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January 11, 2021
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La demonizzazione di Trump a sinistra ha peggiorato il pericolo per la democrazia

Le critiche dei media liberal a Trump e ai suoi elettori, incessanti e incapaci di dialogo, hanno ridotto il processo democratico ad un giochino demenziale

Alessandro MartinabyAlessandro Martina
Trump elimina “lu tintu” conosciuto e di fatto dichiara guerra all’Iran: perché ora?

Donald Trump in the illustration by Antonella Martino

Time: 5 mins read

Ad un passo ormai dal momentaneo epilogo di questa sconvolgente vicenda politica, occorrerebbe fare i conti con gli sbagli che abbiamo commesso noi che siamo a sinistra o all’opposizione di Trump. Sarebbe molto semplice fare una disanima degli errori di questo piccolo aspirante dittatore, ma non mi pare cosa utile o necessaria.

Nel giornalismo politico odierno, anche quello di alto profilo, prevalgono spesso i bassi istinti del moralismo; mentre in democrazia la politica dovrebbe essere più soggetta all’etica che dipendente da una singola e astratta componente morale. Un nucleo religioso,  di purezza e di correttezza (anche linguistica) ha investito le forze democratiche di questo secolo, sclerotizzando la vita civile in una affannosa ricerca di un supposto bene comune. Tradizioni e vocaboli da rimodernizzare immediatamente, sotto la costante pressione di una società che si vuole giusta e che deve quindi spazzare via la sua storia recente e passata, in nome di un futuro immune da qualsiasi macchia. Rimane, come un macigno di cattiva coscienza, il peso di un capitalismo selvaggio e militarizzato, di un imperialismo pervicace che fa il giro del mondo distribuendo vita e morte; proprio come i droni potenziati dall’amministrazione-Obama.

La reazione alla candidatura di Trump, a sinistra, è stata immediata e unanime. Si pensava fosse un pessimo candidato, non solo per le sue idee, ma a partire da considerazioni antropologiche e umane,  sociali e linguistiche. La sinistra americana (ma quella europea non è diversa) non ama che personaggi come Trump si occupino di politica. Cosi come la questione della legittimità di un capitalismo selvaggio viene sistematicamente messa da parte, allo stesso modo personaggi come Trump sono imbarazzanti per la middle class colta e liberale. Devono essere lasciati fare il loro lavoro sporco, occuparsi di affari e Wall Street, senza esporsi direttamente, rischiando cosi di vilipendere gli alti ideali della politica americana. Se ci mettono la loro, di faccia, tutto il capitalismo progressista perde valore, cadono le maschere, e quello che rimane è un cafone che fa dei cameo in qualche film di successo o è ospite fisso in un talk show.

Gli alti valori ideali del progressismo capitalista cantati in maniera impeccabile da Obama non possono essere trasmessi dall’eloquio ripetitivo e volgare di Trump. Ma, a guardare bene, non si tratta di valori cosi diversi. Entrambi sono stati forti sostenitori della teoria dell’American Exceptionalism, entrambi hanno puntato sulla superiorità morale degli Stati Uniti per giustificare la politica di dominio imperiale, politico ed economico, del loro paese.

20 Gennaio, 2017, Capitol Hill: l’appena inaugurato Presidente Donald Trump stringe la mano al predecessore Barack Obama mentre l’ex vice presidente Joe Biden osserva (DoD photo by U.S. Marine Corps Lance Cpl. Cristian L. Ricardo)

Facendo un passo indietro di qualche anno, mi chiedo (a mo’ di provocazione) cosa sarebbe successo se gli oppositori del leader repubblicano non lo avessero costantemente delegittimato. La mia teoria è che le critiche dei media di sinistra, incessanti e incapaci di dialogo,  abbiano ridotto il processo democratico ad un giochino demenziale. Come maestri alla lavagna hanno diviso i buoni dai cattivi, iscrivendo Trump in questo ultimo gruppo. Hanno completamente ignorato l’insegnamento fondamentale che Platone offre attraverso le parole di Protagora: ogni uomo ha per natura il diritto di fare politica e il processo democratico richiede ipocrisia, e cioè la capacità di trovare un terreno comune che vada al di là delle nostre opinioni personali. Mi chiedo cosa sarebbe successo se i media e gli intellettuali di sinistra, avessero criticato Trump senza demonizzarlo. Sarebbe riuscito il mostro arancione a crearsi una fanbase cosi consistente? Prendiamo l’esempio del muro al confine col Messico. Sorvolando l’aspetto simbolico della questione, si potrebbe dire con tutta tranquillità che il muro voluto da Trump ha fatto sicuramente meno morti dei droni di Obama o delle guerre di Bush, riscuotendo senz’altro piu critiche. Si potrebbe arrivare persino a dire che dal momento che esiste un confine fra due stati e quel confine viene costantemente ignorato, rinforzare una barriera preesistente è una questione tecnica, di risoluzione di un problema.

