttosto che ammettere una palese e meritata sconfitta. Un uomo che, in ultima analisi, è il solo responsabile di questa insurrezione e che deve essere giudicato in quanto tale.

Sono sempre stato repubblicano e oggi provo disagio dinanzi a quel che vedo. Ripenso a quando John McCain tolse il microfono dalle mani di una donna che aveva definito Obama “un arabo di cui aver paura.” La sua risposta fu esemplare: “Lei sbaglia signora. Barack Obama è una persona perbene e intelligente, semplicemente abbiamo idee diverse su come condurre il Paese che entrambi amiamo”. Quelle parole, quella classe, quella dignità, rappresentavano tutto ciò in cui credevo. Quello era il mio partito repubblicano.

Da qualche tempo capisco lo stato d’animo di alcuni amici democratici quando dicono “il mio era il partito dai Kennedy, non degli AOC”. Come se questa deriva estremista abbia tagliato fuori dalla politica tutti coloro che, come il sottoscritto, antepongono la parola “centro” alla parola destra o sinistra.

Mi consolo pensando che Trump non è mai stato un Repubblicano, ma soltanto un viscido bancarottiere capace di usare il mio partito pur di arrivare dove voleva. Mi consolo pensando che i tanti deputati e senatori che lo hanno sostenuto, lo hanno fatto per qualche squallido guadagno politico, o forse per paura di ritorsioni piuttosto che per convinzione. Mi consolo pensando che quei criminali che hanno assalito Capitol Hill, non hanno nulla a che fare con milioni di repubblicani e conservatori che, come me, rigettano razzismo, violenza e populismo. Ma il Partito Repubblicano ha tante domande da porsi, a cominciare da cosa vuole essere nel futuro e, in definitiva, su come tornare ad essere se stesso dopo quattro anni di totale follia trumpista.

President Joe Biden (Illustration by Antonella Martino)

Dal 20 Gennaio, il Presidente-eletto Joe Biden, avrà un compito difficilissimo: sanare le ferite di un Paese socialmente dilaniato, in piena recessione economica, alle prese con la più grande crisi sanitaria degli ultimi cento anni e con Paesi avversari pronti a prendere il nostro ruolo di leader globali. 

Sono consapevole che non sarò d’accordo con tutte le sue scelte. Ma sono altrettanto consapevole che, oggi più che mai, c’è bisogno di un uomo in grado di unire e non di dividere. Un uomo che ci ricordi che siamo tutti americani, prima ancora di essere liberals o conservatori. Un uomo che non divida il Paese in red states o blue states, in noi e voi, in fedeli supporter e acerrimi nemici. Un uomo che ami l’America e i suoi concittadini ben più di quanto ami se stesso. Biden, e forse solo lui in questo momento, può essere la persona giusta per guarire l’anima dell’America.

Ed ecco che da repubblicano dico: in bocca al lupo Mr. Biden e grazie per averci dato una speranza.

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Stefano De Angelis

Stefano De Angelis

Stefano De Angelis (Chieti, 1986), è Presidente e CEO di De Angelis & Associates, società di investimenti specializzata in aziende operanti nell’aerospazio, difesa e cyber security. Conservatore e filantropo, nel 2019 è stato inserito tra i 40 under 40 CEO più influenti di New York City. Stefano De Angelis (Chieti, 1986). Observer of the International Community in a task force created by the United Nations and Nigerian Government to fight Boko Haram in the African country, is internationally recognized among the most prominent consultants on terrorist phenomena, warfare and homeland security. His books, translated in eleven languages, are best-sellers in the United States, Europe and Israel.

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