Non dico che non esista una questione morale nel modo in cui Trump ha cavalcato i problemi dell’immigrazione messicana. Non ignoro il fatto che antropologicamente e linguisticamente Trump sia anni luce da me. Mi chiedo, però, se l’assalto frontale, al valore simbolico della questione, voluto da tutti i media di sinistra, sia stata la strategia giusta. Fomentare la questione morale e simbolica non ha fatto altro che dare ai sostenitori di Trump un terreno fertile dove contrapporsi ai cosiddetti democratici corrotti. Senza perdere le proprie idee morali sull’argomento, la questione del muro poteva forse essere derubricata a soluzione strategica, a rinforzo di un confine già esistente. Pare invece che i progressisti democratici abbiano dimenticato che il confine esisteva prima del muro voluto da Trump. Hanno dimenticato che le disparità fra chi è a sud e chi è a nord di quel muro sono enormi e che quel confine garantisce a noi una felicità costruita sullo sfruttamento delle loro risorse. Su questo forse ci sarebbe stato da scandalizzarsi molto piu che sul linguaggio turpe usato da Trump. Ed è proprio qui che la sinistra diventa snob, accademica, fine a se stessa. I messicani stessi sono stati molto piu concreti, e invece che sentirsi feriti e angosciati dalle parole di Trump hanno compreso una cosa molto importante: il confine, con le sue disparità, esisteva prima di Trump ed esisterà dopo. La differenza fra lui ed i democratici sta nel fatto che Trump difende apertamente un privilegio di cui i democratici si occupano sempre meno.

Una protesta a Berlino, nel settembre del 2016, contro la promessa elettorale di Trump di costruire un muro al confine col Messico (Foto da Flickr)

Non è certo colpa dei democratici se esiste un muro fra il nord ed il sud del mondo. Al tempo stesso ci sarebbe voluta piu decenza; sarebbe stato opportuno guardare alla luna, non al dito che la indicava. I democratici avrebbero potuto e dovuto rispondere non a Trump, o al rinforzamento di un confine già esistente, ma alla questione politica dell’ineguaglianza sociale. Essendo portatori di un privilegio, non avevano il diritto di farne una questione morale. Lo stesso discorso si potrebbe fare per moltissime altre materie. Il Muslim ban fu misura odiosissima, ma…l’America, non Trump, ha sempre limitato l’accesso nel paese a persone di tutto il mondo. I controlli al limite del paranoico e la burocratizzazione del processo di immigrazione o di visto turistico sono sempre state misure in atto. Arrivare in America dall’Europa o dall’Africa significa spesso seguire iter molto differenti ed essere passati al setaccio con la presunzione di colpevolezza addosso. Trump ha ristretto l’ingresso ad alcuni paesi musulmani ma non si è inventato nulla; ha semmai esacerbato una prassi esistente che prevede chiaramente la discriminazione a partire dal paese di provenienza.

Un regime autoritario, per costruirsi, ha bisogno di creare due nazioni all’interno di uno stesso stato: una buona e vera, l’altra falsa e cattiva. E Trump è risultato vincente nel proposito di far abbandonare l’idea di unità nazionale in favore di una contrapposizione fra due differenti nazioni, politicamente separate. A sinistra, abbiamo dimenticato che la democrazia si fonda sull’etica dell’ipocrisia e non su una verità morale assoluta. Certamente Trump aveva alcuni tratti del dittatore fascista, questo è sempre stato chiaro; tuttavia, per una questione di opportunità politica, sarebbe stato meglio glissare sul suo tratto antropologico di base. Il compito del giornalismo non è di certo quello di avvertire gli elettori di un possibile rischio di deriva fascista ma di presentare dei fatti. Sta ai lettori fare un percorso di coscienza politica e trarre delle conclusioni.

Per quanto l’idea di essere i salvatori della patria solletichi moltissimo gli appetiti morali dei media, bisogna qualcuno li avverta che dire la verità (ammesso che la posseggano come si trattasse di un oggetto) non ha come conseguenza necessaria il convincere i propri lettori e ascoltatori. Il punto non è quindi mai stato giudicare le credenziali o i comportamenti di Trump, ma evitare che costruisse un consenso cosi largo e cosi profondo. Talmente tanto profondo, da farci vivere oggi nell’impressione che esistano due nazioni, due culture, due parti che convivono riottosamente nello stesso territorio. Noi cosi aperti al comprendere le diversità, abbiamo fallito nel comprendere la cultura dei sostenitori di Trump, rifiutando di accettare che, come per noi Obama, lui rappresentasse per loro un modello antropologico di successo. La sua possibile ricandidatura nel 2024 si staglia all’orizzonte come un incubo.

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Alessandro Martina

Alessandro Martina

Alessandro Martina, nato in Puglia 37 anni fa, si è laureato in Filosofia all’Università di Bologna e in Linguistica all’Università della West Virginia. Attualmente è dottorando in Italian Studies alla Università del Wisconsin-Madison.

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